Tarcisio Burgnich, il gladiatore umile che si inchinò soltanto a Pelè

Tarcisio Burgnich, il gladiatore umile che si inchinò soltanto a Pelè

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di Paolo Di Stefano

Il calciatore Burgnich, la roccia, raccontato da Paolo Di Stefano. Friulano, amava il silenzio. Quel gol e l’addio a mio fratello

Roccia il nome che gli assegn, a futura memoria, il capitano Armando Picchi. Era il 6 ottobre 1963, Spal-Inter, quando l’ala ferrarese Novelli and a sbattere contro un avversario nerazzurro e fin per rimbalzare a qualche metro di distanza, mentre l’altro prosegu imperturbabile la sua azione. L’altro era Tarcisio Burgnich e Armando, che aveva giocato nella Spal, and a consolare il suo vecchio compagno di squadra rotolato sull’erba: Per forza, quello una roccia.

Quando si parla di Burgnich, arcigno, coriaceo, implacabile sono gli aggettivi pi frequenti, qualcuno lo definisce una colonna, la Colonna della difesa di Helenio Herrera, che lo volle a Milano dopo una stagione cos cos alla Juventus e una stagione piena al Palermo. Gianni Brera, dopo il 4-3 di Citt del Messico contro la Germania, lo chiam l’immenso, l’eroe della giornata, e gli assegn in pagella un 9 pi come minimo, non tanto per il gol del 2-2, gi in s sufficiente a iscriverlo nella leggenda dei santi difensori: quel voto era un premio per aver tenuto l’area da grandissimo gladiatore. E se lo diceva il Gionn fu Carlo…

I muscoli di marmo

La Roccia, la Colonna, l’Eroe, il Gladiatore, l’Immenso. Eppure, lui riteneva che l’essere umile fosse la qualit indispensabile del difensore. Del resto, se a vederlo aggredire Gigi Riva sembrava un colosso, la sua statura non superava il metro e 75. Certo, di marmo. E con tutto quel marmo nei muscoli, riusciva anche a volare. Come il 9 aprile 1967, contro il Bologna. Gino Palumbo, che sul Corriere faceva le cronache nella prima met al passato remoto e nella seconda met al presente, registr, nel fango di San Siro, uno scontro tra i due ringhiosi difensori Furlanis e Burgnich, da cui, manco a dirlo, ebbe la peggio il ginocchio del terzino rossobl, che venne trasportato fuori dal campo in barella. Poi descrive (al presente) il gol del 2-1 a sei minuti dalla fine. C’ una punizione, protesta Haller, batte Corso, Vavassori — chiss perch — resta fermo tra i pali, s’eleva Burgnich, il colpo di testa secco, gol.

Perch quel colpo di testa della Roccia friulana sarebbe rimasto inciso nella roccia friabile della mia memoria interista? Avevo dieci anni, quel pomeriggio pioveva anche a Lugano, e avrei saputo dopo, facendo qualche calcolo di cronologia, che Burgnich s’elev sul fango di San Siro proprio nei minuti in cui anche mio fratello Claudio, a cinque anni, si elevava per sempre, da due mesi malato di leucemia. Fu quasi una coincidenza perfetta, minuto pi minuto meno. Claudio era interista come me e s’elev mentre a San Siro in 40 mila circa, 13 mila abbonati e 25.186 paganti, esultavano. Quella contemporaneit sfacciata mi ha sempre impressionato. il calcio, bellezza, direbbe Orson Welles. O meglio, la vita, bellezza. Perch non c’ retorica nel dire che il calcio, con le sue insensatezze, a volte fa capire meglio la vita (e ovviamente la morte).

Ora, ha fatto male al cuore, dopo la morte di Pel, vederlo e rivederlo nel suo momento peggiore, l’Immenso (lo era stato fino alla semifinale), quel giorno dell’estate 1970 in cui contro il Brasile non riusc a elevarsi: vedere il Gladiatore cos storto e sbilenco a braccia larghe farsi sovrastare dal divo O’Rey. Brera, finita la bella festa, non salv neppure il nostro santo difensore (5,5), riconoscendogli di essersi arrangiato su questo autentico fenomeno del football ricorrendo a falli non sleali, ma comunque contrari al regolamento. Calcando ingiustamente il testo dello sberleffo, il Gionn Brera avrebbe poi scritto che in quella posa sgraziata Burgnich diede la strana sensazione di essere appeso a un ramo di mango.

Sulle figurine

Mi ritrovo tra le mani una pagina del Corriere d’Informazione, il giornale pomeridiano del Corriere della Sera, datata luned 22 marzo 1976: occupata da un’intervista a Tarcisio Burgnich, che allora giocava per il Napoli, avendo lasciato l’Inter dopo una dozzina d’anni di vittorie. Nella pagina, intitolata La Nazionale? Una squadra di brocchi (titolo che a leggere l’intervista risulta invero un po’ forzato), l’ex terzino passato al ruolo di libero rispondeva alle domande telefoniche dei lettori. Ma la grande fotografia che colpisce: cornetta all’orecchio, insolitamente incravattato e sorridente, mentre in genere le figurine Panini lo riprendono piuttosto corrucciato sin da giovanissimo.

Unica variante, in anni pi tardi, le basette appena allungate e allargate alla base, malcelata concessione ai coetanei ribelli, ma il taglio sempre lo stesso, severo e con riga a lato, simile a quello del suo alter ego di sinistra, Giacinto Facchetti, terzino fluidificante, si diceva allora, con licenza di avanzare, mentre Tarcisio era tenuto a presidiare la difesa e a francobollare l’attaccante pi pericoloso. Salvo escursioni folli fuori dall’area: 6 gol in 467 partite nell’Inter.

Giuliano, Tarcisio, Giacinto, Gianfranco (o Carlo), Aristide, Armando, Jair (o Angelo), Sandro, Aurelio (o Renato o Beniamino), Luisito, Mario… Non solo perch Jair sempre Jair, anche attraverso i nomi di battesimo facile riconoscere la famosa formazione dell’Inter europea e mondiale, Sarti Burgnich Facchetti…, la pi recitata a memoria della storia del calcio italiano forse perch suona con lo stesso ritmo della canzone di Petrarca pi studiata a scuola, Chiare, fresche e dolci acque…, una metrica quasi naturale per gli italiani, settenario-settenario-endecasillabo. Ma pensate chiamare oggi Tarcisio il proprio figlio, o Giacinto, o Aristide… Nomi-classicit greca e latina, nomi magniloquenti degni del regime.

C’erano poi i nomi pi comuni ed eterni: Mario, Carlo, Alessandro, ma gi Sandrino, il diminutivo con cui Mazzola veniva chiamato da Tarcisio, gli aggiunge, sentito oggi, una patina di ruggine.

E Burgnich, poi. Che i dizionari onomastici segnalano come un cognome rarissimo, dodicesimo persino a Ruda, il minuscolo paese friulano, a pochi chilometri da Aquileia, dove il 25 aprile 1939 nacque Tarcisio, il cui padre, un operaio della Snia che aveva fatto la Grande Guerra nelle file dell’esercito austriaco, si chiamava nientemeno che Ermenegildo, come un principe visigoto. Fatto sta che Ruda, come Burgnich, come Tarcisio, come Ermenegildo hanno consonanti e vocali che evocano la durezza delle rocce, appunto. Arcignit naturale.

Una volatina

Amava i silenzi come altri friulani famosi (Bearzot, Zoff…), e sentirlo parlare in televisione era raro. Giocando terzino qualche volatina me la faccio, e mi porta divertimento, disse in un’intervista Rai al giornalista che gli chiedeva se preferisse per caso giocare centrale di difesa, il ruolo che avrebbe coperto in tarda et anche in Nazionale. Quel diminutivo, volatina, sulla bocca dell’Arcigno suonava un po’ lezioso, ma non stupisce che un combattente come lui continuasse a cercare, nella fatica di togliere aria e luce al centravanti avversario, lo stesso divertimento che trovava da ragazzo pedalando verso il campetto del paese.

Da allenatore ebbe un momento magico nel 1980 con il Catanzaro di Palanca, l’anno dopo fece esordire nel Bologna il sedicenne Roberto Mancini. Spieg che nei suoi giocatori cercava la consistenza: Sar un mio vecchio pallino ma io credo nei calciatori combattivi, in quelli che danno un peso alla squadra.

Mor il 26 maggio 2021, esattamente cinquant’anni dopo l’amico Armando Picchi, colui che l’aveva battezzato a futura memoria. La Roccia si elev cos per l’ultima volta a Forte dei Marmi, toponimo-destino particolarmente adatto alla sua tempra forte e marmorea. Il francobollatore di attaccanti fu francobollato solo dalla malattia.

19 febbraio 2023 (modifica il 19 febbraio 2023 | 21:37)

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