Gas pagato in rubli:  lo stop di Nabiullina e  la frenata di  Mosca. Per Putin è il primo fronte interno

Gas pagato in rubli: lo stop di Nabiullina e la frenata di Mosca. Per Putin è il primo fronte interno

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ENERGIA E CONFLITTO

di Federico Fubini31 mar 2022

Gas pagato in rubli:  lo stop di Nabiullina e  la frenata di  Mosca. Per Putin è il primo fronte interno

Doveva essere un ultimatum all’Europa. È diventato il primo momento dall’inizio della guerra in cui Vladimir Putin si è trovato di fronte a un’opposizione dentro al Cremlino. O almeno, davanti qualcuno che gli ha detto che ciò che cercava di fare non avrebbe funzionato. Alla fine, il dittatore russo ha dovuto prendere tempo sulla scadenza di oggi che lui stesso aveva indicato: non ci sarà per il momento alcun blocco delle forniture di gas all’Europa se i governi dell’Unione, come hanno ripetuto molte volte, continueranno a rifiutarsi di pagare in rubli.

La scadenza

Il 23 marzo era stato Putin stesso a indicare agli europei quella che aveva tutta l’aria di una scadenza stringente: il suo governo, aveva detto, disponeva di una settimana di tempo per presentare una soluzione perché i pagamenti per il gas venissero fatti nella moneta nazionale di Mosca; Gazprom, la società nazionale dell’energia, aveva lo stesso periodo per cambiare i contratti con le aziende dei Paesi da Putin definiti «ostili» dell’Unione Europea. Aveva tutta l’aria di un ultimatum. Ancora due giorni fa il portavoce del Cremlino, Dmitri Peskov, aveva cercato di dare l’impressione che gli europei si sarebbero trovati spalle al muro da domani, se non si fossero piegati a pagare in rubli. Tutto sembrava così credibile che il prezzo del gas e la valuta russa si erano impennati, dopo la minaccia di Putin.

Gazprom

Invece non lo era. Peskov stesso ieri, a poche ore dal presunto ultimatum, è stato costretto ad ammettere che Gazprom non si prepara comunque a tagliare le forniture. «Questo processo richiede tempo da un punto di vista tecnico», è stata la sua versione. La sostanza però è che Putin stesso ha incontrato problemi di natura politica in tutte le capitali: Berlino, Parigi e Roma, da dove è stato messo in chiaro che né le compagnie nazionali né i governi si sarebbero piegati; e a Mosca, dove qualcuno ha detto al dittatore che si stava mettendo sulla strada sbagliata con la pretesa sui rubli. Lo hanno fatto due stretti collaboratori di Putin, secondo diverse fonti convergenti. Sono due fra i pochi che non provengono dagli apparati di sicurezza e che hanno molto meno di settant’anni: il vicepremier Alexander Novak (un economista industriale di 51 anni, già ministro dell’Energia) e Elvira Nabiullina (58 anni), la governatrice della banca centrale della quale Bloomberg giorni fa aveva rivelato il recente tentativo di dimissioni fermato da Putin. Nabiullina e Novak avrebbero dovuto presentare entro oggi il rapporto al dittatore sulla transizione al pagamento in rubli. Ma entrambi gli hanno fatto capire che l’idea di obbligare gli europei a sostenere la moneta russa non sta in piedi. Oggi non c’è sufficiente disponibilità di rubli sui mercati internazionali, sul piano tecnico. Né esiste questa possibilità nei contratti in vigore, sul piano giuridico. E politicamente il progetto si stava scontrando con il rifiuto degli europei — Germania inclusa — e del G7.

A quel punto si sarebbe presentato un ulteriore problema tecnico, se davvero la Russia avesse interrotto per ritorsione le forniture per le quali l’Unione Europea oggi paga circa 800 milioni di euro al giorno: Gazprom avrebbe danneggiato i giacimenti, se avesse bloccato l’estrazione di gas, e allora non sarebbe rimasto che bruciarne la produzione mandando letteralmente in fumo la più grande risorsa della Russia. Nasce di qui il tentativo di Putin ieri pomeriggio di mascherare la ritirata, chiamando i premier di Italia e Germania Mario Draghi e Olaf Scholz. In fondo sono loro i più grandi clienti del gas russo nel mondo. A entrambi l’uomo del Cremlino ha spiegato che il progetto sui rubli varrà da domani. Ma in realtà gli europei avrebbero potuto continuare a pagare in euro e Gazprombank — esente dalle sanzioni — avrebbe poi convertito i fondi in valuta russa. In realtà è quanto di fatto accade già oggi, tanto che il rublo — dopo un crollo del 42% in due settimane — è già rimbalzato fino quasi ai livelli di prima delle sanzioni europee sulle riserve valutarie di Mosca.

Il colloquio

Draghi comunque è stato secco, con Putin: «Faremo solo ciò che è compatibile con i contratti in vigore», gli ha detto (e i contratti escludono pagamenti in rubli). Quanto a Scholz, è stato altrettanto deciso e ha chiesto al leader russo di spiegarsi meglio per iscritto. La fermezza dell’Europa ha messo a nudo la fragilità degli equilibri, anche finanziari, a Mosca. Nelle capitali dell’Unione, non sarà sfuggito a nessuno ora che si tratta di decidere cosa fare davvero con il gas, il petrolio e il carbone della Russia.

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, 2022-03-31 12:32:00, Lo stop di due figure chiave, la banchiera centrale Nabiullina e il vicepremier Novak, sul rifiuto di accettare i saldi in euro o in dollari. Roma ai russi: rispetteremo i contratti in vigore, Federico Fubini

Pietro Guerra

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