Mikhail Gorbaciov, morto martedì 30 agosto a 91 anni, demolì il Muro, ma passa alla Storia come un gigante senza pace. Credeva che ogni nazione dovesse decidere il proprio destino: l’opposto di quanto pensi Vladimir Putin
Un eroe tragico, un gigante senza pace, il comunista che cercando di salvarlo seppellì il comunismo, il patriota che con le migliori intenzioni preparò la fossa al primo Stato socialista della Storia.
Tutto questo e altro ancora è stato Mikhail Sergeyevich Gorbaciov — morto martedì 30 agosto a 91 anni —, l’uomo che, come Icaro, pensò di poter volare vicino al sole ma finì per distruggere sé stesso e l’opera che voleva preservare.
Se potessimo arbitrariamente ridurre a una sola persona, a una sola biografia il Novecento e quelle che Paul Klee chiamava le sue Harte Wendungen, le sue svolte brusche, molto probabilmente questa sarebbe Gorbaciov, ultimo leader dell’Unione Sovietica, vero demolitore del Muro di Berlino e architetto di quella perestrojka che si rivelò il canto del cigno della Superpotenza comunista.
«Non si poteva andare avanti allo stesso modo», disse in una delle ultime interviste ricordando il suo disperato tentativo di riformare un sistema ormai ossificato, travolto dalla bancarotta ideologica, politica ed economica. Un passo obbligato, nella sua visione, ma un passo avventato. Che in fondo lo denudò come cattivo marxista: al contrario dei compagni cinesi, che avrebbero aperto a un capitalismo selvaggio stringendo le viti della democrazia e difendendo brutalmente il ruolo di guida del partito, Gorbaciov iniziò dalla sovrastruttura politica (la glasnost, la fine della censura, il diritto a manifestare) mentre si mosse poco e confusamente nella struttura economica, mezze riforme e timide aperture al mercato. E intanto, costretto dal riarmo dell’America di Reagan e sperando negli aiuti dell’Occidente, col quale si era vantato di avergli tolto il nemico, cedette pezzo per pezzo i cardini della potenza sovietica: gli euromissili, le armi strategiche e quelle convenzionali, il patto di Varsavia, le aree di influenza.
Quando nel 1989, il generale Sergeij Akromeev incontrò per la prima volta il nuovo capo della delegazione americana ai negoziati Start, Richard Burt, gli disse senza perifrasi che Gorbaciov aveva tradito il comunismo, ma che lui, che aveva combattuto nell’assedio di Leningrado, non avrebbe mai permesso che l’Unione Sovietica venisse umiliata in quella trattativa. Andò diversamente.
Ma l’aneddoto conferma che quella di Gorbaciov era la ricetta perfetta per essere odiato in patria: i russi stavano peggio, vedevano la loro superpotenza denigrata e per la prima volta in quattro secoli potevano anche protestare a voce alta.
L’Occidente e il mondo devono però molto a Michail Sergeyevich, che non si è mai pentito delle sue scelte, convinto che non si potessero negare le aspirazioni alla libertà e alla democrazia di polacchi e cechi, ungheresi e tedeschi dell’Est. Rimane scolpita nel marmo la frase con cui ammonì Erich Honecker, eterno leader della Ddr, innescandone la fine: «La vita punisce chi arriva in ritardo». Il paradosso fu che la profezia sarebbe valsa anche per lui.
Si è sempre lamentato Gorbaciov, che dopo la fine della Guerra fredda i leader occidentali non seppero costruire una nuova architettura della sicurezza in Europa. E che nell’umiliazione inflitta alla Russia negli anni Novanta affondino le radici del revanscismo neo-imperiale di Vladimir Putin. Verità elementare.
Ma la sua ferma convinzione che ogni nazione dovesse decidere da sé il proprio destino, riassunta da un suo collaboratore nella cosiddetta «dottrina Sinatra» citando la celebre My Way, è l’esatto opposto della pretesa dell’attuale leader del Cremlino di poter imporre lui, a suon di cannonate, cosa debbano essere un Paese e un popolo.
Requiem per un grande della Storia.
31 agosto 2022 (modifica il 31 agosto 2022 | 07:08)
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, 2022-08-31 05:24:00, Mikhail Gorbaciov, morto martedì 30 agosto a 91 anni, demolì il Muro, ma passa alla Storia come un gigante senza pace. Credeva che ogni nazione dovesse decidere il proprio destino: l’opposto di quanto pensi Vladimir Putin, Paolo Valentino