Gae Aulenti che adorava l’elmetto giallo e ai misogini non dava corda

Gae Aulenti che adorava l’elmetto giallo e ai misogini non dava corda

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di Maria Luisa Agnese

L’ «architetto geniale», staffetta partigiana a 14 anni, imparò ragazzina caparbietà e indipendenza su cui contò sempre. A partire dal suo lavoro in cantiere

Per la facciata dell’Istituto Italiano di Cultura a Tokyo Gae Aulenti aveva scelto il suo rosso feticcio e ne andava fiera. Ma, come raccontava lei, quel colore non andava bene a un signore ricchissimo che abitava lì vicino. Era il proprietario del giornale più venduto al mondo – allora 14 milioni di copie ogni mattina – e diceva che dovevano cambiare colore. Gae fu anche convocata all’ambasciata italiana per confrontarsi con il potente. A me non piace, diceva lui. A me invece sì, rispondeva lei. È finita che Gae ha tenuto duro ed è tornata in Italia, dove ha trovato sulla scrivania del suo studio in via Fiori Oscuri, a Milano, una busta dei giapponesi. Dentro c’erano dei soldi. Ma Gae non l’hai ma aperta e non ha mai saputo quanti fossero. «È lì la mia rabbia, mi sarebbe piaciuto saperlo» ha concluso raccontando con un sorriso sorvolante l’episodio ad Antonello Aglioti, che era andata a intervistarla per gli Incontri Ravvicinati della Rai.

Era la fine del 2005 e Gae non era più una bambina ma manteneva, della fanciulla indomita che era stata, la fiera caparbietà: testardaggine e indipendenza da lei – figlia di intellettuali del Sud approdata nella capitale lombarda dopo vari giri – imparate quando a 14 anni faceva la staffetta per i partigiani nel Biellese. «Una di quelle donne indocili e libere, sopravvissute alla Seconda guerra mondiale, che non si fanno tarpare le ali» come l’ha definita Annarita Briganti che per i 10 anni dalla morte di Gae (Milano, 31 ottobre 2012) ha pubblicato per Cairo Editore un ritratto di lei, Riflessioni sull’Architetto Geniale. Tutte peculiarità che le sono servite quando «per caso», più che altro per smarcarsi dalla vita di famiglia, era entrata nel mondo dell’architettura. Amava i cantieri, ed era a posto quando li girava con l’elmetto giallo. Ma da subito non fu facile aggirarsi tra operai sospettosi alla vista di una donna, e anche carina, e colleghi tutti futuri architetti alfa con cui bisognava competere.

«La prima volta in un cantiere fu terribile: “Chi è quella lì?” chiedevano. L’architetto, rispondevo. La difficoltà più grande era la misoginia, che era molto forte. Ma io, se ostacolata come donna, tendo a non avvertirlo per non bloccarmi, perché non mi si ritorca contro. Se andiamo a vedere sono esistite delle cose, ma non importanti, lo è di più andare avanti ». Ha sempre fatto finta di niente, come ha confidato a Paolo Di Stefano del Corriere. Sempre andando avanti ha progettato da Palazzo Grassi a Venezia a piazzale Cadorna a Milano, dalla Gare d’Orsay a Parigi al Museo d’arte catalana a Barcellona. Poi le case dei potenti, da Saint Tropez a Villar Perosa: per gli Agnelli era punto di riferimento. In ogni sfida cercava il genius loci, lo spirito del luogo, la tradizione doveva entrare in dialogo con il futuro. Aveva sguardo attento e pronto a farsi sorprendere dalla vita. Come quando a Parigi, col compagno di allora, Carlo Ripa di Meana, e Jacques Chirac, fu travolta dalla pubblica furia amorosa della rivale Marina Punturieri: alla vista della coppia infilzò con un calcio la tibia del povero maschio conteso, spezzandola, pare. Un solo neo: Gae voleva farsi chiamare architetto: Nessuna/o è perfetta.

22 ottobre 2022 (modifica il 22 ottobre 2022 | 07:18)

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, 2022-10-22 05:19:00, L’ «architetto geniale», staffetta partigiana a 14 anni, imparò ragazzina caparbietà e indipendenza su cui contò sempre. A partire dal suo lavoro in cantiere, Maria Luisa Agnese

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