Giuliano da Empoli: «Mosca sta usando tutta la violenza che cova nella società russa»

Giuliano da Empoli: «Mosca sta usando tutta la violenza che cova nella società russa»

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di Stefano MontefioriLo scrittore racconta in un romanzo fantapolitico la vita e le gesta di Vladislav Surkov, il «Mago del Cremlino» che ha davvero trasformato il Paese in una distopia DAL NOSTRO CORRISPONDENTE PARIGI — Vladislav Surkov è stato il consigliere ufficiale di Putin sull’Ucraina, ma ancor prima l’uomo che ha contribuito a portare il nuovo Zar al potere. Un anno fa Surkov ha fatto un passo indietro, ma resta il solo a meritare la sinistra espressione di «Mago del Cremlino», titolo dell’appassionante romanzo che Giuliano da Empoli gli ha appena dedicato. Nel libro, in uscita per Gallimard il 14 aprile, Vladislav Surkov diventa Vadim Baranov perché «i fatti sono reali, i dialoghi e la vita privata immaginati — spiega da Empoli in un caffè parigino —. L’idea, alla quale ho cominciato a lavorare sette o otto anni fa, era di entrare nella testa di questi personaggi e la fiction, paradossalmente, è l’unico modo che permette di arrivare comunque a una forma di verità». Le mage du Kremlin parla di teatro d’avanguardia e dittatura, di spin doctor e violenza — il cuore del regime putiniano sin dagli inizi —, delle luci basse della borghesia occidentale e della durezza implacabile dei lampadari di Mosca o San Pietroburgo, e della realtà parallela che da sempre, ben prima delle menzogne sull’eccidio di Bucha, viene propagandata ai russi. Finito di scrivere un anno fa, il libro è uno sguardo sull’abisso di queste ore. Perché la frase di apertura è una citazione di Alexandre Kojève, «La vita è una commedia che va recitata con serietà»? «Riassume bene lo spirito del personaggio e di questa vicenda: in un mondo grigio di ex funzionari del Kgb e di affaristi, Surkov esce dall’Accademia di arte drammatica di Mosca, scrive romanzi sotto pseudonimo e i testi per un gruppo di rock gotico, ha in casa i poster del rapper americano Tupac Shakur, e prende il suo lavoro di spin doctor come una performance artistica». Quanto pesa questo nella costruzione del regime di Putin e anche nella tragedia di questi giorni? «È fondamentale, perché Surkov importa nella propaganda politica l’approccio del teatro d’avanguardia: non comunica la realtà, la crea. Una realtà che almeno all’inizio prevede il potere assoluto di Putin ma anche il finto contropotere di partiti di opposizione in realtà totalmente controllati e anzi incoraggiati da Surkov. Una realtà che assomiglia molto allo straordinario romanzo distopico Noi di Evgenij Zamjatin, che nel 1920 ha previsto la società di controllo pervasivo che domina oggi in Russia e si fa sentire anche in Occidente con i social media, da Tinder a Facebook». Da Surkov a Putin, il valore fondamentale sembra il cinismo. «Il cinismo e l’ironia. Sono aspetti molto presenti non solo nei leader ma in tutta la società russa. Quando in pochi decenni si attraversano tre sistemi di valori ogni volta interpretati in modo assoluto e all’eccesso — il comunismo, poi il capitalismo selvaggio, poi l’attuale nazionalismo ammantato di sacri valori ortodossi — il risultato è che nessuno crede più in niente». Molti hanno sostenuto che il Putin sanguinario di queste settimane è un uomo diverso da quello che era un tempo. È così? «Non direi proprio. La violenza che vediamo dispiegata in queste settimane è all’origine del dominio di Putin sulla società russa». Nel libro viene ricordato il momento terribile dell’«11 settembre russo», gli attentati che nel 1999 devastarono due edifici alla periferia di Mosca e che scatenarono in reazione le atrocità della seconda guerra in Cecenia. Fu quella la svolta? «Putin all’epoca era già al potere, ma poco popolare: non superava il 3 per cento nei sondaggi. Quegli attentati misteriosi, dai responsabili mai accertati ma attribuiti ai ceceni, permisero a Putin di porsi come il salvatore della patria minacciata. Grozny fu rasa al suolo o quasi, e quella violenza permise a Putin di imporre non solo il suo potere ma anche la sua popolarità». La guerra in Ucraina risponde alla stessa esigenza? «Con cadenza regolare, Putin ha bisogno di sfogare all’esterno le violenza che cova nella società russa e sulla quale lui ha costruito il suo regime. Nel mio libro immagino un dialogo notturno nel quale Putin ragiona sulla perdurante popolarità di Stalin tra i russi. Gli occidentali pensano che sia perché i russi hanno dimenticato delle purghe, dice, ma è vero il contrario. Stalin resta popolare proprio a causa dei massacri: lui sì che sapeva come si trattano i nemici del popolo». Se la vita è una grande messa in scena da recitare con serietà, si spiegano anche le contro-verità russe sul massacro di Bucha e altre atrocità. «L’inversione straordinaria è che oggi le fake news si travestono da fact-checking sulle notizie dall’Ucraina. I cadaveri lasciati per strada? Secondo i russi sono attori». Come possono pensare di essere presi sul serio? «È propaganda a uso interno, soprattutto, ma qualcuno che ci crede lo trovano anche in Occidente. La realtà non conta poi molto nel teatro d’avanguardia. Non importa che la versione ufficiale sia credibile e ben fatta. Anzi, meglio dare due, tre, anche cinque spiegazioni diverse, e se sono strampalate pazienza. L’obiettivo non è convincere, dare certezze, ma distruggere ogni certezza». Perché Surkov ha lasciato il Cremlino? «Quelli come lui, i manipolatori sottili, in questa fase hanno perso. Di fronte alla violenza nuda e cruda, c’è poco spazio per loro. Ma l’eredità di Vladislav Surkov rimane. Se non hai la forza di imporre il tuo ordine, punta sul caos. Temo che sia questa la strategia che Putin adotterà in Ucraina». 4 aprile 2022 (modifica il 4 aprile 2022 | 21:40) © RIPRODUZIONE RISERVATA , 2022-04-04 19:41:00, Lo scrittore racconta in un romanzo fantapolitico la vita e le gesta di Vladislav Surkov, il «Mago del Cremlino» che ha davvero trasformato il Paese in una distopia, Stefano Montefiori

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