di Roberto Gressi
Il leader 5 Stelle come un nobile decaduto, cerca un nuovo ruolo. Con il voto punta ad avere una pattuglia che risponda solo a lui
Quando un’ostetrica marchigiana lo ha fatto nascere, mamma Lillina, maestra, e papà Nicola, segretario comunale, mai potevano immaginare che avrebbe azzoppato un leader leghista e affondato un governo . Né che sarebbe stato a sua volta disarcionato, e che avrebbe guidato all’assalto la truppa dopo aver fatto fuori, con la complicità di un comico, tutti i colonnelli del suo partito, e né che ci fossero oggi Bonnie e Clyde (Alessandro Di Battista e Virginia Raggi) ad aspettarlo dietro l’angolo del voto anticipato per portargli via tutto. Ma nei suoi occhi avevano già visto il balenio della Forza, per quanto un po’ sedotta dal lato oscuro.
Giuseppe Conte, un metro e settantotto per settantotto chili, da Volturara Appula, nato l’8 agosto 1964, sotto il segno del Leone. Superbo e un po’ egocentrico l’uomo Leone non si accontenta mai e non passa inosservato. Sono piccoli, lui e la sorella Maria Pia, quando il padre li trasferisce a San Giovanni Rotondo, terra di Padre Pio, al quale tutta la famiglia, religiosissima, è profondamente devota. Giuseppe gira ancora e sempre con il suo santino in tasca, e la preghiera lo accompagna. Della sua adolescenza sappiamo che ha tutti bei voti, ma non apre il libro di matematica.
Bellino, piacicchia alle ragazze, cura il ciuffo e l’abbigliamento, intanto sorveglia dalla finestra della classe la moto fiammante che lo attende di sotto. La classe è quella del Liceo Classico di San Marco in Lamis, intitolato a Pietro Giannone. Filosofo del ‘700, perseguitato dalla Chiesa per le sue idee, che però secondo Alessandro Manzoni non erano sue, ma le aveva copiate. Conte si trasferisce nella Capitale e come prima cosa si innamora della Roma. Nel palleggio fa la sua figura. Laurea con lode in Giurisprudenza alla Sapienza, che per uno come lui è il minimo sindacale. Anche perché studia nel collegio universitario di Villa Nazareth, che ha visto passare, vuoi come insegnanti vuoi come studenti, Aldo Moro e Oscar Luigi Scalfaro, Sergio Mattarella e Romano Prodi, Leopoldo Elia e Pietro Scoppola. Nel consiglio era attivo Giovanni Bazoli, direttore con Conte era Pietro Parolin, ora segretario di Stato vaticano, nonché papabile, almeno nelle chiacchiere di Curia.
Segnate la data: 18 settembre 2013. Allievo prediletto di un avvocatone come Guido Alpa, Conte viene eletto dalla Camera dei deputati come membro del Consiglio di presidenza della giustizia amministrativa, con il sostegno dei Cinque Stelle. Si occupa tra l’altro anche del caso Bellomo , il magistrato che imponeva alle allieve le minigonne. Ecco fatto, un piede è dentro. È lì che vanno a cercarlo populisti e sovranisti nel 2018. Luigi Di Maio e Matteo Salvini si sono piaciuti ma non possono cedere l’uno all’altro la campanella del premier. E quindi fanno un contratto e chiamano l’avvocato per farlo rispettare , che poi a governare ci penseranno loro. Per la verità c’è prima un ballottaggio con Giulio Sapelli, ma per Conte farlo fuori è un gioco da ragazzi. Con l’umiltà e l’attitudine alla sofferenza imparate da Padre Pio, incanta i due futuri vicepremier: è lui il vaso di coccio che cercavano.
Il resto è quasi cronaca. Le polemiche per gli incarichi universitari avuti con l’amico Guido Alpa in commissione, l’imbarazzo per un curriculum un po’ gonfiato , e poi, segnale d’obbedienza verso Lega e Cinque Stelle, l’iniziale passo indietro quando Sergio Mattarella dice che no, un ministro antieuro alla guida dell’Economia non se lo piglia neanche dipinto. La sua sembra una carriera da cavalier servente, mentre in realtà sta solo aspettando di prenderci la mano.
Eccolo allora usare gli artigli, allorché Salvini si infila nella trappola del Papeete . Conte tira schiaffi, Salvini rincara, minaccia, strappa e poi tratta, promette e alla fine quasi implora: ma ormai è fatta, muore il governo gialloverde e nasce quello con il Pd, con Matteo Renzi che convince il Pd a tenersi Conte. Quella che segue è l’età dell’oro dell’uomo con la pochette. La pandemia, l’emergenza, i proclami, le rassicurazioni, fino alle trattative in Europa per il Pnrr. Ma poi il governo si impantana, vivacchia, Renzi ora gli tira i pomodori. Giuseppi, così ribattezzato da Trump, prova a servirgli la stessa medicina che aveva riservato a Salvini. La verve non manca ma i voti sì, anche se li elemosina perfino da tal Lello Ciampolillo , al quale quasi promette di diventare vegano se lo voterà.
Dura è la vita dei nobili decaduti: palazzi pignorati, gioielli impegnati, Grillo che gli offre la guida dei Cinque Stelle e poi si scoccia perché vuole comandare davvero, un tribunale gli toglie i poteri sul partito e poi glieli ridà, i peones lo trattano a pesci in faccia mentre Mario Draghi usa con robusto successo la campanella che Conte gli ha di malavoglia lasciato .
Ora Giuseppe va alle elezioni. Non ha più alleato il Pd, Enrico Letta quella pochette gliela farebbe ingoiare, i sondaggi lo danno sul filo del 10%. C’è chi dice che i suoi consiglieri gli avevano giurato che poteva strappare, tanto il governo non sarebbe caduto. E quindi si sarebbe fatto fare fesso e ora rischierebbe di essere crocifisso. Per altri invece era proprio quello che voleva, il voto anticipato, pur attraverso la scusa di un termovalorizzatore e un inquietante terzismo tra Russia e Ucraina. Obiettivo: liberarsi di una banda di scappati di casa e avere in Parlamento una pattuglia che risponda a lui e a lui solo. Per tornare ad avere un ruolo, perché aver assaggiato Palazzo Chigi è una malattia che espone a continue ricadute. E perché va bene essere umili, ma pure Padre Pio, quando Agostino Gemelli voleva controllargli le stimmate, lo lasciò fuori dalla porta.
11 agosto 2022 (modifica il 11 agosto 2022 | 07:28)
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, 2022-08-11 05:28:00, Il leader 5 Stelle come un nobile decaduto, cerca un nuovo ruolo. Con il voto punta ad avere una pattuglia che risponda solo a lui, Roberto Gressi