Fisco e lavoro
di Luca Angelini23 nov 2022
Consideriamo un professionista con compensi nei pressi della nuova soglia di 85 mila euro, il suo reddito imputato sarà ben superiore al limite dell’ultimo scaglione Irpef, pari a 50 mila euro. Un lavoratore dipendente con quel reddito paga un’aliquota marginale (incluse le addizionali) superiore al 47%: più del triplo dell’aliquota marginale del 15% cui è soggetto il professionista. L’esempio fatto da Giuseppe Pisauro, ex presidente dell’Ufficio parlamentare di bilancio e ordinario di Scienza delle finanze alla Sapienza di Roma, spiega il titolo scelto dal quotidiano Domani, in prima pagina: «Con la flat tax a 85 mila euro i dipendenti pagano il triplo di tasse». E spiega anche l’occhiello dell’articolo: «Cittadini di serie A e di serie B». Perché, per dirla ancora con le parole di Pisauro, l’articolo 53 della Costituzione «al primo comma afferma che “tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva”. Davvero difficile comprendere quali elementi possano rendere la capacità contributiva di un professionista pari a meno di un terzo di quella di un lavoratore dipendente con lo stesso reddito».
Rialzo del tetto della Flat tax
Pisauro non trova convincenti, o per lo meno insufficienti, le motivazioni addotte al rialzo del tetto per la flat tax: «La giustificazione, utilizzata anche in altri casi, per cui lo schema favorisce l’emersione di base imponibile va considerata seriamente ma la dimensione dello sconto fiscale è talmente grande che con ogni probabilità il guadagno di gettito da chi emerge è largamente insufficiente a compensare la perdita di gettito da chi già pagava (come è stato documentato per la cedolare secca sugli affitti). L’altra giustificazione avanzata, quella della semplificazione, è francamente risibile. Poteva ancora essere valida per il regime precedente al 2019, con una soglia di 30 mila euro di ricavi (corrispondente comunque a un reddito pari a quello medio), certamente non con la nuova soglia che ci porta nel 5-10 per cento dei contribuenti più ricchi». Più in generale, sembra a Pisauro che il nuovo tetto alla flat tax — che secondo i calcoli del ministero dell’Economia dovrebbe far entrare nel regime agevolato altre 100 mila partite Iva come minimo — renda ancora più netta in Italia la separazione fra due tipi (molto diversi in quanto a carico fiscale sopportato) di contribuenti: «L’ulteriore estensione implicherà che di fatto rientrerà nel regime forfettario la quasi totalità dei professionisti e larga parte dei lavoratori autonomi. Viene così a realizzarsi una separazione netta tra il regime fiscale di lavoratori dipendenti e pensionati, da un lato, e lavoratori autonomi e professionisti, dall’altro. Per la sua ampiezza, si tratta, almeno tra i Paesi avanzati, di un caso limite di trattamento preferenziale».
Inefficienza nel lavoro autonomo e acquisto di beni strumentali
Un trattamento preferenziale che genera, accusa ancora Pisauro, effetti negativi ben noti: «Genera inefficienze nello stesso settore del lavoro autonomo, in quanto disincentiva l’adozione di forme organizzative più complesse (meglio lavorare da soli che in uno studio associato) e l’acquisto di beni strumentali (i costi degli investimenti non sono deducibili). Più in generale è distorsivo rispetto alla scelta della forma di occupazione tra lavoro dipendente e autonomo (la quota del lavoro autonomo sull’occupazione in Italia è il doppio di quella di Francia e Germania e in Europa è inferiore solo a Grecia e Romania, siamo certi che sia una buona idea farla aumentare?)». Non solo. Come sottolinea, in un articolo su lavoce.info, Bruno Anastasia, ex direttore dell’Osservatorio sul mercato del lavoro regionale di Veneto Lavoro, il regime forfettario contribuisce a far pagare di più anche quei professionisti e lavoratori autonomi che rimangono nel regime ordinario. «Tra il 2018 e il 2020 i lavoratori indipendenti – così identificati sulla base del reddito prevalente – sono scesi da 3,2 milioni a 2,4 milioni, quasi 800 mila in meno, pari a un quarto del totale. Nel contempo, l’Irpef generata dai lavoratori indipendenti è diminuita di oltre 4 miliardi, passando da quasi 24 miliardi a 19,5. Ciò nonostante l’incremento dell’Irpef media pagata da ciascun contribuente, salita da 7.400 a 8.000 euro. La platea risulta dunque essersi fortemente selezionata: meno contribuenti con maggior reddito medio e maggior imposta media. La ragione di questo andamento è riconducibile allo scivolamento verso i regimi fiscali agevolati e, segnatamente, verso il regime forfettario, allargato nel 2019 ai ricavi e compensi fino a 65 mila euro. I contribuenti approdati a tali regimi sono aumentati di quasi 600 mila unità tra il 2018 e il 2020 (da 978.272 a 1.535.840). Il gettito dell’imposta sostitutiva – che sostituisce non solo l’Irpef nazionale ma anche le addizionali regionali e comunali nonché l’Iva – è pari a 2,3 miliardi» (contro i circa 4,5 miliardi di minor gettito Irpef da lavoro autonomo). Andrebbe aggiunto che, mentre l’evasione dell’Iva è in discesa negli ultimi anni, quella dell’Irpef non smette di aumentare.
L’Irpef in 20 anni
La tabella sugli anni dal 2000 al 2020 che pubblica Anastasia, su chi e quanto paghi l’Irpef in Italia, mostra come la quota a carico dei pensionati non smetta di salire («se all’inizio del secolo generavano il 20 per cento dell’Irpef, ora siamo attorno al 30 per cento»), quella dei lavoratori dipendenti è scesa nel 2020 a causa della pandemia (come era già successo ai tempi della crisi del 2008-09) ma oscilla «nei vent’anni considerati in una banda stretta tra il 54 e il 56 per cento», mentre quella dei lavoratori autonomi, già bassa, ha iniziato a scendere ulteriormente già nel 2019, prima che vi si aggiungesse l’effetto pandemia, con l’innalzamento a 65 mila euro della soglia del regime forfettario («il contributo del lavoro indipendente è continuamente sceso: prima della crisi del 2008 valeva il 18-19 per cento dell’Irpef totale, ora vale il 12 per cento»). «Possiamo concludere che il Paese si sta affidando troppo significativamente ai pensionati?» si chiede Anastasia.
Tendenza a sottodichiarare i redditi
Anche Anastasia ricorda un altro effetto distorsivo di flat tax e regime forfettario, già evidenziato, sempre su lavoce.info, da Alessandro Santoro, presidente della commissione che ha redatto la Relazione sull’economia non osservata allegata alla Nota di aggiornamento al Def (Nadef): la tendenza a sottodichiarare i redditi quando si rischia di superare la soglia che consente di rientrare nel regime fiscale agevolato. Santoro concludeva lamentando che «nel nostro Paese il dibattito politico si concentra sulle forme di flat tax e di regimi semplificati per autonomi e imprenditori individuali che, secondo i proponenti, dovrebbero far diminuire l’evasione grazie alla riduzione delle aliquote. Anche su questo tema la Relazione contiene alcuni approfondimenti interessanti svolti dall’Agenzia delle entrate e dal Dipartimento delle finanze. L’Agenzia delle entrate si è focalizzata sul regime “dei minimi” – originariamente introdotto nel 2007 – evidenziando come non abbia contribuito, quantomeno nel triennio 2012-2014, a ridurre il tax gap anche a causa del fenomeno dei “falsi minimi”, ovvero contribuenti che hanno potuto beneficiare dell’agevolazione solo grazie alla dichiarazione di un fatturato inferiore alla soglia dei 30 mila euro. Anche l’analisi svolta dal Dipartimento delle finanze sul regime forfettario introdotto nel 2019, per quanto di carattere preliminare, evidenzia un effetto di autoselezione dei contribuenti con ricavi e compensi al di sotto della soglia massima di 65 mila euro al fine di usufruire dell’imposta sostitutiva prevista dal regime forfettario» (è vero che, nell’alzare il tetto a 85 mila euro, è stata prevista una «tagliola anti furbetti» a 100 mila euro, ma l’effetto potrebbe essere limitato).
Addizionali Irpef regionali e comunali
Un’ultima frecciata di Pisauro è sulle addizionali Irpef regionali e comunali, anch’esse non dovute da chi sceglie di aderire al regime forfettario esteso a 85 mila euro (tetto che, come noto, Matteo Salvini avrebbe voluto fissare a 100 mila euro): «Un bell’esempio di federalismo malato (singolare, vista la parte da cui proviene la proposta): perché mai lo stesso soggetto non dovrebbe contribuire alle spese né del suo Comune né della sua Regione? Ma alla fine forse la motivazione è soltanto quella di favorire, seppure in misura sproporzionata, un segmento importante del proprio elettorato».
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, 2022-11-23 12:21:00, Perché le nuove regola sulla tassa piatta alle partite Iva (fino a 85 mila euro) sono inique? Quanto pagano in tasse un dipendente e un lavoratore autonomo: l’aliquota marginale superiore al 47% e la tassa piatta al 15, Luca Angelini