di Simona Lorenzetti
Ribaltata la sentenza della Corte d’Appello Civile di Torino. Non solo, i supremi giudici hanno anche stabilito che l’indennizzo dovrà essere «equo e adeguato»
Sono trascorsi 12 anni dal giorno in cui Giorgino Monteanu, 15 anni, venne ucciso a coltellate nei giardinetti di Borgo Vittoria da due fratelli, due bulli di quartiere a cui non offrì una sigaretta. Era il 2010 e ora lo Stato dovrà indennizzare i genitori del ragazzino. Lo ha deciso la Cassazione, che ha ribaltato la sentenza con cui la Corte d’Appello Civile di Torino aveva negato qualsivoglia ristoro alla famiglia. Non solo, i supremi giudici hanno anche stabilito che l’indennizzo dovrà essere «equo e adeguato»: in sostanza, non potrà essere una cifra standardizzata, ma dovrà essere personalizzata al danno subito.
La causa ruota intorno alla «Direttiva Ce numero 80 del 2004» che impone agli Stati membri di garantire un adeguato ed equo ristoro alle vittime di reati violenti intenzionali quando gli autori sono irreperibili o nullatenenti. Una norma a cui l’Italia si è adeguata solo tra il 2016 e il 2017, con due diverse leggi che hanno sancito che in caso di omicidio l’indennizzo previsto dallo Stato è pari a 50 mila euro (60 mila per gli omicidi domestici). Nel 2010 gli assassini di Giorgino, Marcelin e Florin Jitaru, vennero arrestati e condannati rispettivamente a sedici anni e mezzo e a dodici anni di carcere. Nessuno, però, ha mai risarcito la famiglia. Così i genitori del ragazzo, Elena e suo marito Cristinel, hanno deciso di rivolgersi allo Stato, trascinando in tribunale la Presidenza del Consiglio dei ministri e chiedendo che venisse condannata a pagare un indennizzo per l’omessa attuazione della «Direttiva Ce numero 80 del 2004».
Dopo il Tribunale, nel 2018 anche la Corte d’Appello respinse il ricorso degli avvocati dei coniugi, Stefano Commodo, Renato Ambrosio e Gaetano Catalano dello studio Ambrosio & Commodo: per i giudici la norma valeva solo per gli stranieri che non sono residenti nel nostro Paese. Elena e suo marito sono romeni e vivono a Torino da oltre vent’anni. Adesso la Cassazione ha ribaltato il verdetto e ordinato un nuovo processo d’Appello per quantificare l’indennizzo. Ed è questa la novità di una sentenza destinata a cambiare il panorama giuridico degli indennizzi. I giudici, in pratica, chiariscono che i 50 mila euro stabiliti dalla legge del 2017 che ha recepito la direttiva non possono essere una cifra standardizzata. Ma l’indennizzo deve essere equo e adeguato in base al danno patito: non un «completo ristoro del danno» al pari del risarcimento, ma neanche un indennizzo «simbolico».
«La sentenza — spiegano i legali — restituisce alle vittime di reati violenti intenzionali pari dignità rispetto alle vittime del terrorismo , della mafia e ai caduti nel dovere. La personalizzazione, inoltre, permette di valutare il valore intrinseco della perdita. In questo caso due genitori che hanno perso un figlio di 15 anni». Inoltre, la pronuncia della Cassazione supera anche il paradigma secondo il quale l’indennizzo era dovuto solo alle vittime transfrontalieri, cioè persone che non risiedono sul territorio italiano: «Non è una condizione necessaria alla tutela e la mancata trasposizione della norma è una violazione grave e manifesta».
La battaglia legale non è ancora terminata. Famiglia e legali si preparano ad affrontare di nuovo la Corte d’Appello di Torino, che dovrà adeguarsi ai principi della Cassazione.
4 agosto 2022 (modifica il 4 agosto 2022 | 15:30)
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, 2022-08-04 13:30:00, Ribaltata la sentenza della Corte d’Appello Civile di Torino. Non solo, i supremi giudici hanno anche stabilito che l’indennizzo dovrà essere «equo e adeguato», Simona Lorenzetti