Quando abbiamo deciso di dedicarci a questa parola abbiamo superficialmente pensato (noi profani siamo spesso superficiali) che fosse semplice affrontare un termine cos presente nel nostro linguaggio comune di tutti i giorni. Come succede a tutti i presuntuosi stavamo per cacciarci in un vero guaio.
L’annuncio di un lamento. Cominciamo da Dante Alighieri che di solito aiuta a non sbagliare. Tutti ricordiamo l’inizio della terzina del terzo canto dell’Inferno, e le parole spaventose che lo accolgono sulla porta d’ingresso: Per me si va ne la citt dolente, per me si va ne l’etterno dolore, per me si va tra la perduta gente. Vale la pena fare un piccolo passo avanti e ricordare cosa sente il poeta sul limitare di quella porta terribile: Quivi sospiri, pianti e alti guai risonavan per l’aere sanza stelle.
Quelle grida disperate. Gli alti guai di Dante, sono lamenti acuti e strazianti che ci fanno capire il livello delle sofferenze patite dai peccatori precipitati all’Inferno nell’aere senza stelle. E che fossero finiti in un guaio eterno non ci sono dubbi. Perch se i guai sono lamenti non difficile immaginare l’estensione di significato al male stesso che causa di quei pianti: e quindi disgrazia, malanno, contrattempo, situazione difficile, spiacevole, fastidio.
In generale un problema. La sventura sempre preoccupante. Tullio De Mauro nella definizione per il suo dizionario aggiunge alla situazione spiacevole, la precisazione per lo pi imprevista. Come al solito una coloritura illuminante perch ci aiuta a capire anche il nostro atteggiamento nei confronti dell’incidente o del contrattempo che ci capitato. Che non solo di fastidio, ma spesso anche di sorpresa. L’atteggiamento che ci consente di usare questa parola indifferentemente per descrivere una sventura (sapessi che guaio mi capitato) o un fastidio che ha un valore ovviamente attenuato ( un bel guaio questo sciopero dei treni). Ringraziando sempre il dizionario di Tullio de Mauro che ci ha offerto entrambi gli esempi.
Ma dove nascono i guai? Se lo sapessimo saremmo molto pi capaci di affrontarli. Facciamo un po’ fatica perfino a individuare con precisione da dove nasce questa parola. L’ipotesi che prevale nei dizionari che abbiamo potuto consultare la fa risalire al germanico wi, che alcuni descrivono come esclamazione gotica. Anche in questo caso si tratta di un lamento, affine a simili che trovano in ebraico (hoi), greco (oua) e latino (vae). Ma s che l’avete sentito il famoso Vae victis, Guai ai vinti, che Tito Livio attribuisce a Brenno, capo dei Galli che avevano occupato e saccheggiato Roma nel 390 a.C. e pretendeva un ricco riscatto per liberarla (bel guaio anche Brenno per i romani dell’epoca).
Infinite diramazioni. Finora abbiamo capito che un’esclamazione lamentosa diventata la definizione della causa per cui ci stavamo lamentando. E gi cos la storia straordinaria. Sarebbe come se tra qualche tempo dovessimo scoprore che per descrivere il pizzicotto che ci hanno dato sul braccio usiamo la parola Ahi. Molto pi interessanti le derivazioni, vere o ipotizzate, che dal guaio possono portarci molto lontano.
Cominciamo dai boschi. In alcuni documenti longobardi si trovano citati i Guai, nome col quale si identificavano alcune tipologie di boschi, molto estesi, per cui trovarsi in un Guaio significava essere in un bosco fitto dal quale non sarebbe stato facile uscire. Della stessa origine sono i toponimi con Gualdo da Wald che in tedesco significa appunto bosco. E in Italia ne conosciamo molti, da Gualdo (Macerata) a Gualdo Tadino (Perugia).
Uomini o animali, se c’ da soffrire. Un’altra derivazione interessante il verbo guaire. Che rappresenti una lamentazione dolorosa e prolungata, non ci sono dubbi. Che venga adoperato perlopi per indicare il piagnucolo di un animale, di un cane spesso, altrettanto vero. Ma non affatto una esclusiva animale. Certo l’espressione cos’hai da guaire? rivolta a tua sorella non proprio amichevole.
Dubbi maleducati e scomposti. Un altro parente alla lontana, ma molti sollevano seri dubbi, sarebbe lo sguaiato, il maleducato, lo scomposto che si esprime ad alta voce, in modo volgare e si comporta in modo sconveniente e senza freni. Certo, incontrare uno sguaiato sempre un guaio. Pi divertente accostare lo sguaiato al francese esgayer, rallegrare, come suggerisce il sito unaparolaalgiorno.it, da cui scomposto per eccessiva gaiezza.
Letteratura e film. La creativit umana ha capito prestissimo che i guai erano fertili pretesti per i racconti pi disparati. Se esageriamo (ma s, esageriamo qualche volta!), la guerra di Troia furono dieci anni di guai per i contendenti che portarono alla distruzione della nobile citt di Priamo ma anche infiniti lutti agli achei. E se lasciamo perdere l’Iliade, potremmo perderci nella stupefacente galleria di guai che affligge Ulisse nel suo tentativo di tornare a Itaca. Consoliamoci con le moderne banalit: Grosso guaio a Chinatown (Big Trouble in Little China) un film del 1986 di John Carpenter, oggi un cult imperdibile, all’epoca un clamoroso guaio per la produzione che ci rimise alcuni milioni di dollari. Certo, da allora abbiamo avuto una infinita serie di Grossi guai dall’incerto destino.
Saggezza partenopea. Concludiamo questa passeggiata nei boschi narrativi abitati dai guai, affidandoci al saggio sorriso dei napoletani. Tra i loro modi di dire essere ‘nu guaio ‘e notte uno dei pi luminosi. Perch, quando capita un guaio gi un problema, ma se succede di notte quando la soluzione pi difficile ed complicato chiedere aiuto, allora siamo davvero in emergenza. In quei casi conviene affidarsi a Eduardo De Filippo e alla battuta finale della sua commedia Napoli milionaria: Adda pass ‘a nuttata.
12 luglio 2023 (modifica il 12 luglio 2023 | 08:51)
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