Festival di Sanremo: esce il libro che ne svela i segreti (con prefazione di Amadeus)

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Potete già preordinarlo qui, su Amazon. Dal 25 gennaio poi, lo troverete su tutti i digital store. È Sanremo il Festival (ed D’idee), libro/bibbia sulla storia del Festival di Sanremo, la kermesse musicale-non solo musicale più amata dagli italiani.

Lo firma il giornalista Nico Donvito, nato l’anno in cui a Sanremo vinse “un certo” Eros Ramazzotti con Adesso tu. L’anno? Il 1986. La foto ricordo del vincitore la trovate nella nostra gallery sopra, con tutti i 71 (finora) vincitori del festival…

Il gran finale di Sanremo 2021: il rock arrabbiato dei Maneskin vince l’edizione del Festival di Sanremo più complicata di sempre, in piena pandemia e senza pubblico. Una rivoluzione, non solo musicale, come ci racconta Nico Donvito, autore del libro ‘Sanremo il Festival’: davvero la Bibbia della kermesse. Foto Getty

Sanremo il Festival, con la prefazione di Amadeus

La prefazione è firmata da Amadeus. E questo già dice tanto della serietà dell’operazione. Se il Direttore artistico di Sanremo 2022 avvalla con la sua presenza il volume, significa che davvero l’autore ha fatto un ottimo lavoro. La “morale” della storia (e del Festival di Sanremo)? Il sottotitolo dice tutto: Dall’Italia del Boom al rock dei Maneskin.

Ovvero: non sono solo canzonette. Il Festival di Sanremo siamo noi: su quel palco, tra vincitori e scandali, rivelazioni e delusioni, siamo passati noi. Cinquantuno anni della nostra storia scorrono tra le pagine del libro di Nico Donvito. L’abbiamo intervistato.

La copertina del libro

Festival di Sanremo: un concetto concreto e non astratto

“Perché Sanremo è Sanremo”, è lo slogan più conosciuto in Italia… È insieme una domanda e una risposta. E/o una domanda che si dà una risposta. Ma Perché Sanremo è Sanremo? Qual è il suo segreto di “eterna giovinezza”?
È una domanda/risposta difficile da dare. Nel senso che ci sono volute oltre 190 pagine di questo volume per cercare di spiegarlo a parole. Sanremo è un concetto, più concreto che astratto. Un fenomeno di costume. È un grande contenitore che nel tempo ha saputo evolversi, senza restare ancorato al proprio glorioso passato. Il Festival ha cambiato il suo linguaggio. È successo grazie all’avvicendarsi di organizzatori differenti che hanno fatto in modo che, di anno in anno, si rinnovasse senza restare troppo fedele a se stesso.

 

Nilla Pizzi, la prima vincitrice di Sanremo: è il 1951 e la canzone è ‘Grazie dei fiori’. Foto Getty

Sanremo 2021: il più complicato della storia

Nel sottotitolo sottolinei il valore storico del Festival di Sanremo: non sono solo canzonette. Mi fai qualche esempio del ruolo di specchio storico che il Festival ha avuto?
L’esempio più eclatante è proprio quello dello scorso anno. È andata in scena l’edizione del Festival più complicata della storia, così anomala e simbolica, in un Teatro Ariston vuoto e a tratti irriconoscibile. La forza della rassegna sta nella capacità di narrare l’Italia e di esserne lo specchio in ogni sua fase. Anche nei momenti più brutti, come abbiamo potuto comprendere sia in piena ricostruzione postbellica dopo la seconda guerra mondiale, sia con la recente emergenza sanitaria. La storia di Sanremo si intreccia con quella di un intero Paese, in un continuo dialogo tra presente e futuro.

 

 

71 anni in 6 canzoni

Quest’anno sono 71 anni: mi dici 6 canzoni che hanno fatto la rivoluzione? Una per decennio.
Negli anni ’50 sicuramente Nel blu dipinto di blu di Domenico Modugno, assoluto protagonista grazie al suo recitar-cantando che ha ispirato intere generazioni di cantautori. Negli anni ’60, Ciao amore ciao di Luigi Tengo che, con il suo disperato gesto, ha anticipato il vento sessantottino di cambiamento e protesta che si è abbattuto sul nostro Paese di lì a poco. Per gli anni ’70, penso a Gianna di Rino Gaetano. Che, con la sua unica presenza in Riviera, si è preso gioco del tipico borghesismo sanremese, sbeffeggiando l’intero sistema dall’interno.

 

 

Gli anni ’80 hanno rappresentato il trionfo del nazionalpopolare. Penso a L’italiano di Toto Cugugno. Mentre gli anni ’90 sono stati segnati dal ritorno della melodia e dai ritornelli indimenticabili, . Come non citare Vattene amore di Amedeo Minghi e Mietta. Con il nuovo millennio i protagonisti sono diventati sempre più importanti delle canzoni. Di conseguenza i rivoluzionari da citare sarebbero troppi. Di sicuro Zitti e buoni dei Måneskin, che hanno restituito agli occhi del mondo un’immagine totalmente diversa della nostra arte.

Uomini e donne che hanno fatto la storia

Non solo canzoni e cantanti: tre uomini e tre donne che hanno fatto la Storia di Sanremo?
Tra gli uomini: il primo conduttore Nunzio Filogamo, il più grande Pippo Baudo e l’ultimo direttore artistico Amadeus. Per me è il più rivoluzionario di tutti, perché ha saputo apportare i giusti innesti gradualmente, approcciandosi con rispetto e con una grande preparazione. Tra le donne, invece, direi: Loretta Goggi, Raffella Carrà e Antonella Clerici.

Il Festival è maschilista

Da vallette a co-conduttrici: possiamo parlare di #MeToo a Sanremo?
Mi viene in mente un bellissimo monologo di Luciana Littizzetto di qualche anno fa. Per il resto il Festival è sempre stato purtroppo maschilista. In 70 anni solo quattro donne lo hanno condotto da sole, suscitando critiche su critiche. Forse agli uomini si perdona di più, ma ricordo che la grande Raffaella Carrà dal suo unico Sanremo del 2001 ne uscì con le ossa rotte. Tra le pagine del libro ho cercato di restituire dignità a quell’edizione, perché ha avuto i suoi lati positivi.

Raffaella Carrà e Fiorello annunciarono così che lei sarebbe stata la conduttrice unica di Sanremo 2021. Foto ANSA

Tre grandi “ingiustizie” nella storia del festival?
Il nono posto di Almeno tu nell’universo di Mia Martini nel 1989. Le offese e i fischi a Il Volo del 2019. E tutte le volte in cui non è stata data la possibilità ad un vincitore di Sanremo Giovani di giocarsela tra i big l’anno successivo.

La politica all’Ariston

Il peggio di Sanremo, per te?
Quando entrano in gioco fattori che non c’entrano apparentemente con la musica e con una semplice gara di canzoni. Tipo quando la politica cerca di infilarsi tra le poltroncine dell’Ariston. Nel libro faccio un lungo elenco di casi e di interrogazioni parlamentari, situazioni poco affini a questo tipo di contesto. Ma, essendo il Festival di Sanremo una gigantesca cassa di risonanza, posso capire l’interesse nel voler salire a tutti i costi a bordo di questo grande carrozzone.

Tre vincitori ingiustamente dimenticati?
Non credo che i vincitori vengano realmente dimenticati, anche quelli che non hanno ottenuto un grande exploit dopo la vittoria. Penso piuttosto a grandi artisti che avrebbero meritato più partecipazioni e più possibilità. Cito tra i tanti: Eduardo De Crescenzo, Nino Buonocore e il compianto Pino Mango.

 

 

Il bene e il male dei social

Dalla radio alla tv fino ai social: questi ultimi come hanno cambiato il Festival?
Moltissimo e credo che ogni anno sarà peggio. Pensiamo allo scorso anno. Abbiamo assistito a due modi diversi di usare i social: quello corretto con il caso che ha riguardato Fedez, grazie ai voti dei supporter di Chiara Ferragni, tutto lecito e giusto, niente di illegale insomma. Ma poi c’è il rovescio della medaglia: la dimostrazione di come i social possono invece penalizzare qualcuno, come è accaduto con Aiello. A parte le risate del primo momento, mi domando se sia giusto che un meme possa diventare virale al punto da influire negativamente sulla classifica finale. Anche perché la sua (bella) canzone ha avuto poi una sua vita al di là del Festival, al punto da aggiudicarsi il disco d’oro. Ecco, mi piace quando i social vengono utilizzati per fare del bene. Il resto è un’arma a doppio taglio.

Maneskin Revolution

Cosa ha significato la vittoria dei Maneskin a Sanremo 2021? Sia a livello musicale che di costume. Puoi paragonarli a qualche altro vincitore del passato, o sono davvero “unici” nella storia del festival?
A livello sociale ha evidenziato una rabbia e un malcontento generazionale, tipico dei vent’anni, in un momento storico fatto di chiusure e rinunce. In soli dodici mesi si è passati dal liberatorio Fai rumore di Diodato a questo ammutolente invito a restare Zitti e buoni. Due titoli che fotografano il prima e il dopo, un profondo e lampante cambiamento. Musicalmente i Måneskin non hanno eguali. La loro è stata una vera e propria rivoluzione glam-rock, di quelle che non ti aspetti dalla patria del bel canto.

Diodato, vincitore nel 2020. Foto ANSA

Dagli articoli usciti dopo i primi ascolti delle canzoni di Sanremo 2022 a quanto pare l’amore domina sempre. Perché?
Fa parte della vita di tutti ed è più facile riconoscersi in una canzone d’amore che in un tema sociale. In più l’amore non passa mai di moda. Resta nel tempo. Anche se dal Festival sono passate canzoni che hanno parlato di droga, di mafia. Di malattia mentale, di violenza, di terrorismo. E omosessualità, aborto, emigrazione, cattiva politica, pena di morte. Chi più ne ha più ne metta.

Aspettando Sanremo 2022

Cosa ti aspetti dall’edizione di quest’anno, a livello musicale e di specchio del nostro momento storico?
Mi aspetto quello che ho sentito. Una buona rappresentanza di pezzi allegri e movimenti. Il trionfo del pop-dance, ma anche brani più introspettivi e delicati capaci di smuovere la nostra coscienza. L’ideale è quando le due cose vanno a braccetto e ci si riesce a divertire pensando… Un po’ come è accaduto proprio lo scorso anno con Musica leggerissima, dal ritmo trascinante ma con sottotesto per nulla banale.

 

 

Il festival più bello? Il numero 100

La miglior edizione del festival, per te?
Quella che deve ancora venire, facciamo la centesima! In passato ogni edizione del Festival ha avuto cose belle e brutte, clamorosi successi e inenarrabili tonfi. Le edizioni poco riuscite, probabilmente, sono state quelle meno in sincronia con i tempi. Quelle che non hanno rappresentato una fotografia nitida e coerente del nostro Paese, probabilmente a causa di scelte poco coraggiose o troppo datate. Come potremmo definire Sanremo se non una ruspante rappresentazione allegorica, in note e paillettes, di un’Italia che cambia. E che, per certi aspetti, non vuole mai cambiare?

Amica ©RIPRODUZIONE RISERVATA

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