Green Day,brani di protesta,punk «semplice»e niente finzioni

Green Day,brani di protesta,punk «semplice»e niente finzioni

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di Andrea Laffranchi

La band californiana chiude l’IDays Festival (e sarà a Firenze)

La voglia di divertirsi per chi sta sul palco e per chi è sotto, la velocità del punk rock, un’ironia teatrale. Ecco lo show dei Green Day, arrivato mercoledì sera a Milano per chiudere l’IDays festival all’Ippodromo La Maura (e ieri era in apertura del Firenze Rocks). Pubblico riscaldato dai Weezer, quando il pupazzone del «coniglio ubriaco» sale sul palco è il segnale.

La band gioca subito una carta pesante: «American Idiot», impietoso ritratto dell’America di Bush manovrata dai media, e basterebbe sostituire quella parola con «social» per attualizzarlo. «Holiday» e «Know Your Enemy» confermano la scelta di puntare sulle protest song e sui classici: la scaletta taglierà fuori la produzione dell’ultimo decennio, unica eccezione «Polyanna», pubblicata fuori dal percorso degli album in risposta alla pandemia.

Una serie di hit, da «Basket Case» a «When I Come Around» alle ballad come «Boulevard of Broken Dreams» e «Wake Me Up When September Ends», risveglia i teen cresciuti a cavallo fra anni 90 e Zero che scoprirono quella voglia di ribellione in arrivo dalla California col piede schiacciato sull’acceleratore. Billie Joe Armstrong crea engagement continuo col pubblico chiamando i 45 mila a cori, coreografie, e giochi di luce coi telefonini. In due momenti si buca la quarte parete: su «Know Your Enemy» un fan viene invitato sul palco a cantare; più avanti su «Minority» è una ragazza ad essere chiamata a suonare la chitarra. Le facce e lo sguardo cerchiato dall’eyeliner del front man sono parte dello show. Mike Dirnt e Tre Cool, basso e batteria, sono due motori precisi. Altri tre musicisti completano con chitarra, synth e sax. Il punk dei Green Day è tutto lì, semplicità, nessuna caccia alla coolness, botti, fiamme e fuochi d’artificio da sagra, e canzoni solide. Meno di due ore e nessuna finzione, nemmeno quella dei finti bis, liturgia di ogni concerto. Quando finisce (con «Good Riddance»), finisce. E se ne vorrebbe ancora.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

16 giugno 2022 (modifica il 16 giugno 2022 | 18:27)

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, 2022-06-16 19:44:00,

di Andrea Laffranchi

La band californiana chiude l’IDays Festival (e sarà a Firenze)

La voglia di divertirsi per chi sta sul palco e per chi è sotto, la velocità del punk rock, un’ironia teatrale. Ecco lo show dei Green Day, arrivato mercoledì sera a Milano per chiudere l’IDays festival all’Ippodromo La Maura (e ieri era in apertura del Firenze Rocks). Pubblico riscaldato dai Weezer, quando il pupazzone del «coniglio ubriaco» sale sul palco è il segnale.

La band gioca subito una carta pesante: «American Idiot», impietoso ritratto dell’America di Bush manovrata dai media, e basterebbe sostituire quella parola con «social» per attualizzarlo. «Holiday» e «Know Your Enemy» confermano la scelta di puntare sulle protest song e sui classici: la scaletta taglierà fuori la produzione dell’ultimo decennio, unica eccezione «Polyanna», pubblicata fuori dal percorso degli album in risposta alla pandemia.

Una serie di hit, da «Basket Case» a «When I Come Around» alle ballad come «Boulevard of Broken Dreams» e «Wake Me Up When September Ends», risveglia i teen cresciuti a cavallo fra anni 90 e Zero che scoprirono quella voglia di ribellione in arrivo dalla California col piede schiacciato sull’acceleratore. Billie Joe Armstrong crea engagement continuo col pubblico chiamando i 45 mila a cori, coreografie, e giochi di luce coi telefonini. In due momenti si buca la quarte parete: su «Know Your Enemy» un fan viene invitato sul palco a cantare; più avanti su «Minority» è una ragazza ad essere chiamata a suonare la chitarra. Le facce e lo sguardo cerchiato dall’eyeliner del front man sono parte dello show. Mike Dirnt e Tre Cool, basso e batteria, sono due motori precisi. Altri tre musicisti completano con chitarra, synth e sax. Il punk dei Green Day è tutto lì, semplicità, nessuna caccia alla coolness, botti, fiamme e fuochi d’artificio da sagra, e canzoni solide. Meno di due ore e nessuna finzione, nemmeno quella dei finti bis, liturgia di ogni concerto. Quando finisce (con «Good Riddance»), finisce. E se ne vorrebbe ancora.

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16 giugno 2022 (modifica il 16 giugno 2022 | 18:27)

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