Folco Terzani: di nuovo in viaggio con mio padre Tiziano

Folco Terzani: di nuovo in viaggio con mio padre Tiziano

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di FOLCO TERZANI

Il figlio del giornalista e scrittore ha curato una versione ridotta di «La fine è il mio inizio», la raccolta di conversazioni uscita nel 2006. L’edizione «redux» si intitola «Fine/Inizio» ed esce per Tea giovedì 14 aprile. Anticipiamo qui la prefazione inedita

Me li ricordo come alcuni dei mesi più belli che abbiamo passato insieme. Ed è strano visto che lui, il viaggiatore, si stava preparando per l’ultimo grande viaggio.

Era la primavera di oltre quindici anni fa e noi stavamo seduti fuori, sul prato, affacciati su questi bellissimi monti, mentre il cucù cantava sullo sfondo. C’era agio, tanto tempo davanti e nient’altro da fare che chiacchierare. Lui si manteneva energico e dignitoso, sempre vestito bene, di bianco, e quando gli si chiedeva come stava, rispondeva: «Benissimo!».

L’avventura finale l’ha affrontata così.

Io, ovviamente, ero incuriosito. Benché lo conoscessi fin dal mio primo giorno, faticavo a capire come potesse vedere quella partenza per l’ignoto come una cosa naturale, quasi piacevole. Volevo che mi spiegasse cosa aveva capito.

Si dice che negli attimi prima di morire tutta la vita ci passi davanti come un film. Tiziano, mio Babbo, invece, aveva deciso di prendersi qualche settimana, o forse anche qualche mese se gli andava bene, per ripassare la sua.

Quanto tempo esattamente gli rimanesse nessuno lo poteva sapere, la scadenza pendeva su tutti noi come una spada di Damocle. Sotto l’acero avevamo un appuntamento fisso, più o meno tutti i giorni, a parte quando il Babbo non ce la faceva. Io registravo le nostre conversazioni e poi, la sera, le trascrivevo. Dopo tre mesi, quando mi ha chiesto a che punto eravamo, e io gli ho detto che non avevo più domande, lui ha smesso di parlare e due giorni dopo se n’è andato, lasciandomi con più di milleduecento pagine di testo.

Da quella mole di materiale dovevo fare un libro.

Qualcuno aveva avanzato dei dubbi sul progetto, in particolare sulla forma del libro-dialogo che, diceva, oggigiorno non funziona. Io e il Babbo, però, ci avevamo pensato e avevamo ribattuto che in fondo gli scritti di Platone sono dei dialoghi, come anche i testi della antica spiritualità indiana come la Bhagavadgita e le Upanisad, di cui il più famoso è il dialogo fra un ragazzo e nientemeno che la Morte stessa, considerata la più grande di tutte le maestre. Evidentemente, in altri tempi, il dialogo aveva funzionato bene. «Si prova!», abbiamo detto.

Mentre trascrivevo le nostre conversazioni, mi piaceva proprio il suono di quella lingua grezza parlata, naturale, e ci tenevo a restituire nello scritto il ritmo del discorso, i silenzi, le piccole esitazioni, a volte anche la parolaccia che scappa. Volevo far sentire la voce di un vecchio che sta parlando a noi, direttamente, senza aggiungere quella patina di elaborazioni e limature che l’avrebbero trasformata in letteratura. È quando uno parla con sincerità che le parole ti arrivano dritto al cuore.

E poi lui parlava bene. Aveva un modo molto semplice di spiegare le cose: non occorre che un pensiero sia complicato per essere vero, anzi. E lui era sempre stato uno che con i suoi racconti riusciva a incantare tavolate intere.

A un certo punto, poi, avevo cominciato anche a registrare dei momenti della nostra vita quotidiana, come quando, ad esempio, ci sedevamo a tavola per mangiare. Così, un po’ per sbaglio, mi sono ritrovato alcune scene umoristiche (come quella delle patate troppo dure) che rivelavano anche le sue contraddizioni e un suo umanissimo lato.

Essendo uscito da poco dalla scuola di cinema, mi è venuto spontaneo di riportare non solo le sue storie e le riflessioni, ma di metterle in scena come un pezzo di teatro che si svolge davanti ai nostri occhi con queste due linee del racconto, una sul filo del passato, in cui le esperienze si accumulano in un crescendo di consapevolezza, l’altra nel presente in cui la salute rapidamente declina. Mi sono immerso in quel lavoro di riduzione del materiale originale e dopo molti mesi, esausto, ho detto: «Basta, è finito!».

La prima persona che ha letto il testo, uno «del mestiere», mi ha detto: «Bene, il materiale è interessante, ora ovviamente va tutto riscritto…». Sottinteso: un buon libro deve essere «scritto bene».

«No, è finito così!», ho insistito, e sono partito per stare con una tribù in mezzo all’Amazzonia, lontano da tutto, a imparare a legare il tetto di una capanna con le liane e a mangiare uova di coccodrillo. Quando sono riemerso dalla foresta e ho chiamato a casa ho scoperto che l’editore aveva letto il manoscritto, l’aveva accolto così com’era e stava preparando per la prima edizione un lancio così grande come mio Babbo in vita sua non aveva mai visto. Io dovevo ripulirmi al più presto dal fango e tornare in Italia.

Il titolo è arrivato all’ultimo momento. Durante le nostre chiacchierate ci eravamo orientati provvisoriamente su Il viaggio più lungo, che davvero non era molto ispirato. Non era emerso niente di meglio e così stava per andare in stampa, al che mi sono agitato: «Questo è il peggior titolo del mondo!». E allora, cosa suggerivo? «Qualsiasi titolo sarebbe meglio, qualsiasi! Anche, non so… la fine è il mio inizio!», che era una frase che avevo appena riletto nel testo.

«Perfetto!» è stato il commento dell’editore, «La fine è il mio inizio».

Perché, adesso, Fine / Inizio?

Ho voluto semplicemente riportare il dialogo originale in versione «redux» — tornato in vita, ridotto di più del 50 per cento e accompagnato da tante foto colorate — alla nuova generazione che guarda già oltre i problemi della politica e dell’economia per cercare una connessione con il mondo più vasto. Per farlo c’è stato bisogno non di aggiungere, ma di togliere. Come ironizzava Voltaire, «vi scrivo una lettera lunga perché non ho tempo di scriverne una breve». Questo è il tentativo di scrivere la lettera breve. Tornando dopo alcuni anni sul testo, mi è stato più facile capire quali erano le parti essenziali, «universali», quelle più «utili» in questo momento storico e quelle che contengono anche, intessuta fra le storie dei viaggi in posti lontani, una filosofia perenne. La guerra in Vietnam nessun giovane sa più cosa sia, ma il problema della guerra non va mai via, è sempre attuale.

Quella che propone Tiziano non è la vita del successo né dei soldi o del potere. Ma non è neanche la vita dell’asceta. Lui stesso è sempre stato ben piantato nel mondo con il suo lavoro di giornalista che deve controllare i fatti, con la sua famiglia solida e la casa piena di antichità cinesi e tappeti afghani. Ha provato ad affrontare personalmente le grandi domande dell’esistenza, senza riprenderle dai testi sacri delle religioni del mondo, che pure conosceva. La sua era una spiritualità laica, molto concreta, che si traduce poi in un invito a tutti a riflettere, a guardare «dietro alla verità dei fatti» e a essere liberi di crearsi la propria vita invece che rientrare in una delle caselle che ci aspettano già pronte. Qualche volta ha provato anche a fare una vita più ascetica, come quando è andato a vivere in una baita sull’Himalaya, sopra le nuvole a 2.400 metri; poi però è stato pronto a ributtarsi nel mondo e tra la gente, a partecipare alle enormi manifestazioni contro la guerra, a parlare nelle scuole, nei conventi, nelle prigioni — ovunque fuorché in televisione, che negli ultimi tempi rifiutava. Più di tutti gli piaceva parlare con i ragazzi, perché hanno l’anima aperta e sveglia mentre, diceva, i grandi sono già fissati nelle loro idee e hanno più difficoltà a cambiare rotta: magari dicono «interessante», poi girano pagina e prendono un cappuccino.

Ci sono tanti mestieri, tanti sentieri per arrivare in cima alla montagna. Ci può arrivare un pastore o un re giusto, un asceta, una ballerina, un colonnello o un venditore di sigarette per strada, magari un banchiere o, come diceva Tiziano, anche un esperto di formiche. Il suo modo era fare il giornalista: viaggiare per vedere il mondo, essere testimone dei grandi eventi storici del suo tempo, osservare i sogni delle rivoluzioni e poi le guerre, conoscere profondamente, anche con amore, le culture di popoli diversi, cercando sempre di mantenere la disciplina della precisione dei fatti. Il giornalismo è stato il suo modo per andare verso la meta, anche se, più in là andava, si ricordava sempre che noi non siamo il nostro lavoro, che c’è qualcosa di molto più grande di cui facciamo tutti parte e al quale, si può pensare, torniamo quando questo corpo lasciamo.

Forse quello che lui proponeva era di vedere la propria vita come una grande occasione per fare un viaggio, sia fuori che dentro.

Tutte le storie più importanti, come quella emblematica del Buddha, per dirne una, sono state raccontate così tante volte che col tempo gli elementi più forti sono stati distillati. A me piace molto ritornare su una vecchia storia, che ha avuto il tempo di sedimentarsi, invece che cercare sempre di inventarne una nuova. Negli anni ti rendi conto di cosa ha un valore duraturo e cosa è transitorio, e solo il tempo ti può dire questo, lì per lì non riesci ad afferrarlo. Un po’ come la musica pop: quale successo di questo mese ci sarà ancora l’anno prossimo? Chi lo sa. Cosa ti ricordi dell’ultimo film, anche dopo solo qualche giorno, cosa ti ha lasciato? Ecco, quello è l’essenziale. Il resto, che pure ti sembrava bello in quel momento, era solo intrattenimento.

Questo racconto parla sostanzialmente di come fare una bella vita. Una vita che può essere completa, intensa e degna di essere vissuta, in modo da poter arrivare in fondo senza sentirsi impauriti o persi, ma soddisfatti. Nascosta fra le parole c’è una mappa delle sue grandi tappe, gli stadi importanti che stanno davanti a ognuno di noi: dal rapido apprendimento della gioventù, alla responsabilità del lavoro e la famiglia, al ritiro verso la natura e le conclusioni finali. È una frizzante, luccicante, vitale uscita di scena. Ma ogni uscita è un’entrata da qualche altra parte, ogni fine è un nuovo inizio!

(© 2022 TEA S.R.L, MILANO/PUBLISHED BY ARRANGEMENT WITH THE ITALIAN LITERARY AGENCY)

L’inedito

Giovedì 14 aprile esce per Tea, a cura di Folco Terzani, Fine/ Inizio. Edizione essenziale di «La fine è il mio inizio». Domande e risposte su come fare una vita di Folco e Tiziano Terzani (Tea, pp. 269, euro 14,90). Il volume, versione ridotta del libro pubblicato da Longanesi nel 2006, è preceduto dalla prefazione inedita di Folco che qui anticipiamo integralmente. Tiziano Terzani (Firenze, 1938 – Orsigna, Pistoia, 2004) ha vissuto per oltre trent’anni in Estremo Oriente, con la moglie Angela Staude e i figli Folco e Saskia, lavorando come giornalista per il settimanale tedesco «Der Spiegel» e collaborando successivamente con altri giornali e quindi con «il Corriere della Sera». I suoi libri, pubblicati in Italia da Longanesi e tradotti in molte lingue, raccontano i grandi eventi storici di cui è stato testimone (dalla guerra in Vietnam all’11 settembre). Tra i suoi ultimi libri, Un indovino mi disse, Lettere contro la guerra, Un altro giro di giostra e La fine è il mio inizio. Tulle le sue opere sono raccolte in due volumi dei Meridiani Mondadori curati da Àlen Loreti. Folco Terzani (New York, 1969) è cresciuto in Asia e ha studiato filosofia a Cambridge e cinema a New York. Ha girato documentari fra cui Il primo amore di Madre Teresa, dopo aver passato quasi un anno come volontario a Calcutta, e Twilight Men, sui suoi periodi con gli asceti indiani dell’Himalaya. In La fine è il mio inizio ha raccolto le sue ultime conversazioni con il padre Tiziano, scrivendo poi la sceneggiatura dell’omonimo film. Ha pubblicato A piedi nudi sulla terra (Mondadori, 2013), Ultra (sulla corsa estrema, con Michele Graglia, Sperling & Kupfer, 2017) e Il cane, il lupo e Dio (Longanesi, 2017).

Il libro verrà presentato domenica 15 maggio a Udine (ore 16, Loggia del Lionello) nell’ambito della diciottesima edizione del festival Vicino/lontano di Udine, dedicata al tema «Sfide». Folco Terzani dialogherà con Àlen Loreti. Come sempre il festival ospita la cerimonia di consegna del Premio Letterario internazionale Tiziano Terzani, che promuove insieme alla famiglia Terzani: appuntamento sabato 14 maggio al Teatro Nuovo Giovanni da Udine. Info: vicinolontano.it

10 aprile 2022 (modifica il 10 aprile 2022 | 19:53)

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, 2022-04-11 19:26:00, Il figlio del giornalista e scrittore ha curato una versione ridotta di «La fine è il mio inizio», la raccolta di conversazioni uscita nel 2006. L’edizione «redux» si intitola «Fine/Inizio» ed esce per Tea giovedì 14 aprile. Anticipiamo qui la prefazione inedita, FOLCO TERZANI

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