Formazione e incentivi per i docenti curriculari sono la via per risolvere l’emergenza sul sostegno

Formazione e incentivi per i docenti curriculari sono la via per risolvere l’emergenza sul sostegno

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Gli studenti con disabilità hanno probabilmente sofferto di più il lockdown

Il Direttore Andrea Gavosto su sostegno – Il Sole 24 Ore 18 09 20

La percezione è confermata anche dai 3.200 docenti che in aprile – rispondendo a un questionario di Fondazione Agnelli, con le università di Bolzano, Trento e Lumsa – segnalavano l’esclusione dalla didattica a distanza del 36% degli allievi disabili.

Sarebbe stato quindi fondamentale che alla ripresa della scuola gli studenti con disabilità – come gli altri, più degli altri – trovassero fin dal primo giorno tutti gli insegnanti di sostegno al loro posto.

Non è andata così. Anzi, fra le molte di questo inizio di anno scolastico, l’emergenza per l’organico di sostegno è la più grave. Lo spiegavano ieri i dati riferiti dal Sole 24 Ore: delle cattedre di ruolo da coprire solo una su 13 è stata assegnata, per mancanza di candidati con i giusti titoli. Sulle altre verranno nominati supplenti annuali, ai quali andranno anche i posti di sostegno cosiddetti “in deroga” (50mila per il ministero, 75mila per i sindacati). Ma le nomine sono in grande ritardo e, una volta terminate, chi prenderà il posto spesso non avrà le qualifiche per il sostegno: da tempo, infatti, i corsi organizzati dalle università (Tfa) riescono a formare un numero del tutto insufficiente rispetto alla domanda. Infine, come ogni anno, più della metà degli studenti disabili cambierà insegnante di sostegno rispetto al precedente, con buona pace della continuità didattica.

Giustamente, le famiglie sono in grande allarme: la situazione è inaccettabile; tanto più che il problema si trascina da anni ed era facilmente prevedibile, anche senza il Covid.

Ci sono rimedi? Purtroppo no, almeno non per questo anno scolastico. Certo, prima o poi le nomine verranno fatte, senza che però i genitori abbiano la garanzia che l’insegnante di sostegno assegnato alla classe del figlio disabile possieda – al di là di motivazione e volontà – le risorse professionali per fare bene.

Per il prossimo anno qualcosa di più si potrà fare. Ad esempio, concludere in tempo il nuovo ciclo di corsi di formazione al sostegno, varato a inizio 2020 per quasi 20mila posti, così da avere a disposizione per settembre 2021 questo nuovo contingente di insegnanti qualificati. Inoltre, dare corso a una misura prevista in un decreto legislativo del 2017 e poi rimasta lettera morta, anche perché invisa a parte del mondo sindacale: la possibilità del preside, in accordo con la famiglia, di confermare da un anno all’altro il supplente di sostegno che abbia fatto bene, con beneficio per la continuità didattica dell’allievo.

Anche questi però – va detto – sono cerotti. Perché il nostro sistema di inclusione scolastica – derogando ai suoi stessi princìpi, ancora fra i più avanzati al mondo – nell’attuale pratica concentra tutto sulle spalle dei soli insegnanti di sostegno e si sta perciò inceppando in modo forse irrimediabile, sul piano della qualità. Mentre sempre meno sostenibile dal punto di vista finanziario è la continua crescita del loro numero. Quest’anno nelle scuole statali saranno circa 170mila (un quinto di tutti i docenti) per 268mila allievi con certificazione.

Con gradualità e prudenza, perché è necessario rassicurare e convincere le famiglie che oggi trovano nel docente di sostegno l’unica ancora di salvezza, il sistema va cambiato. L’unica strada che vediamo – insieme a molti esperti italiani – è estendere la responsabilità dell’inclusione degli studenti con disabilità all’intero gruppo degli insegnanti di classe: limitando il numero dei docenti di sostegno – preparati però al massimo livello – e dando a quelli curricolari le competenze di base necessarie per un compito che già oggi le norme assegnano loro, ma di fatto quasi tutti evitano. Servono molta formazione e buoni incentivi, perché per ogni docente si tratterà di fare di più. Dunque, molti quattrini. Il Recovery Fund può essere l’occasione?

Pietro Guerra

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