di Andrea Marinelli e Guido Olimpio
Quando è scattata l’invasione, l’aviazione dell’Armata ha avuto un ruolo limitato, ora avrebbe aumentato le sortite concentrandosi nel Donbass. Anche quella ucraina ha dato il suo contributo
Una foto dal settore di Severodonetsk: mostra un sistema anti-aereo S300, usato per contrastare velivoli ad alte quote. Gli ucraini non ne hanno molti e il fatto di mandarlo vicino al fronte testimonia indirettamente la necessità di parare una minaccia crescente. Anche i racconti dei reduci della battaglia confermano come l’aviazione russa abbia intensificato la sua azione. Quando è scattata l’invasione ha avuto un ruolo limitato, ha perso dei caccia, ora però avrebbe aumentato le sortite concentrandosi nel Donbass: negli ultimi giorni, il ministero della Difesa di Mosca ha rivendicato attacchi contro strutture, depositi e mezzi militari, diffondendo anche un video dei Sukhoi marchiati con la «Z» della guerra di Putin mentre effettuano missioni volando a bassa quota. L’incremento è legato alla protezione garantita — in parte — dallo scudo messo in campo dall’Armata: missili a corto e lungo raggio che devono contrastare gli eventuali raid dell’aeronautica di Kiev, piccola ma determinata.
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— ???? (@tass_agency) June 14, 2022
Anche se inferiore in numeri e qualità di mezzi, l’arma aerea dei difensori ha dato il proprio contributo. Questo a dispetto degli annunci russi sul fatto che fosse stata «annientata». I Sukhoi e i Mig ucraini hanno evitato di essere spazzati via, ma hanno versato il suo tributo. Il 25 febbraio è stato abbattuto un pilota famoso, il colonnello Oleksandr Oksanchenko, detto «Grey Wolf»: aveva lasciato la tuta di volo, ma l’ha indossata di nuovo per proteggere la nazione. Un simbolo diventato il nome di un team speciale americano, il lupo grigio, creato nella base di Ramstein, in Germania.
Qui una pattuglia di 15 militari — tra piloti, addetti alle armi e alla logistica — assiste da remoto l’aviazione dell’Ucraina. Raccolgono dati, consigliano, fanno da tramite grazie alla presenza di un ufficiale di collegamento per trovare soluzioni rapide. Come hanno spiegato al sito Coffee or Die, esistono dei dossi da superare: gli equipaggi hanno minore autonomia rispetto ai colleghi statunitensi, gli equipaggiamenti non sono compatibili con i velivoli in dotazione, non tutto può essere condiviso per ragioni di sicurezza. Il pragmatismo, però, aiuta.
I «cacciatori» ucraini hanno mostrato coraggio e competenza. La difesa ha probabilmente disperso i mezzi in scali minori per sottrarli agli strike missilistici dell’invasore: i jet di Putin si avventurano poco ad Ovest. Chissà che non usino qualche strada come pista, con i jet mimetizzati in un capannone agricolo e un nucleo di supporto limitato al necessario, tecnica sviluppata da decenni nei Paesi occidentali. Poi si affidano a missioni a bassa quota, per cercare di contenere i rischi e magari seguono le coordinate giuste dei target grazie alle ricognizioni dei droni e dell’intelligence Usa. Le operazioni richiedono sempre un’integrazione stretta, anche per evitare fuoco amico.
Servirebbe un arsenale consistente. Il presidente Zelensky, nella sua richiesta incessante, aveva sollecitato Washington a fornirgli dei caccia Mig-29 d’origine polacca, ma il piano si è arenato per il no della Casa Bianca per non accrescere tensioni con il Cremlino. Kiev si è dovuta accontentare di pezzi di ricambio — questa la versione ufficiale — e di alcuni Sukhoi arrivati smontati dalla Bulgaria. Il Pentagono ha bilanciato con l’assistenza esterna, impegnando la squadra «Grey Wolf» e non ostacolando iniziative «private». Uno dei piloti statunitensi, Drew Armey, e la moglie ucraina Anastasia hanno lanciato una raccolta fondi per acquistare materiale di supporto, da piccole trasmittenti a kit di soccorso.
14 giugno 2022 (modifica il 14 giugno 2022 | 21:50)
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, 2022-06-14 19:51:00, Quando è scattata l’invasione, l’aviazione dell’Armata ha avuto un ruolo limitato, ora avrebbe aumentato le sortite concentrandosi nel Donbass. Anche quella ucraina ha dato il suo contributo, Andrea Marinelli e Guido Olimpio