La visita della premier avviene in un momento in cui l’attenzione verso il gigante asiatico ai massimi livelli
La visita di Giorgia Meloni in India avviene in un momento in cui l’attenzione verso il gigante asiatico ai massimi. E’ l’India di tutti i sorpassi. Simbolico per motivi storici, stato il sorpasso del suo Pil su quello del Regno Unito, l’ex potenza coloniale fino al 1947.
Pi consistenti, altri due sorpassi, stavolta ai danni della Cina: quest’anno l’India scavalca la sua grande rivale nella gara demografica e diventa la nazione pi popolosa del mondo; inoltre stando alle previsioni del Fondo monetario internazionale nel 2023 la crescita economica indiana dovrebbe essere superiore a quella cinese.
Si aggiunge il fatto che in questi giorni Delhi ha assunto la presidenza di turno del G20, un ruolo che ne esalta anche l’importanza geopolitica: il premier Narendra Modi finora riuscito in un capolavoro di equilibrismo, perch la sua politica estera filo-americana quando si tratta di contenere la Cina, per rimane neutrale sull’Ucraina e mantiene buoni rapporti con la Russia (da cui compra non solo petrolio e gas ma anche armi).
Una curiosit finale riguarda l’irresistibile ascesa della diaspora indiana negli Stati Uniti. Giorgia Meloni non l’unica ad accorrere alla corte di Narendra Modi: l’hanno preceduta il cancelliere tedesco Olaf Scholz, diversi ministri americani, e in queste ore stanno arrivando ministri degli Esteri da tutto il mondo (incluso il russo Sergei Lavrov) per una riunione del G20.
Tutti corteggiano l’India, che diventata la portavoce pi influente del cosiddetto grande Sud globale, una versione aggiornata del movimento dei non allineati che proprio un indiano, il premier dell’indipendenza Nehru, port a battesimo nel 1955. L’India ci ha abituati da almeno vent’anni a questi momenti di euforia, in cui viene designata come la nuova Cina, destinata a scalzare la sua ingombrante vicina nell’attenzione dei media e degli investitori globali.
Da un ventennio, regolarmente, le promesse sono state tradite. Riassumo i paradossi di questa gara tra l’elefante e il dragone. Sulla carta l’India ha dei vantaggi rispetto alla Cina: ha una popolazione che continua a crescere, una forza lavoro pi giovane, una vasta percentuale anglofona, ha delle eccellenze in campo tecnologico (Bangalore e Hyderabad sono le Silicon Valley del subcontinente asiatico). A questi dati strutturali che esistono da molto tempo, si aggiunta una novit geopolitica che ha preso corpo negli ultimi anni. La nuova guerra fredda Usa-Cina ha suscitato un dibattito sulla necessit di ripensare la globalizzazione, privilegiando le localizzazioni industriali in paesi amici, alleati o affidabili.
L’India, storicamente antagonista della Cina con cui ha frontiere contese – dove ogni tanto i due eserciti si affrontano in scaramucce sanguinose – in una posizione ideale per catturare nuovi flussi d’investimenti da parte di quelle multinazionali che vogliono ridurre la loro dipendenza dalla Cina. Ricordo il caso di Apple che vorrebbe passare dalla situazione attuale in cui l’85% dei suoi iPhone sono assemblati in Cina, ad un futuro in cui il 40% verrebbero prodotti tra India e Vietnam.
Ma tra le potenzialit dell’India e la sua realt, c’ sempre stato un divario importante: ed l che sono nate le delusioni. L’India non mai riuscita a superare i suoi ritardi in alcuni settori chiave: infrastrutture e logistica, energia, efficienza dell’amministrazione pubblica. La corruzione esiste anche in Cina ma quella della burocrazia indiana pi pervasiva e paralizzante. I blackout energetici hanno perseguitato le imprese indiane riducendone la produttivit. La qualit della manodopera cinese, dei quadri e tecnici cinesi, pi la velocit dei flussi di trasporto dalla fabbrica cinese al consumatore occidentale, sono tutti dei parametri con cui l’India fatica a misurarsi. Per qualcosa sta cambiando e molti osservatori ritengono che sotto Modi i ritardi siano stati quantomeno ridotti, se non eliminati.
Il 2023 sar un anno di boom negli investimenti in infrastrutture, +33% a quota 120 miliardi di dollari. Il clima economico un po’ meno ostile nei confronti delle imprese private, e sono andate in porto delle privatizzazioni-simbolo come il ritorno di Air India alla dinastia Tata. Il recente scandalo che ha colpito l’impero economico del magnate Adani non ha avuto le temute ripercussioni sulla credibilit del governo Modi. Le stelle sembrano allineate in modo favorevole. Ma bisogna sempre mantenere il senso delle proporzioni: l’India rimane un’economia pi piccola rispetto alla Cina, e meno estroversa perch il suo modello di sviluppo stato trainato dalla domanda interna ed ha sempre avuto delle caratteristiche autarchiche. La presidenza del G20 un bel test per la sua nuova statura diplomatica.
Oggi l’India al centro di tutte le ambiguit. Fa parte del Quad cio il quadrilatero delle democrazie dell’Indo-Pacifico (con Stati Uniti Giappone Australia) in funzione di contenimento dell’espansionismo cinese. Rafforza la sua cooperazione militare con gli Stati Uniti da cui aumenta anche le importazioni di tecnologie belliche. Per non aderisce alle sanzioni contro la Russia. Su questo come su altri terreni si tocca con mano l’eredit del periodo socialista, quando l’India di Nehru e Indira Gandhi fu al tempo stesso leader del Terzo mondo (cos chiamato perch non allineato nella guerra fredda Est-Ovest) e partner strategica dell’Unione sovietica da cui riceveva aiuti e armamenti. L’India si fa guidare peraltro da una regola geopolitica di buonsenso: avendo gi in Asia un’avversaria grossa e invadente come la Cina, vuole tenersi buona almeno l’altra grande vicina che la Russia di Putin.
N bisogna mai dimenticare la spina nel fianco che il Pakistan: la prima teocrazia musulmana moderna (molto prima dell’Iran), e la prima ad avere l’atomica islamica. Il Pakistan, con il suo sostegno al terrorismo islamico sul suolo indiano, aiuta a capire anche gli scivolamenti di Modi verso l’integralismo induista, gli attacchi contro la laicit dello Stato, la tentazione di restringere gli spazi per l’opposizione. In Occidente questo si traduce nella demonizzazione di Modi descritto come un aspirante autocrate che starebbe trascinando la democrazia indiana alla rovina; queste voci iper-critiche provengono per molto spesso da ambienti intellettuali e artistici che hanno nostalgia del partito del Congresso, cio il clan familistico dei Gandhi affondato nella corruzione. L’India potente anche grazie alla sua diaspora. Il caso degli Stati Uniti emblematico. Ai vertici dei colossi americani Big Tech, da Google a Microsoft, ci sono dei chief executive di origine indiana (Sundar Pichai per Google, Satya Nadella per Microsoft).
Joe Biden ha appena nominato come nuovo presidente della Banca mondiale un altro top manager nato in India: Ajay Banga, che in precedenza era stato il capo della Mastercard.
Infine c’ la politica. E’ di madre indiana l’attuale vicepresidente di Biden, Kamala Harris. E nella gara per la nomination all’elezione presidenziale del 2024, in capo repubblicano si sono gi candidati due politici che hanno origini familiari indiane: Nikki Haley (ex ambasciatrice all’Onu di Trump) e l’imprenditore biotech Vivek Ramaswamy. Ci sono cinque parlamentari di origine indiana al Congresso di Washington e una cinquantina nelle assemblee legislative nazionali. Tra l’altro nella diaspora indiana emigrata negli Stati Uniti che Narendra Modi trov un sostegno prezioso fin dagli inizi della sua ascesa politica.
L’Italia ha in India l’ambasciatrice pi clandestina del mondo: Sonia Gandhi, vedova di un primo ministro assassinato, madre di Rahul Gandhi che l’attuale leader del partito del Congresso. Sonia Gandhi ha sempre temuto che la sua origine straniera potesse essere usata contro di lei, contro la sua famiglia, contro il partito del Congresso. Per non prestare il fianco ai sospetti di servire gli interessi italiani anzich quelli della sua nuova patria, ha ridotto al minimo i suoi rapporti con il paese d’origine. La stessa regola valsa per i figli. Perci ha fatto scalpore lo scoop di Aldo Cazzullo che di recente riuscito a intervistare Rahul, infrangendo la consegna del silenzio verso l’Italia.
Ora tocca all’Italia liberarsi di quelle scorte residue che si crearono all’epoca dei mar: l’India troppo importante nel mondo perch una crisi bilaterale possa ostacolare i rapporti. Al G20 Modi vorr dare un’importanza speciale al tema della sicurezza alimentare per il grande Sud globale. Anche qui visibile una contraddizione indiana. Delhi si erge a paladina degli interessi dei paesi poveri; in realt una superpotenza agricola, una delle maggiori esportatrici mondiali di riso e grano. Quando la guerra in Ucraina provoc delle fiammate inflazionistiche nelle derrate agroalimentari, l’India non esit a bloccare le proprie esportazioni di grano e farina, in modo da riservare la produzione al mercato interno e cos calmierare i prezzi.
1 marzo 2023 (modifica il 1 marzo 2023 | 19:49)
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