Glukhovsky: «La nostra vita nelle mani di un pazzo. E noi che fingiamo di non vedere»

Glukhovsky: «La nostra vita nelle mani di un pazzo. E noi che fingiamo di non vedere»

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di Dmitry Glukhovsky

Dmitry Glukhovsky, lo scrittore più venduto in Russia, è inseguito da un mandato di cattura: in questo articolo spiega come una generazione che non aveva vissuto gli orrori delle purghe stia assistendo a una deriva fascista senza trovare il coraggio di protestare

Dmitry Glukhovsky è lo scrittore più venduto in Russia negli ultimi 10 anni, autore popolarissimo tra gli adolescenti per via di una saga post apocalittica dalla quale è stato tratto un videogame di grande successo. Ora — come scritto da Marco Imarisio, qui — è inseguito da un mandato di cattura, accusato di aver gettato discredito sull’Armata russa: reato punibile con una pena variabile tra i dieci e i quindici anni di reclusione. Questo è il testo del suo ultimo articolo.

La mia generazione non ha conosciuto le repressioni e le purghe di massa, non ha assistito ai processi farsa in cui la folla rabbiosa pretendeva la fucilazione dei traditori della patria, non ha respirato l’atmosfera di orrore universale, non ha imparato a cambiare, dalla sera alla mattina, le sue convinzioni, a credere a comando tanto alla perfidia degli alleati di ieri come alle buone intenzioni dei nemici storici, al solo scopo di giustificare una guerra fratricida.

La mia generazione non era presente durante i prodromi morali e militari dei due conflitti mondiali.

L’Unione sovietica che abbiamo conosciuto noi si era già trasformata in un pachiderma tranquillo: ormai non condannava più a morte chi si rifiutava di credere alle sue menzogne di fondo, anzi, consentiva ai cittadini di aprire dibattiti privati, tra di loro, seduti tranquilli in cucina. Né esigeva più acclamazioni quando rotolavano le teste di coloro che erano stati tacciati come «nemici del popolo».

Eppure, tutti coloro che avevano conosciuto il passato non si compiacevano affatto nel ricordarlo, e adesso abbiamo capito il motivo. Perché la sopravvivenza, in tali circostanze, esigeva innanzitutto un compromesso con se stessi, con la propria coscienza.

Sì, era necessario voltare le spalle, sì, si doveva anche applaudire, e qualcuno era addirittura costretto a eseguire le condanne a morte, volente o nolente, per evitare di finire egli stesso sul patibolo. La gente non vuole ricordare queste cose e, più specificamente, non vuole ammettere che sono accadute. Ci voleva coraggio non solo per protestare, ma anche per astenersi, e ci vuole coraggio per ricordare, in seguito, come anche tu una volta – e forse più di una volta – hai scelto di agire per sottrarti alla minaccia che pesava sulla tua testa.


E oggi proprio a noi, a quelli della mia generazione, accadono cose in diretta alla televisione cui non avremmo mai immaginato di assistere.

Stiamo accumulando un’esperienza sorprendente: l’occasione per capire come mai i nostri nonni e bisnonni hanno taciuto e sopportato, come mai intere nazioni sono precipitate nel baratro della follia, come mai i popoli hanno chiuso entrambi gli occhi davanti ai tiranni che scatenavano guerre mondiali, come mai alcuni sono saliti sul patibolo senza dire una parola e altri hanno accettato il compito di calare la lama.

Oggi vediamo con i nostri occhi come si fa a disumanizzare altri esseri umani prima di annientarli: attraverso lo scherno, la diffamazione, la storpiatura delle loro parole e motivazioni, negando loro la dignità di sentire e agire come persone.

Sappiamo bene come si mimetizzano i predatori: il lupo strappa il vello della pecora che ha appena sbranato e lo usa per camuffarsi. Stiamo imparando a coltivare nel nostro animo l’indifferenza verso l’ingiustizia di quando sta accadendo palesemente sotto i nostri stessi occhi: la cosa non ci riguarda, e forse non ne subiremo le conseguenze, basta mantenere le distanze e non scherzare col fuoco. Dopo tutto, come si fa a provare empatia e compassione per tutti gli esseri umani su questa terra! Stiamo imparando a non simpatizzare con la vittima, ma con l’aggressore. Se ti schieri a fianco del predatore, allora ti sembrerà di essere dalla sua parte, accanto a lui, stretto a lui. È come restare attaccati allo squalo: non c’è nulla da temere, anzi, potremmo approfittare di qualche brandello di carne che sfugge ai suoi denti aguzzi.

Stiamo imparando a chiudere gli occhi davanti alla spirale di follia che si è impadronita dei nostri governanti e a condividere le loro posizioni.

Come l’attendente ne Il buon soldato Schweik di Jaroslav Hašek, che ha assorbito e fatto sue le castronerie del comandante, anche noi ci siamo bevuti le loro perverse teorie complottiste fino ad abituarci a tal punto al loro gusto che oggi ne reclamiamo a gran voce una nuova dose.

E dopo tutto, se non credi a loro, a chi devi credere?

Non è forse meglio mangiare merda piuttosto che andare a letto pensando che la tua vita è nelle mani di un pazzo scatenato?

Esiste forse un fenomeno che si chiama follia collettiva?

Sì, adesso sappiamo come restare con la bocca cucita, voltare le spalle, chinare il capo e tenerci stretti i nostri pensieri, ma dobbiamo ancora imparare come si fa a respingerli con le nostre sole forze. Per non vivere nella paura, per non sentirci vigliacchi o schiavi, dobbiamo imparare a credere fermamente in quello che fino a poco tempo fa a tutti noi appariva come una falsità. Dobbiamo imparare a marciare compatti, ad applaudire a comando, convinti fino in fondo, acclamando quando i nemici della nazione vengono messi a morte e provando un brivido di piacere nell’ascoltare i discorsi dei nostri governanti. Dobbiamo osannare le guerre, festeggiare lo spargimento di sangue. Trovare spiegazioni e giustificazioni, inebriati dal tradimento dei nostri fratelli e dalle rappresaglie brutali sferrate contro di loro. Fingere di non accorgerci, e forse realmente non ce ne rendiamo più conto, come il nostro paese si è incamminato verso la dittatura fascista, seguendo le sue stesse orme, verso un destino che, ahimé, conosciamo fin troppo bene.

Non abbiamo voluto indagare il passato perché sicuri di averlo lasciato alle spalle. Pensavamo che quelle atroci e terrificanti sensazioni sarebbero rimaste per sempre sepolte tra le pagine dei libri di storia. Eppure cresce di giorno in giorno il numero di fantasmi che si nutrono di rancori, si sottraggono alla legge e avanzano pretese su di noi. Strappano le pagine di quei libri, e dal passato morto e sepolto avanzano strisciando a insidiare il mondo dei viventi. Reclamano sangue e vengono abbeverati con il sangue di coloro che vivono qui e ora. Con il nostro sangue, rosso e caldo, al posto di quello nero e disseccato. Dovremo imparare a pensare all’unisono e a marciare inquadrati, timorosi della curiosità del vicino di casa e del rumore di un’automobile nel cuore della notte; imparare a baciare sbavando le icone e i ritratti dei nostri leader, credendo fedelmente a tutto quanto verrà proclamato dai Soloviev e dai Tolstoy di questo mondo come pura e legittima verità, tenendo bassa la testa nel terrore costante di questa nostra non vita: imparare a fare tutto questo…

Oppure imparare a fare il contrario: a preservare la nostra memoria e pensare al futuro, rinunciando alle ruggini e rifiutandoci di vivere prigionieri del passato.

A non prestar fede alle menzogne e reclamare sempre la verità.

Ad alzare la voce, discutere, credere e combattere per la nostra dignità.

Finora non abbiamo appreso niente dall’esperienza di coloro che sono vissuti e morti prima di noi, per poter fare le cose in modo diverso. È proprio per questo che ci resta ancora tanto da imparare.

(Traduzione di Rita Baldassarre)

10 giugno 2022 (modifica il 10 giugno 2022 | 14:40)

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