Grazie Max Pezzali per le parolacce da bimbi/e, le musicassette e i congiuntivi

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Venerdì sera, a San Siro, mentre almeno due generazioni si sgolavano sudate ho pensato che dobbiamo tanto a Max Pezzali.

Ci ha permesso di dire e cantare le prime parolacce da bambini/e. «S’incazza» urlato in faccia ai genitori, ridendo, perché eravamo giustificati, dai suoi testi. «Non me la menare, non capisco cosa vuoi» era la risposta se provavano a riprenderci, nonostante non avessimo capito tanto bene cosa volesse dire quel «non me la menare». L’importante era come suonava — e suonava super divertente — e l’espressione che facevano i genitori, fra lo scocciato, il divertito e il rassegnato, perché Max Pezzali con quelle cassette rosse o nere e arancioni era la colonna sonora in loop di estati e pomeriggi dopo la scuola, inevitabilmente anche per loro.

Si usuravano, le cassette, per i troppi ascolti. Si rompeva il nastro addirittura, e andavano ricomprate. Ma che ne sa la Gen Z (o «che ne sanno i 2000», come canta qualcun altro): non si sono mai nemmeno chiesti cosa potesse aver fatto l’Uomo ragno «a qualche industria di caffè». Io continuo a domandarmelo (qui c’è la risposta, in un’intervista a Roberta Scorranese), e alla faccia di tutte le versioni cinematografiche di Spiderman lo so «tanto non ritornerà».

Grazie Max per averci fatto compagnia mentre crescevamo «seduti in una stanza pregando per un sì». Ce lo ricordavi con pazienza: «È come pescare un numero e sperare poi in quello che capita», ad alcuni/e di noi è andata pure bene, tipo io «ringrazio il cielo che tu sei capitata a me (mia moglie, ndr)». È stato utile sapere fin da subito che la vita «non è proprio» come le fiabe, «a volte è complicata come una lunga corsa a ostacoli dove non ti puoi ritirare, soltanto correre con chi ti ama accanto a te».

Com’era la vita negli anni ‘90? Non c’era Google Maps, quindi bastava «uscire più di dieci chilometri» e ti perdevi la festa. Ma diciamocelo, la mappe non servivano: con te e Cisco abbiamo ben presto «capito tutto: è un po’ come nel calcio. Gli altri segneranno, però che spettacolo quando giochiamo noi non molliamo mai».

Oddio, non proprio tutto, io solo ieri sera, a 39 anni, ho cercato su Google il nome di Ralph Malph per capire chi sia (ok, sono un po’ più giovane di te, ci avrei messo Brandon Walsh) e solo ieri sera mi sono resa conto che dopo «sei un mito, sei un mito perché» dici «non prometti e non pretendi si prometta a te». Max, oltre alle parolacce ci stavi insegnando anche i congiuntivi.

È vero che «il tempo passa per tutti lo sai. Nessuno indietro lo riporterà, neppure noi» ma restano e resteranno sempre gli «Anni in motorino sempre in due» e del «tranquillo, siam qui noi, siamo qui noi». Promesso.

La playlist di questo articolo:

S’inkazza

Non me la menare

Hanno ucciso l’Uomo ragno

Come mai

Quello che capita

Io ci sarò

Rotta per casa di Dio

La dura legge del gol

Sei un mito

Gli anni

16 luglio 2022, 11:54 – modifica il 16 luglio 2022 | 14:39

© RIPRODUZIONE RISERVATA

, 2022-07-16 12:23:00, Il concerto di Max Pezzali a San Siro e i ricordi di almeno due generazioni, Martina Pennisi

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