Infrastrutture
di Fabio Savelli01 ott 2022
L’obiettivo non più procrastinabile: rovesciare la direzione prevalente dei flussi di gas nel Paese. Ribaltando lo Stivale, da Sud verso Nord. Se Mosca sta ormai chiudendo i rubinetti dal punto di ingresso di Tarvisio, in Friuli Venezia Giulia, è diventato necessario ripensare l’attuale rete di distribuzione di Snam costruendo tre nuove tratte di metanodotti sulla linea adriatica e una nuova centrale di compressione sugli appennini abruzzesi, in un nuovo snodo strategico per la nostra indipendenza energetica individuato a Sulmona, dove l’infrastruttura di gasdotti di Snam al momento si ferma senza proseguire oltre. Una rivoluzione copernicana che cambia il nostro modello inaugurando l’epoca del reverse flow, i flussi inversi verso il Nord, compreso il Nord Europa.
Con la rottura delle relazioni con la Russia, primo fornitore di metano nel 2021 con 29 miliardi di metri cubi (il 38% del nostro fabbisogno), il governo uscente è stato costretto a firmare una serie di accordi con altri Paesi per diversificare gli approvvigionamenti. Conferendo ad Algeria ed Azerbaijan una centralità indiscutibile nelle forniture, potenziando i flussi da Mazara del Vallo (ingresso del gas da Algeri) e da Melendugno, in Puglia, ingresso del metano azero tramite il Tap.
La rete però va inevitabilmente rivista, perché la particolare conformazione manifatturiera del Paese sbilancia la domanda di gas verso Nord — in testa in Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna — per il fabbisogno delle grandi fabbriche energivore «affamate» di metano e di elettricità, quest’ultima trasformata dalle centrali termoelettriche a gas, materia prima che incide quasi al 50% nel nostro mix energetico.
Così uno dei primi provvedimenti che dovrà prendere il nuovo governo che si insedierà a Palazzo Chigi è dare il via libera alla centrale di compressione di Sulmona, che serve a spingere verso Nord il gas che arriva a Melendugno compensando così le forniture russe che via via si stanno riducendo a zero, come comunicato ieri da Gazprom ed Eni. Solo questo impianto vale 180 milioni di investimento, ha avuto l’ok per la valutazione di impatto ambientale già nel 2018 ma è rimasto in coda perché le priorità erano altre. Ora serve l’ultima valutazione di fattibilità del governo dopo il contestato iter di approvazione di quattro regioni — Abruzzo, Lazio, Umbria e Marche — che hanno messo alcuni vincoli alla realizzazione delle tratte, condizionati dai comitati locali preoccupati dalle ricadute sociali, ambientali e sismiche.
Il gestore Snam ha preventivato di spendere due miliardi anticipando la realizzazione dell’intera infrastruttura al 2027, dal 2030 originariamente previsto, proprio per le nuove sfide imposte dalla geopolitica.
Alla centrale di compressione vanno «agganciati» tre gasdotti della lunghezza complessiva di 443 chilometri: il tratto Sulmona-Foligno, in attesa dei successivi passi autorizzativi del ministero della Transizione ecologica; quello Foligno-Sestino a cui manca l’approvazione dello stesso dicastero; e la tratta Sestino-Minerbio, la cui autorizzazione alla costruzione è stata rilasciata. Il progetto contribuirebbe a incrementare la capacità di trasporto per circa 10 miliardi di metri cubi all’anno. Flussi che non sono univocamente attribuibili a Tap e Transmed, ma potenzialmente provenienti anche dagli altri punti di ingresso del Centro-Sud o da eventuali nuovi progetti di importazione.
Il tema si lega a doppio filo al posizionamento dei rigassificatori: urge installarli entro fine marzo a Piombino ed entro fine 2023 a Ravenna. Se avessimo la linea adriatica a regime nulla osterebbe di farlo anche al Sud, ma al momento non servirebbe a nulla.
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, 2022-10-01 20:08:00, Snodo in Abruzzo: serve una centrale e nuove tratte, Fabio Savelli