di Manuela Croci
A 50 anni dalla doppietta ai Giochi di Sapporo, i ricordi dell’ex slalomista: «Ho 11 nipoti ma non gli ho insegnato io a sciare, con il nonno sono sempre stanchi… Però al parroco del mio paese sì, poi è diventato maestro»
« Ho imparato prima a sciare e poi a camminare. Non è un modo di dire, c’è una foto a dimostrarlo». Era il 1952, Gustav Thöni aveva un anno quando il nonno ha messo due sci in legno sotto la sua carrozzina. Sarà sempre lui a costruirgli i suoi primi sci. «Uno l’ho ritrovato ed è qui nella galleria dei trofei», spiega l’ex campione di sci alpino. La galleria dei trofei (qui sotto, nel video girato con l’ex campione) è un lungo corridoio che si trova nell’hotel Bella Vista fondato nel 1875 dal bisnonno Ludwig a Trafoi, Bolzano, paese che conta un centinaio di abitanti e che guarda l’ Ortles e lo Stelvio. Sulle pareti ci sono foto, medaglie, sci, scarponi, le quattro Coppe del Mondo vinte e tanti ritagli di giornale conservati da mamma Anna come quello del 1972 che titola “Sì, forse Thoeni ce la fa”. Erano i giorni dell’Olimpiade di Sapporo e la signora Anna aveva sottolineato tutto, tranne la parola “forse”. Sono passati 50 anni da quei due podi – oro nello slalom gigante, argento nello speciale – e per ricordare quei giorni è uscito il libro Gustavo Thöni (ed. Azzurra Music). Gustavo, come lo chiamavano i fan italiani. Quasi un nome d’arte.
Partiamo dal Giappone, cosa ricorda?
«Il momento della vittoria è indelebile, era il mio sogno da bambino. La cerimonia di premiazione è avvenuta nello stadio del ghiaccio: la bandiera italiana e le note dell’Inno sono un’emozione che sento ancora attaccata alla pelle. Poi mi torna in mente con affetto la vita al villaggio: noi italiani avevamo i nostri cuochi che erano i più ricercati, tutti gli atleti si fermavano in fila davanti a loro per mangiare la pasta».
In carriera ha conquistato quattro Coppe del Mondo generali, l’ultima nel 1975 vincendo il parallelo di Ortisei contro Stenmark all’ultima gara. Ma nello stesso anno si era tolto un’altra soddisfazione, arrivare secondo, a soli 3 millesimi sulla Streif, superato solo da un altro austriaco, Klammer: ma lui era un discesista puro mentre la sua specialità era lo slalom.
«Quell’anno sciavo molto bene anche in discesa, avevo dei buoni materiali. Sfiorare la vittoria a Kitzbühel è stato il coronamento di quanto avevo fatto. Però lo ammetto, alla fine anche per me è stata una sorpresa».
La pista a cui è più legato?
«In Val-d’Isère, dove ho vinto la prima gara di Coppa del Mondo. Ma anche Campiglio e la Val Gardena».
Viaggiava molto?
«Allenamenti e preparazione erano in Alto Adige o nella bergamasca. D’estate stavamo quasi sempre allo Stelvio, praticamente a casa. Oppure al mare».
Le piaceva?
«Ci vado volentieri ancora adesso, però dopo un po’ la montagna mi manca».
Il 7 gennaio 1974 a Berchtesgaden, in Germania, cinque azzurri – Gros, Thöni, Stricker, Schmalzl, Pietrogiovanna – conquistano i primi cinque posti del gigante. Nasce la Valanga Azzurra e l’Italia scopre lo sci che diventa sport di massa.
«Quando sono arrivati i risultati, stampa e televisione hanno iniziato a darci spazio, a trasmettere le gare. Sono arrivati nuovi impianti, nuove stazioni».
I tifosi e gli sciatori della domenica venivano a cercarla a Trafoi.
«Sì, anche se questa zona era frequentata dai turisti fin dagli Anni 50. Qui hanno fatto una delle prime seggiovie».
Quanto eravate legati voi atleti?
«Eravamo sempre insieme. La rivalità c’era anche nel nostro gruppo, ma mai polemica. In allenamento cercavamo sempre di superarci, era uno stimolo».
Il più veloce era sempre lei?
«No, no. Io riuscivo a esprimermi al meglio quando c’era la tensione della gara».
Chi le ha insegnato a sciare?
«Il nonno mi ha messo sugli sci, poi il papà. Tra noi ragazzi era sempre una sfida: guardavamo i più grandi, ci copiavamo».
Com’erano le sue giornate da bambino?
«D’inverno la sveglia suonava presto per andare a scuola. Il giovedì però era libero e ne approfittavo per sciare con gli amici tutto il giorno. Costruivamo i salti e, prima di iniziare, facevamo la scaletta per compattare la neve. Le piste non erano battute».
Mai saltato la scuola per sciare?
«Solo per le gare».
E in estate?
«Andavamo nei boschi, a volte lasciavamo correre giù i sassi. In primavera, quando la neve iniziava a sciogliersi, facevamo partire le valanghe senza avvisare… se la mamma si accorgeva, la predica era assicurata!».
Tra quei ragazzini c’era qualcuno che sugli sci le dava del filo da torcere?
«Mio cugino Roland. Avevamo la stessa età, siamo cresciuti insieme».
E insieme siete saliti sul podio olimpico dello slalom speciale di Sapporo: lei secondo, Roland terzo.
«Ma da bambino lui vinceva un po’ di più nelle gare qui in Val Venosta».
La sua prima vittoria invece?
«Al Trofeo Topolino, nel 1965».
È vero che ha insegnato a sciare al parroco di Trafoi?
«Quando è arrivato aveva uno stile “particolare”, autodidatta. Alla fine è diventato anche lui maestro di sci».
E ha fatto suonare le campane del paese quando ha vinto a Sapporo.
«Erano le 3 del mattino, tutti svegli».
C’è un altro uomo che lei ha seguito, aiutandolo a diventare un campione.
«Con Alberto (Tomba, ndr) mi sono trovato subito bene».
Eravate diversissimi: lei schivo, lui esuberante.
«Quando si allenava era serissimo. Siamo anche andati insieme in discoteca. Era un assalto, tutti volevano un autografo».
Sulle Coppe del Mondo generali, Thöni batte Tomba 4 a 1. Perché?
«Alberto tirava sempre, fino alla fine dando il tutto per tutto. Il rischio di inforcare era altissimo. Avrebbe potuto conquistarne altre due, ma va bene così, ha vinto tantissimo. Se poi guardiamo il medagliere olimpico, il bilancio è 5 a 3 per lui».
In comune con Tomba avete anche un’esperienza cinematografica, entrambi protagonisti di pellicole non proprio memorabili.
«È stata comunque una bella esperienza vedere come nasce un film, con tutte le sue difficoltà».
Dopo Tomba, sono stati soprattutto i velocisti a regalarci soddisfazioni.
«Paris sta andando piuttosto bene, peccato per la discesa a Pechino. Ma ci sono anche Aliprandini e Finazzer, che è molto forte e può arrivare sul podio».
Le ragazze?
«All’Olimpiade avrebbero meritato di più. Sofia Goggia è stata parecchio sfortunata, ma ha superato la caduta brillantemente. Le aspettiamo a Milano/Cortina».
Lei ha 11 nipoti.
«Quasi 12. La più grande studia medicina, l’ultimo nascerà tra pochi giorni».
Ha dato lezioni di sci a tutti?
«Li abbiamo quasi sempre mandati con il gruppo della scuola di sci. Con il nonno, il papà o la mamma non funziona… dicono sempre che sono stanchi. Ogni tanto però vado con loro. Dopo due giri sul campetto qui vicino all’hotel mio nipote più grande ha iniziato a dirmi, “faccio io il maestro, nonno tu fai troppe curve».
Va ancora a sciare tutti i giorni?
«No. Però, pensandoci bene, sono stato l’altro ieri, ieri… E settimana scorsa ho messo sci e scarponi tutti i giorni».
17 marzo 2022 (modifica il 17 marzo 2022 | 10:24)
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, 2022-03-17 09:29:00, A 50 anni dalla doppietta ai Giochi di Sapporo, i ricordi dell’ex slalomista: «Ho 11 nipoti ma non gli ho insegnato io a sciare, con il nonno sono sempre stanchi… Però al parroco del mio paese sì, poi è diventato maestro», Manuela Croci
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