Fuani Marino: «Volevo morire, spero che mia figlia sarà indulgente con me, cerco di fare del mio meglio»

Fuani Marino: «Volevo morire, spero che mia figlia sarà indulgente con me, cerco di fare del mio meglio»

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di Valerio Cappelli

Al Festival di Torino «Svegliami a mezzanotte» di Francesco Patierno racconta la storia della giovane napoletana, collaboratrice del Corriere del Mezzogiorno, che tentò di togliersi la vita: «La mia vicenda potrebbe essere di aiuto ad altre persone fragili»

«Volevo morire. Morire era il mio ultimo desiderio», dice Fuani Marino. Ha tentato di uccidersi, da un’anonima località di villeggiatura, il 26 luglio di dieci anni fa. Trentadue anni appena compiuti, da quattro mesi aveva partorito la sua prima e unica figlia, Greta. Da quel dramma incompiuto di cui porta ancora i segni è stato girato il docu-film Svegliami a mezzanotte che Francesco Patierno ha tratto dall’omonimo libro scritto da Fuani per Einaudi. Il suo nome è una contrazione dei nomi dei suoi genitori, Furio e Anita, da mesi valutava le altezze in cerca di un punto da cui gettarsi nel vuoto. «Finsi di accompagnare una mia zia, quella a cui ero più legata, nel suo appartamento al quarto piano». Uscì sul balcone si buttò. «Ho pensato che ci sarebbe voluto poco, ricordo la vertigine, la forza di gravità che da un concetto astratto diventa sensazione».

Fuani è napoletana e all’epoca era collaboratrice del Corriere del Mezzogiorno dove si occupava di arte. «Mi sento come una specie di animale in via d’estinzione. Ho accettato il documentario per vanità, forse. O forse per noia». Sembra una risposta «letteraria», di certo Fuani non smussa gli angoli del suo temperamento. Allora, perché si racconta in questo memoir, un diario della depressione dal di dentro? «E senza il filtro di uno pseudonimo…Potrei dire per un atto di autolesionismo, a volte è un sintomo del mio disturbo bipolare dell’umore. Oppure per una forma di narcisismo. C’è questo continuo scavare, che è anche doloroso e per certi versi rimettere il coltello nella ferita mi ha aiutato». Sua figlia ora ha dieci anni. «Ho temuto che mi assomigliasse. Ho un rapporto altalenante, ma anche con me stessa, sono molto critica. Ho imparato a essere madre, non mi è venuto automatico e spontaneo. L’istinto materno è qualcosa che non appartiene a tutte le donne. La tendenza all’accudimento e l’essere madre comporta occuparsi di una persona che sei tu. Io, per temperamento, non sono portata. Poi cerco di fare del mio meglio. Con Greta c’è un rapporto di quotidianità». L’accompagna a scuola? «Non l’ho mai fatto, anche perché la mattina mi alzo molto tardi». Greta l’ha saputo? «Sì, per il momento è indulgente. Nel libro parlo di una seconda nascita, quando, a otto mesi, abbiamo dormito insieme per la prima volta, la prima volta che ho provato un piacere». E suo marito? «Passa per essere l’eroe, è rimasto in una situazione drammatica, abbiamo trovato il modo di continuare, ci sono luci e ombre, il peso lo ha avuto…». Fuani voleva intitolare il suo film Lyrica, come il farmaco che le distende i nervi. «E’ il farmaco che mi ha aiutato, mi è stato detto che non si poteva. Svegliami a mezzanotte…E’ l’ora che preferisco, quando tutto tace. Sono un animale notturno». Passa molte ore a letto, «è il mio rifugio», lavora anche lì, ora è una scrittrice.

Va tuttora dallo psichiatra e prende farmaci. Dice che nel film c’è stato un grande lavoro di ricerca sulle immagini. Sono varie, poetiche con stormi di uccelli, dell’Istituto Luce con psichiatri, e poi filmini amatoriali con Fuani, dove c’è il prima e il dopo: sul letto d’ospedale, col marito e la figlioletta, o vestita di giallo, imbottita di farmaci, pochi giorni prima del suo gesto, senza un rigo di spiegazioni. Com’è stato rivedersi sullo schermo? «Molto strano, è come se non fosse la mia storia, mi riconosco ma con un senso di estraniamento. La voce fuori campo, che si racconta come se fossi io, non è la mia». Lei dice che i suoi genitori si odiavano: ha influito: «Questo non lo sapremo mai, sicuramente c’è una predisposizione genetica a depressione e bipolarismo». Parola odiosa ma stavolta doverosa: c’è un messaggio in questa storia, questa storia? «Non lo so, non è il racconto di una caduta e una rinascita, non la metterei così, non vado a cercare il miracolo». E’ una riflessione sulla solitudine, la storia di una guarigione, per quanto «parziale», che si apre alla speranza. Fuani è sopravvissuta a quel volo di 12 metri. La compassione degli altri è un fastidio? «Sì, è frustrante. Il suicidio, o quando si tenta, si banalizza e ridicolizza, è un terreno pieno di luoghi comuni. Si dice commettere suicidio come se fosse un crimine». Lei non si fa sconti, sembra che la gioia non sia contemplata nel suo destino. Dice che libro e film sono «un gesto politico, spero che sia utile alle persone fragili». «Non sono più tornata nella casa di mia zia, per varie vicissitudini è stata venduta». La mano sinistra non funziona, e lei era mancina, ha dovuto reimparare a scrivere e a mangiare. «Più andavo verso la guarigione e più ero insofferente, saranno anche gli anni che passano». Fuani si è lanciata nel vuoto ma non è morta. E ora, cosa desidera? «stare bene, sentirmi viva».

1 dicembre 2022 (modifica il 1 dicembre 2022 | 16:48)

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, 2022-12-01 15:49:00, Al Festival di Torino «Svegliami a mezzanotte» di Francesco Patierno racconta la storia della giovane napoletana, collaboratrice del Corriere del Mezzogiorno, che tentò di togliersi la vita: «La mia vicenda potrebbe essere di aiuto ad altre persone fragili», Valerio Cappelli

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