Fondazione Agnelli: le (poche) luci e (tante) ombre della riforma degli Its

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di Orsola Riva

Presentato oggi alla Statale di Milano il rapporto sull’Istruzione professionalizzante in italia e in Europa. Gavosto, direttore della Fondazione Agnelli: Gli Its restano delle monadi slegate tanto dalla scuola quanto dall’universit

Doveva essere uno dei fiori all’occhiello della missione 4 del Pnrr, quello dedicato a istruzione e ricerca. Lo stesso Mario Draghi nel suo discorso di insediamento davanti al parlamento vi aveva fatto riferimento, rivelando per la prima volta agli italiani l’esistenza di un segmento di formazione professionalizzante finora colpevolmente trascurato, nonostante garantisca ottime prospettive di lavoro. Parliamo degli Its, gli Istituti tecnici superiori, da non confondere con gli Itis cio con i normali istituti tecnici: dei percorsi di formazione professionale post-diploma di Maturit per lo pi biennali (in alcuni casi anche triennali) alternativi alla laurea vera e propria, incentrati su un sistema misto di lezioni in aula ma soprattutto stage in azienda. Nati una decina di anni fa, formano dei super periti richiestissimi dal mercato (il tasso di occupazione dei diplomati a un anno dell’80 per cento), ma finora hanno avuto un impatto molto limitato (circa 25 mila iscritti). La riforma varata dallo scorso esecutivo aveva stanziato 1,5 miliardi di euro allo scopo di raddoppiare il numero di iscritti in 5 anni in modo da rimediare almeno in parte al disallineamento cronico fra domanda e offerta di lavoro, con un occhio di riguardo al sistema delle piccole e medie imprese. E’ stata una scommessa vincente? A questa domanda dedicato il rapporto della Fondazione Agnelli curato da Matteo Turri, docente di Economia, management e Metodi Quantitativi all’Universit Statale di Milano, presentato oggi nella Sala Napoleonica dell’ateneo. La risposta dello studio, maturata anche attraverso un documentato confronto con analoghe realt di altri Paesi europei, no. O almeno non ancora. Nel senso che per come stata messa a terra dopo il passaggio in Parlamento non risolve alcune delle principali criticit (il rapporto parla di anomalie) del sistema.

Prima fra tutti il fatto che questi percorsi anche nella versione riveduta e corretta delle nuove Academy continuano a essere legati a doppio filo al tessuto produttivo locale (la riforma prevede che le aziende che partecipano anche economicamente al progetto abbiano diritto ad esprimere il presidente della fondazione stessa), ma manchino di una regia centralizzata e condivisa e restino totalmente slegati sia dagli istituti tecnici e professionali che dalle universit. Gli attuali Its – ha commentato Andrea Gavosto, direttore della Fondazione Agnelli – hanno sempre cercato di stringere legami forti con il sistema produttivo circostante (in qualche caso con ottimi esiti, in altri con meno successo), molto meno con il sistema scolastico e quello universitario. Oggi gli Its appaiono come monadi, senza legami organici con il resto del sistema di istruzione: questo comporta che pochi studenti delle superiori siano a conoscenza degli Its come possibili alternative agli studi universitari e che, inevitabilmente, il loro sviluppo proceda a passo lento. Lo stesso isolamento esiste rispetto al sistema universitario. Con soddisfazione di entrambe le parti purtroppo: da un lato le universit diffidano dell’istruzione professionalizzante, dall’altro le aziende sono ben contente che la regia di questi percorsi continui ad essere affidata in modo quasi esclusivo alle partnership con le imprese del territorio.

Nonostante l’importante investimento previsto dal Pnrr, il rapporto sottolinea il rischio che dopo questa pioggia di soldi i finanziamenti pubblici tornino ai livelli precedenti, che sono assolutamente non paragonabili a quelli degli altri paesi. L’attuale finanziamento statale ammonta a 50 milioni l’anno, ma chiaro che per fare un autentico salto di livello anche le risorse pubbliche dovrebbero aumentare in modo esponenziale. Altrimenti il rischio di restare comunque confinati entro proporzioni lillipuziane. Solo pochi numeri per dare un’idea della sproporzione fra il nostro sistema e quello degli altri Paesi: in Svizzera e Germania la cosiddetta istruzione terziaria professionalizzante (le mitiche Fachhochschule) rappresenta la seconda gamba del sistema terziario: la scelgono il 40 per cento dei giovani diplomati. In Francia e Spagna il 30. In Italia gli iscritti ai corsi Its sono appena l’1 per cento degli iscritti totali a un percorso universitario.Nei 121 Its italiani (dati del 2022, cresciuti a 146 nel 2023) gli studenti sono circa 25mila (l’equivalente di un ateneo di medie dimensioni). Ogni Its ha in media solo 180 studenti, con un forte divario territoriale: 230 studenti al Nord, 170 al Centro e 125 nel Mezzogiorno. Le limitate dimensioni – spiega il rapporto – sono probabilmente il principale freno a uno sviluppo degli Its in termini di rilevanza, attenzione, finanziamento e conoscenza da parte delle scuole, delle universit, degli studenti potenziali utenti e dei datori di lavoro.

Se questi sono i rilievi, il rapporto prova ad avanzare anche alcune possibili linee di intervento che potrebbero aiutare a correggere le attuali distorsioni: prima di tutto un rafforzamento del legame con la scuola secondaria di secondo grado. Sarebbe questo anche l’obiettivo dichiarato della riforma degli istituti tecnici e professionali appena varata dal governo Meloni, che propone la creazione di una specie di passerella fra i nuovi diplomi sperimentali di quattro anni e i successivi due anni di Its. Il rischio per – sottolineato da Gavosto nell’introduzione al rapporto – che il “4+2” diventi una specie di percorso di serie B che allontanerebbe gli studenti migliori e farebbe fallire il progetto di una istruzione terziaria che possa fornire un’alternativa di qualit alla formazione universitaria. Gli altri interventi possibili sono: promuovere l’istruzione professionalizzante anche dentro l’universit; definire in modo pi accurato i profili in uscita dagli Its, con una programmazione non pi su base annuale ma almeno triennale. E – ultimo ma non ultimo – garantire investimenti permanenti rilevanti. Quanto? Secondo il calcolo della Fondazione per arrivare ad avere circa 80 mila iscritti all’anno (pari a un quarto degli immatricolati all’universit) ci vorrebbe circa un miliardo l’anno.

Alla presentazione hanno preso parte oltre al professor Turri e a Gavosto, l’esperta dell’Ocse Francesca Borgonovi, il vice presidente di Confindustria Giovanni Brugnoli, Brunella Reverberi (Regione Lombardia) e Arduino Salatin (Istituto universitario salesiano di Venezia). Il rettore Elio Franzini ha concluso i lavori.

5 ottobre 2023 (modifica il 5 ottobre 2023 | 14:21)

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