Gigi Riva, un docufilm racconta la sua storia d’amore (ricambiata) con la Sardegna

Gigi Riva, un docufilm racconta la sua storia d’amore (ricambiata) con la Sardegna

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di Elvira Serra

Riccardo Milani firma la pellicola che ha per protagonista la leggenda del calcio con cui il Cagliari ha vinto l’unico scudetto. La testimonianza di «Rombo di tuono», degli amici, di Barella, Buffon e altri calciatori. Il ricordo con De Andrè

Riccardo Milani vuole bene a Gigi Riva. E ai sardi. Perché è riuscito nell’impresa, titanica, di entrare in punta di piedi nella casa cagliaritana del nostro Rombo di Tuono, per restituircelo con misurata dolcezza nella sua fragilità e autenticità di oggi, nei silenzi, nel riserbo, nella timidezza, nella nuvola di fumo che avvolge la sua poltrona bianca accanto alla finestra, nelle poche parole con cui ricorda e si racconta, nella lealtà di una vita lontana dalla ribalta, dai locali alla moda, dalle spiagge griffate.

Ma non è solo questo che ha fatto Riccardo Milani nel suo Nel nostro cielo un rombo di tuono, il docufilm dedicato alla leggenda del Cagliari che tuttora detiene il record dei gol firmati con la maglia azzurra (35) e che arriverà nei cinema sardi il 7 novembre, data del 78esimo compleanno di Gigi Riva, per poi sbarcare nel resto d’Italia. Il regista romano è riuscito anche a spiegare attraverso immagini, voci e suoni, perché noi sardi lo amiamo così tanto, ricambiati, e che cosa ha rappresentato per un’isola intera, dove i militari venivano spediti per punizione.

Ha ricostruito il sentimento di un’epoca che si è tramandato di generazione in generazione, di padre in figlio, attraverso i video originali delle navi che lasciavano i porti gremite dei tifosi in trasferta con i maialini arrosto e gli organetti per fare festa, o quelle del bambino che spiegava a un giornalista che a Orgosolo ci sono le persone buone e le persone cattive esattamente come «in Continente» o, ancora, con quelle dei due latitanti che si fecero arrestare allo Stadio Amsicora di Cagliari perché erano andati a vedere la partita dello scudetto, vinto con una giornata di anticipo nello straordinario 12 aprile del 1970, pur sapendo cosa avrebbero rischiato.

La scena si apre proprio quel giorno, al Poetto, con in sottofondo le note di Non potho reposare, la dichiarazione d’amore per eccellenza di ogni sardo: non posso riposare amore caro, pensando a te soltanto ogni momento. L’amore di Gigi è stato il Cagliari e non a caso a un certo punto del documentario dirà: «Ero già un mezzo sardo quando sono venuto qua». Perché dei sardi condivideva — e condivide — la riservatezza, il pudore, quel senso di appartenenza che ha fatto suo se non dal primo giorno, quando si sentiva un deportato, quasi subito dopo, quando ha trovato tra i giocatori rossoblù quella famiglia che tanto gli era mancata, il padre morto che aveva 9 anni, la mamma che lavorava per mantenere lui e le tre sorelle, il periodo in collegio rimbalzato da Leggiuno a Varese a Milano, quando gli imposero di usare la mano destra anziché la sinistra, ma non poterono impedirgli di esercitare il suo tiro mancino ogni volta che si trovava vicino a un pallone. Sua madre Edis lo disse: «Il mio Gigi lo metteranno sulla Gazzetta». Purtroppo non fece in tempo a vederlo.

Ma non fu solo il calcio, dopo, a trattenere Gigi Riva in Sardegna e a fargli rifiutare le ripetute lusinghe di Boniperti e dei grandi club, compresa quella folle offerta da un miliardo di vecchie lire che fece impazzire il presidente del Cagliari Andrea Arrica quando poi lui rifiutò. C’erano gli amici normali, il pescatore Martino, i tifosi, le persone dell’entroterra che andava a trovare durante le scorribande in auto, pestando sull’acceleratore, a casa di pastori e di paesani sconosciuti che però lo consideravano uno di famiglia. Il docufilm dura due ore e quaranta. Gigi Riva dalla sua nuvola di fumo parla pochissimo. Ma per lui parlano gli amici, i compagni di squadra, chi lo ha conosciuto e chi non lo ha mai conosciuto di persona, ma lo sente comunque uno di casa, lo zio fragile e potente che ha cambiato le sorti della Sardegna. Lo spiega Massimo Moratti: «Ha trasformato l’idea che gli italiani avevano dell’isola». Ha dato coraggio a un popolo, lo ha reso orgoglioso, gli ha offerto un motivo per cercare il proprio riscatto. Ha fatto piangere di gioia gli emigrati che lo andavano ad applaudire negli stadi e i tifosi che lo seguivano in casa e in trasferta al grido di: «Forza Gigi!».

È difficile scegliere un’immagine su tutte. Certamente gli appassionati troveranno gli spezzoni delle partite cruciali, degli infortuni, di quel rigore inesistente in favore della Juventus fischiato da Concetto Lo Bello, impossibile da parare per Enrico Albertosi, e della vendetta fredda con cui poco dopo Gigi mise dentro il pallone del 2-2. «E se lo sbagliavo?», gli chiese lui. «Te lo facevo ripetere», rispose l’altro. Ci sono le testimonianze di Barella, di Zola, di Buffon, di Baggio, di Matteoli, dei giocatori sardi che ha ispirato e di quelli che ha aiutato a maturare nel ruolo di dirigente della Nazionale. C’è la musica degli artisti sardi, dei Tenores di Bitti, di quelli di Neoneli, ci sono i Mamuthones. E c’è un’istantanea, struggente, con Fabrizio De Andrè e Gigi Riva seduti di spalle, di cui si comprenderà fino in fondo tutta la dolcezza soltanto alla fine, prima dei titoli di coda. Era facile sbagliare qualcosa, in questo documentario. Anche senza volerlo. Riccardo Milani non lo ha fatto. Perché vuole bene a Gigi Riva. E ai sardi.

5 novembre 2022 (modifica il 5 novembre 2022 | 16:28)

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