l’editoriale Mezzogiorno, 30 aprile 2022 – 10:19 Le morti bianche di Sergio Talamo Tre anni dopo, Cosimo Massaro vive solo nel ricordo chi gli ha voluto bene. Eppure, era molto di più di una cifra nell’elenco delle vittime del lavoro. Era un figlio del Sud, un figlio di Taranto. Uno dei tanti ragazzi che dai paesi ionici vengono nel capoluogo a chiedere solo normalità: il lavoro, la fidanzata, gli amici. Dal vino rosso di Fragagnano al mare immenso sotto di te, da vegliare chiuso nella cabina di una gru. Trasportava ferro e carbone per conto dell’Italsider, dell’Ilva, di Arcelor Mittal, nomi diversi per un mostro di cui non vedi le grinfie perché diventa la tua seconda casa, il posto che ti fa sentire sicuro, che ti dà lo stipendio, le ferie e un futuro. Quando, nel luglio 2019, una tempesta lo fece volare via, con lui se ne volarono mille altre favole, quelle dei contadini illusi e ingannati, che lasciarono la casa e i campi per casermoni che i piani regolatori piazzavano sotto l’acciaieria, si fecero assumere dalla casa-madre o dalle imprese di un indotto fragilissimo perché appeso a un solo committente, si specializzarono in mansioni sempre più pericolose perché qualcuno risparmiava sulla sicurezza. I sommozzatori lo cercarono per tre giorni, Mimmo Massaro, mentre sul molo campeggiavano le immagini funebri dei resti delle gru spezzate. Il suo sacrificio non fu certo l’unico. Il padre di Francesco, morto il 12 novembre 2012, ricordò che suo figlio aveva appena 29 anni. Ea andato da quattro giorni a vivere con la sua ragazza e voleva costruire una casetta su un ulivo per farci giocare il bambino che sarebbe venuto. Ma a Taranto basta un po’ di vento a far chiudere le scuole, e se il vento aumenta può frantumare anche il più solido dei sogni. Tre anni dopo, la tragedia di Mimmo Massaro riemerge in un tribunale. Nel luglio 2019 la Procura avviò un’inchiesta. Oggi sono rinviati a giudizio, per omissione dolosa di cautele contro gli infortuni sul lavoro e cooperazione in omicidio colposo, sei dirigenti, un capoturno e la stessa Arcelor-Mittal, in base alle norme sulla responsabilità amministrativa delle imprese. La tesi, accolta dal gip, è che le gru utilizzate per lo scarico dalle navi non fossero in sicurezza. La morte di Massaro non fu l’esito solo della tempesta e del vento che quel giorno sferzava lo Ionio. Le tenaglie antiuragano delle gru, i dispositivi deputati a garantire la stabilità degli impianti, «non venivano installati ed utilizzati in conformità alle istruzioni di uso». Inoltre, i vertici della società, secondo l’accusa, ordinarono «la prosecuzione delle lavorazioni in quota malgrado le avverse condizioni meteo, che esponevano il personale a inaccettabile rischio che non veniva minimamente valutato». Questo nuovo capitolo della sciagura rende ancora più nero il cielo di quei giorni. Caso, fatalità, destino, sono parole che tutti maneggiamo con la cautela che si deve a ciò che non possiamo prevedere e neppure capire. L’idea, opposta, di un ragazzo abbandonato a morire in una gabbia a 60 metri da terra perché qualcuno ha omesso, risparmiato o speculato fa gelare il sangue. La civiltà esige che nessuno sia ritenuto colpevole prima di una sentenza. Per ora, quindi, occorre limitarsi a sperare che ci sia giustizia per quel volo infame di Mimmo, con il naso gonfio di ferro e salsedine, gli occhi persi nell’ignoto, il cuore spezzato dal terrore e dal pensiero di un amore che stasera ti aspettava per cena. 30 aprile 2022 | 10:19 © RIPRODUZIONE RISERVATA , 2022-04-30 08:20:00, Le morti bianche,