di Alessandro Trocino Dopo il tonfo elettorale, i programmi dell’ex ministro degli Esteri, che si è dimesso da Impegno civico: società in proprio, lavoro con una società straniera o un fondo arabo Appena messo piede in Parlamento, i cronisti gli pronosticarono un futuro da democristiano (aggiungendo «senza offesa per gli ex dc»), sarà stato per il completo impeccabile, le scarpe lucide, la parlantina sciolta, il viso pulito, ma soprattutto perché non si coglieva in lui la verve visionaria e istrionica di un Beppe Grillo, lo spirito barricadero guevarista di un Di Battista, l’approccio orobico-eversivo di un Toninelli. Non era granché credibile come paladino di una crociata anticasta e anche gli scivoloni più estremisti, come la richiesta di impeachment per il presidente Sergio Mattarella, apparivano per quello che erano, non spontanee indignazioni etiche, non collere profonde ma incidenti di percorso, inciampi di formazione di un politico ancora acerbo, ma già pronto a tutto. Il finale di partita, provvisorio, è arrivato l’altro giorno – dopo il drammatico 0,6 raccolto alle elezioni – con un messaggio laconico nella chat interna di «Impegno civico», il cartello elettorale propiziato da Bruno Tabacci, per dar manforte al centrosinistra: «Mi dimetto da segretario». A Caprera Un po’ poco per chi aveva lasciato casa e poltrone (con il Movimento 5 Stelle) per seguirlo in una battaglia sgangherata e perdente. Emilio Carelli, Laura Castelli, Primo Di Nicola, Carla Ruocco si son trovati appiedati, sconfitti quasi prima di cominciare a combattere. Di Maio non è Garibaldi, ma ha scelto comunque una sua Caprera virtuale, mollando tutto, i social e i sodali, prendendosi una pausa di riflessione che è fisiologica ma colpisce in un ex enfant prodige della politica e fa infuriare quanti speravano in un avvenire politico con lui. Gli errori e la gogna Di errori ne ha fatti tanti Di Maio ma forse non merita la gogna al quale l’hanno sottoposto gli avversari e anche alcuni ex amici che godono nel vilipendere i cadaveri dei nemici. In prima fila Alessandro Di Battista, che dice di non provare «gioia» ma gli consiglia di «stare alla larga dalla politica e di prendersi una laurea». Consigli non richiesti che sanno di vendetta postuma per un duello che ha segnato tutta la storia dei 5 Stelle. La ferocia con la quale è stato additato da molti «Giggino» in questi anni e mesi — dalle ironie sfiatate sul bibitaro del San Paolo alle voci di rottura con la fidanzata Virginia Saba, dal sarcasmo sui congiuntivi a quello sui nomi sbagliati (Ping invece di Xi Jinping) — è in parte meritata (nemesi per chi ha fatto dell’insulto e della violenza verbale un programma politico) ma non è ammissibile in bocca a chi ha condiviso la favola dell’«uno vale uno» del «signor nessuno», senza competenza, senza esperienza, senza ideologie, ruolo che Di Maio ha incarnato alla perfezione. Obbedienza ed eclettismo I 5 Stelle erano il giocattolo di due sognatori geniali – Grillo e Casaleggio – una macchina potentissima per catalizzare il voto degli scontenti e il malessere degli esclusi e dei frustrati, ma lavoravano per obiettivi e non per principi. Per questo l’eclettismo morale e politico di Di Maio non ha fatto eccezione e lui, come quasi tutti, si è trovato a suo agio con Salvini e con Fratoianni, con Toninelli e con Tabacci, con i «gilet gialli», i «taxi del mare» e la curiale inclinazione al progressismo dei dem. L’obbedienza di fronte alla linea del partito, comprese certe uscite umilianti di Grillo, è stata totale e incondizionata. Fino alla rottura. Lobbysmo, secondo tempo della politica E ora? Ora è il momento di tagliare i ponti con tutti, di chiudere un capitolo e pensare ad altro. Si dice che la politica sia solo il primo tempo di una carriera, il secondo ormai anche da noi, come negli Stati Uniti, è diventato il lobbysmo, l’entrata in quel mondo grigio di consulenze e rapporti che prevede l’esilio volontario in una zona d’ombra dal quale tessere nuove trame a bassa visibilità e alto reddito. Lui non conferma nulla ma le voci corrono. Si parla dell’idea di mettere in piedi una società di consulenza o di lavorare con Bain & Co. Ma c’è chi dice che, sulle orme di Matteo Renzi, Di Maio abbia avuto un’offerta anche da un fondo di investimento arabo. I finanziamenti Del resto, in questi mesi Di Maio è stato abile a costruirsi una rete di rapporti, grazie anche al ruolo di ministro degli Esteri. Durante la campagna elettorale ha ricevuto finanziamenti e donazioni per 300 mila euro, dalla Consap, Alfredo Romeo, Marco Rotelli, l’università telematica Niccolò Cusano, Stigc pressure tanks e Energas Spa. Stop alla politica, per ora E la politica? Per ora, non è il caso di insistere, lo sa da solo. Come per Garibaldi, ci sarà tempo per tornare da Caprera. Emilio Carelli lo difende: «Non si meritava questa fine, i tempi sono stati troppo accelerati, non c’è stato abbastanza tempo per convincere gli italiani». Tabacci – gran democristiano e signore della politica – ne parla solo bene: «È un ragazzo intelligente e di buone qualità. Ma ormai le leadership nascono e muoiono in un breve lasso di tempo. E poi forse non ha capito quanto odio si era catalizzato contro di lui». L’odio e i monumenti Già, odio o forse fastidio, repulsione. Quei sentimenti che gli italiani provano di se stessi, quando si accorgono di avere creduto a qualcosa che si rivela fallimentare, e allora con la stessa passione e ottusità con la quale avevano edificato il monumento a qualcuno, rapidamente lo demoliscono, prendendo a martellate quel che rimane, dimenticando allegramente di aver contribuito a mettere in piedi un altro mito farlocco. Di Maio non ha avuto il tempo e la capacità per costruire il suo movimento e non ha calcolato l’effetto novità, che premia solo i leader nuovi o che si riverniciano di fresco, come Giuseppe Conte, che fino al giorno prima combatteva su un fronte molto diverso da quello neo laburista alla Mélenchon. L’ecomostro Impegno civico Impegno civico ora è rimasto lì, acefalo, sospeso nel nulla, un memento a futura memoria, un ecomostro che non si ha la forza di abbattere. Alcuni dei suoi seguaci si sono imbufaliti, nel leggere quella chat di dimissioni caduta dal nulla, senza scuse, senza spiegazioni, senza nessun tipo di elaborazione del lutto. Alcuni (come Dalila Nesci, Gianluca Vacca e Vincenzo Presutto) si starebbero avvicinando al Centro democratico di Tabacci. Alcuni si apprestano ad aprire un chiringuito. Altri aspettano che si calmino le acque per decidere se provare a ributtarsi in questo circo assurdo che è la politica. Oppure tornare alla vita normale di tutti i giorni, dove uno non è mai valso uno. 24 ottobre 2022 (modifica il 24 ottobre 2022 | 17:35) © RIPRODUZIONE RISERVATA , 2022-10-24 15:36:00, Dopo il tonfo elettorale, i programmi dell’ex ministro degli Esteri, che si è dimesso da Impegno civico: società in proprio, lavoro con una società straniera o un fondo arabo, Alessandro Trocino