di Federico Fubini
Il politologo statunitense, docente all’Università di Stanford: «I russi non capiscono e non sostengono le ragioni della guerra»
Francis Fukuyama ha seguito la svolta di Vladimir Putin in un giorno particolare: il celebre politologo di Stanford partecipa al Budapest Forum, l’evento del Political Capital Institute e della Central European University che raccoglie i critici interni e internazionali di Viktor Orbán.
Professore, Putin sembra in difficoltà. Cos’è in gioco per l’Europa, se il dittatore vince o perde in Ucraina?
«In gioco non c’è solo il destino dell’Ucraina, le implicazioni per l’Europa sono veramente grandi. La posta è decidere quale sia la forma di governo dominante nel mondo. Con il leader cinese Xi Jinping, Putin da qualche anno sostiene che la democrazia liberale è obsoleta. Lo ha detto nel 2019, spiegando che le democrazie liberali non sarebbero efficaci nel prendere decisioni e nel fare grandi cose per i loro popoli. Quindi un fallimento delle proporzioni di quello a cui stiamo assistendo mina completamente il suo messaggio».
Con che conseguenze?
«Molti leader populisti — Orbán, Marine Le Pen, Donald Trump, Eric Zemmour, Vox in Spagna — esprimono ammirazione per Putin. Non su basi ideologiche, ma perché ha quest’aria da uomo forte che fa succedere le cose. Anche i leader populisti in Occidente aspirano a una posizione simile: non vorrebbero essere controllati dai media, dai parlamenti, dai tribunali e dalle altre istituzioni che sono il cuore della democrazia liberale. Ma se ora viene fuori che proprio l’autoritarismo ha facilitato uno dei maggiori fallimenti degli ultimi decenni, allora questo richiamo diventa molto meno potente».
Come valuta la risposta delle democrazie, fin qui?
«La solidarietà è stata notevole. Dato quello che ci si sarebbe potuti aspettare prima di febbraio, il sostegno del mondo libero all’Ucraina è stato impressionante. Dimostra che, sotto pressione, le democrazie sanno reagire».
Ora arrivano i riservisti russi, ma sembra siano privi di convinzione: Putin è l’uomo forte di un sistema debole, che non motiva né persuade i suoi stessi cittadini?
«Nel mio libro La fine della storia e l’ultimo uomo dedico molte pagine alla debolezza degli uomini forti. Ne stiamo vedendo una dimostrazione. In tanti prima di febbraio credevano che Putin avesse uno Stato estremamente forte, perché aveva un esercito sulla carta gigantesco e ci spendeva sopra tutti quei soldi. Ma ora si capisce che nessun esercito è mai più forte delle persone che lo compongono. E la loro motivazione è debole: la corruzione è ovunque, i soldati non capiscono perché devono combattere e, quando lo capiscono, non condividono. Questa probabilmente è la ragione profonda che fa sì che in Ucraina stiano perdendo. Gli ucraini invece sanno esattamente perché combattono: per le loro famiglie, la loro terra, la sovranità e la loro libertà. Sono motivazioni poderose».
In Cina, Xi Jinping continua a imporre durissimi lockdown contro il Covid e non riesce a gestire la crisi immobiliare: problemi simili a quelli di Putin?
«Assolutamente, c’è un parallelismo fra Putin e Xi. Entrambi hanno reso i loro sistemi non solo molto accentrati, anche molto personalistici. Xi è così strettamente legato alla strategia dello “zero Covid” che non riesce ad adattarla neanche quando è chiaro che non funziona. I fallimenti paralleli di Russia e Cina dimostrano come sia buono avere democrazie liberali con regole e vincoli sul potere esecutivo».
Ma anche nelle democrazie liberali qualcosa non va: la protesta populista sembra ormai radicata.
«La gente vota per i politici populisti perché è insoddisfatta. In parte perché non vede crescita economica ed opportunità, in parte perché le élite non prestano attenzione alla vita della gente che non è come loro. Per questo credo che i movimenti populisti continueranno».
In Italia, Giorgia Meloni è la chiara favorita alle elezioni. Che ne pensa?
«Chiaramente non è una buona cosa. Con Mario Draghi l’Italia ha avuto un ruolo guida nell’organizzare la risposta alla crisi ucraina e nel costruire le istituzioni europee. L’arrivo di una leader populista dopo Draghi è una grande battuta d’arresto. Tuttavia mi pare di capire che Meloni non sia come Matteo Salvini. Non è anti-americana, non è anti-Ucraina, non condivide le propensioni terribili di altri populisti europei. Mi pare possibile che si trovi di fronte alle difficoltà del governare l’Italia e diventi qualcosa di più simile a un politico mainstrean. È quello che tutti sperano».
Per molti elettori le sanzioni alla Russia significano solamente caro-bollette. Quanto conta che l’Europa mantenga la fermezza?
«È importante. Neanche l’America è solidissima nel sostenere l’Ucraina: a ogni voto sugli aiuti al Congresso, sempre più repubblicani hanno votato contro. Se viene fuori che alcuni Paesi dell’alleanza si sfilano, questo non aiuta. E se i repubblicani vincono le elezioni di mid-term, questa tendenza può solo accelerare».
21 settembre 2022 (modifica il 21 settembre 2022 | 22:21)
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, 2022-09-21 20:37:00, Il politologo statunitense, docente all’Università di Stanford: «I russi non capiscono e non sostengono le ragioni della guerra», Federico Fubini