di Maria Teresa MeliÈ categorico sull’ex presidente del Consiglio: «Non voglio fare alcun partito con il leader M5S» Goffredo Bettini, il suo libro si intitola «A sinistra da capo»: nostalgia del Pci? «Non del Pci, anche se è stato un grande partito, fondamentale costruttore della democrazia italiana. Semmai della sinistra. Di quel sentimento insopprimibile e antico, molto più antico del Novecento, che ha spinto le persone a lottare per vivere pienamente e a rifiutare la propria mutilazione esistenziale e spirituale. Questo sentimento è oggi disperso e negato. Sono aumentate le ingiustizie ed è in bilico il destino del mondo. Ci sarebbero tutte le ragioni per ricostruire il pensiero e l’azione della sinistra; a difesa del dolore e della fatica del vivere. Questa è la priorità, tutto il resto viene dopo». Vuole fare un nuovo partito con Giuseppe Conte? Ne avete parlato al pranzo di compleanno dove ha invitato anche Massimo D’Alema? O vuole spostare il Pd a sinistra, magari rischiando una scissione? «Non voglio fare alcun partito con Conte. Il leader del M5S gioca la sua partita. Abbiamo insieme ben governato l’Italia. Ora siamo in una fase totalmente diversa. È il momento dell’autonomia del Pd, di un ritorno alle ragioni della nostra esistenza. Occorre scegliere il nostro punto di vista sul mondo di oggi. Questo è il senso che do al nostro congresso costituente. Siamo una forza critica che pratica il conflitto democratico, oppure condividiamo una visione “apologetica” della modernità? Stiamo con l’elmetto della Nato o per un’Europa rispettosa delle sue alleanze storiche, ma autonoma e multipolare? Siamo con il salotto buono della borghesia italiana o con il lavoro povero, la precarietà, la disoccupazione, la fatica femminile? Siamo per stroncare l’evasione fiscale e per un fisco progressivo o per risparmiare qualche spicciolo togliendo ai poveretti il reddito di cittadinanza? Naturalmente schematizzo. Ma non si può continuare con una sorta di “mezzadria dell’anima” che ci ha reso incolori. L’esito di questo chiarimento profondo deve essere accettato da tutti. La scissione si rischia se si reprime il confronto, che da troppo tempo rimandiamo». Concorda con Enrico Letta che propone primarie a marzo o è troppo tardi? «Condivido il percorso. Tardi? Non scherziamo! La destra ha vinto. Dobbiamo da subito fare opposizione in modo fermo e intelligente. Ma per una ricollocazione del Pd ci vuole il tempo necessario. Non credo che il governo Meloni sia destinato a cadere in pochi mesi. A noi spetta agire e pensare, contrastare nell’immediato l’avversario e riaprire una prospettiva strategica». Dicono che il suo candidato sia Andrea Orlando… «I nomi sono tanti e di diverse generazioni. Il Pd ha una classe dirigente di prim’ordine. Va liberata dagli schemi dentro ai quali essa stessa si è imprigionata. Ci vuole pensiero nuovo. Robusto, non improvvisato, meditato e sobrio, umile e ambizioso allo stesso tempo. Ci vogliono gli intellettuali. Pasolini forniva “rasoiate” sulla realtà italiana; oggi il massimo che si manifesta dal mondo della cultura sono inviti metodologici al rinnovamento. Posso dirlo perché da anni non coltivo ambizioni personali. Ma il rinnovamento senza idee è “nuovismo” senz’anima. Per fortuna tra le nuove generazioni, nei territori, sono cresciuti talenti (penso a centinaia di sindaci) che sono il futuro della sinistra». Lei certifica l’addio del Pd all’agenda Draghi… non salverebbe niente di quell’esperienza? «C’è tanto da salvare. Dobbiamo essere grati a Draghi per quello che ha fatto per l’Italia. Ma Draghi è stata una risposta transitoria, a tempo, di emergenza in una situazione eccezionale. Qualcuno l’ha voluto trasformare in un modello per il futuro, in una formula politica, in una sospensione illimitata della sovranità dei partiti e del Parlamento. Questo ha danneggiato in primis Draghi, anche nella sua legittima aspettativa sulla presidenza della Repubblica. In questo senso l’era di Draghi per me deve essere definitivamente chiusa. Ora il confronto torna ad essere politico, aspramente politico». Non teme che Conte voglia cannibalizzare il Pd? «Conte è entrato nel nostro elettorato perché la sinistra non ha fatto la sinistra. È puerile protestare perché qualcuno conquista una parte dei nostri consensi. In politica se lasci un vuoto, qualcun altro è destinato a riempirlo». E con il Terzo polo che rapporto immagina? Hanno candidato Letizia Moratti in Lombardia… «Anche il Terzo polo gioca la sua partita. Particolarmente indirizzata a condizionare il Pd, a fare confusione al suo interno. Il campo dell’opposizione è frammentato. Andrebbe almeno coordinato meglio in Parlamento; ma non mi illudo su atti di generosità, buonsenso, e unitari. Quindi il Pd, come raccomandava di fare Machiavelli nei momenti di spaesamento e crisi di ogni organismo politico, deve ritornare ai suoi principi fondativi; quelli che lo hanno generato. Navighiamo in bolina, ma se rafforziamo la nostra vela arriverà il sereno». Ritiene possibile un’intesa con il M5S nel Lazio? «Sarebbe naturale avere un’intesa. Nicola Zingaretti ha governato bene con un’alleanza che ha visto il Pd e il M5S protagonisti con convinzione. Innaturale sarebbe rompere e regalare anche il Lazio alla destra. Se si salva l’alleanza larga, si può vincere e certamente si troverà il candidato migliore e più competitivo». Per la segreteria del Pd si fanno i nomi di Stefano Bonaccini e Dario Nardella: gli amministratori locali sono gli unici dem che ancora vincono, non sarebbe il caso di lasciare la guida del Pd a loro? «Gli amministratori locali sono la carta in più del Pd. Ma nessuno può pensare di guidare il partito per il ruolo che ricopre, senza cimentarsi sulle scelte di merito e politiche. Ripeto: c’è un tema di pensiero e di nuova lettura del mondo. Su questo si giocherà la segreteria dei democratici». 8 novembre 2022 (modifica il 8 novembre 2022 | 07:25) © RIPRODUZIONE RISERVATA , 2022-11-08 06:26:00, È categorico sull’ex presidente del Consiglio: «Non voglio fare alcun partito con il leader M5S», Maria Teresa Meli