Ho incontrato Hitler, non esprimeva sentimenti Il volto ermetico, diafano, lontano come lo sguardo

Ho incontrato Hitler, non esprimeva sentimenti Il volto ermetico, diafano, lontano come lo sguardo

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di Indro Montanelli

Il racconto dal fronte tra Germania e Polonia, poco dopo lo strozzamento del Corridoio. Il Führer era venuto come promesso a condurre i suoi soldati. Semplicemente vestito nella sua uniforme grigioferro con la decorazione della croce, un esiguo seguito, modestissimo. Era venuto per essere con i suoi al momento del passaggio della Vistola, momento sacro nella storia tedesca. Non ha voluto onori né saluti né squilli di tromba. È apparso e scomparso, un soldato fra tanti

Gran parte delle firme storiche del Corriere della Sera hanno scritto articoli che fanno parte della storia di questo giornale e del Paese. Dal numero di «7» in edicola il 24 giugno, vi proponiamo questa corrispondenza di Indro Montanelli, che apparve sul quotidiano nel settembre 1939. Buona lettura

Prendete una carta. Vedete sul lato meridionale del Corridoio là dove questo si slarga per poggiare meglio e con più larga base sul troncone espanso della Polonia, vedete quasi attaccata alla Prussia Orientale, sulla riva della Vistola, una città di nome Graudenz? Bene, in questa città e nei suoi dintorni si sono ricongiunti oggi i due gruppi di armate che, muovendo uno dalla Pomerania con direzione est e l’altro dalla Prussia Orientale con direzione sud-ovest, avevano fissato come obiettivo di questa giornata lo strozzamento del Corridoio.

Da oggi dunque uno dei punti richiesti dal Führer per via diplomatica è stato acquisito al Reich con la forza delle armi: le truppe tedesche hanno agganciato il troncone mozzo della Prussia Orientale rinsaldandolo alla Patria. La sutura è un fatto compiuto. Ma non si creda che l’operazione sia stata indolore: i Polacchi hanno tenuto con i denti, non hanno sgombrato che quando il terreno ha cominciato a sfarinarsi e a bruciare sotto i loro piedi per il tambureggiare del cannone nemico e anche allora la ritirata non si è tramutata in fuga: rimorchiandosi dietro il materiale i morti e i feriti, scrupolosamente devastando il paese, sterilizzandolo di messi e di bestiame, senza mai volgere le spalle i Polacchi testardi hanno rinculato, opponendo all’avanzata avversaria un perfetto sbarramento di fucileria. È stata una catabasi prima verso est: poi, quando da est l’abile manovra di strozzamento tedesca ha fatto sorgere il pericolo della tenaglia con l’avanzata del gruppo di armate che come ho detto muovevano dalla Prussia Orientale, la ritirata ha volto verso sud e ha cercato di tamponare la falla di Bromberg.

L’inizio delle operazioni

Carta alla mano cerchiamo di dare un’idea la più possibile chiara della situazione generale. Le operazioni militari sono cominciate il 1° settembre alle 5.45. Alle 5.45 tutto il fronte si è messo in movimento con perfetta sincronia. I punti di forza sono cinque: essi corrispondono altrettanti gruppi di armate: uno parte dalla Prussia Orientale con direzione nord-sud e punta deciso su Varsavia; il secondo è quello che partendo anch’esso dalla Prussia Orientale ha tagliato alla base come un tumore il Corridoio e si è ricongiunto a Graudenz con il terzo gruppo che muove dalla Pomerania; il quarto gruppo opera in Slesia con direzione nord-nord-est occupando tutto il bacino minerario e industriale di Kattowitz, il meglio attrezzato della Polonia; un quinto parte invece dalla frontiera slovacca con direzione sud-nord.

È una morsa che inesorabilmente stringe e soffoca convergendo verso il centro del paese nemico e la sua capitale. Una enorme tenaglia che ha i suoi punti di forza e di pressione ma che si chiude a cerniera senza soluzione di continuità. Finora le armate germaniche hanno operato in zona di lingua e di razza germaniche, un poco svuotata dai terrori della guerra, ma rapidamente ripopolantesi a misura che la conquista si estende e si consolida. La maggior pressione e, di contro, la più accanita resistenza si sono avute però sul fronte settentrionale e precisamente su questo di Bromberg ove noi ci troviamo da stamane all’alba.

Fino a qualche chilometro dalla linea del fuoco non ci siamo accorti della guerra; la notte era chiara e serena, freddissima, con una luna ottimista e «menabuono» in mezzo ad un cielo verniciato di fresco e quattro stelle, quattro sole, come quattro brillanti in vetrina. Tenuti svegli dalla brezza baltica e dall’ansia di arrivare e di vedere, ci accorgemmo solo per caso di un cartello, appiccicato di fresco, che stavamo passando il confine. Ma invano tendevamo l’orecchio per sorprendere il rombo del primo colpo di cannone. Il cannone taceva. Tacevano le mitragliatrici e i fucili i camioni gli aeroplani le motociclette gli zoccoli dei cavalli i fischietti di comando degli ufficiali. Taceva il cielo e la terra. Tacevamo anche noi per sorprendere e stupirci del silenzio di tutte queste cose che tacevano. Diavolo, pensavamo, dove è andata a finire questa guerra?



La guerra era andata a finire a Bromberg.
La città – una città di 100.000 abitanti che prima di Versaglia erano tutti tedeschi e ancora lo sono, in maggioranza, una città che fa da granaio di tutta la Polonia Occidentale – era caduta o stava per cadere in seguito alla manovra avvolgente.

I Polacchi la difendevano ancora, con ammirevole cocciutaggine, dall’insidia calante dal nord e forse la stanno difendendo anche in questo momento. Ma in questo momento un’altra insidia è spuntata dal sud dopo un movimento rapido e perfetto di divisioni motorizzate che sfilando sulle ali della resistenza avversaria la stanno prendendo a tergo rinserrandola nella tenaglia. Il territorio occupato fino qui è tedesco, tedesco si parla, tedesco si mangia, tedesco si saluta, tedesco si pensa. Quel po’ di polacco che c’è, insegne di negozi e nomi di strade, è appiccicaticcio e posticcio come una sbaffatura di rossetto su una gota di contadina. Se volete mangiare dovete chiedere: schwein, kartoffeln, kalb, ecc. E la vodka la considerano un lusso di importazione come da noi la sciampagna o il vin del Reno.

Ma tiriamo avanti con la guerra e tiriamo avanti in fretta
se si vuole star dietro ai Tedeschi che ne hanno l’iniziativa. Sul fronte ove ci troviamo dunque la situazione è la seguente: il secondo e il terzo gruppo di armate, saldandosi a Graudenz come i due coltelli di una forbice, hanno fatto saltare via il Corridoio come un dito amputato. E le truppe polacche che vi si trovano dislocate fra Graudenz e il mare per tamponare una eventuale avanzata più a nord? Il loro destino è segnato. Quante siano queste truppe non si sa con precisione.

Guerra di movimento

Si parla di divisioni intere. Ma anche se si trattasse di una sola divisione, perderla così senza averla potuta neanche impiegare è un colpo che qualunque esercito accuserebbe, e particolarmente quello polacco, già così duramente provato. Mi sembra che questo irriducibile avversario non voglia arrendersi nemmeno all’evidenza: chiuso, si dibatte, si avventa a capo basso contro la trappola nell’assurdo tentativo di urtare in un punto di minore resistenza, che cedendo sotto il colpo consenta l’evasione e il ricongiungimento al grosso del battuto esercito. So solo che fino a questo momento sulla landa giallastra che si perde verso nord in direzione del mare nessuna bandiera bianca si è alzata; so solo che i comandi tedeschi considerano l’operazione che si sta svolgendo in questa strozzatura del Corridoio più come operazione di polizia, che come operazione militare vera e propria.

II cannone tuona in quella direzione, candide fumate si levano nel cielo terso, stormi da bombardamento trinciano l’azzurro. Ma i Comandi tedeschi non danno molta importanza a questo troncone avversario incapsulato nel ferro. Gli hanno volto le spalle. Intanto l’esercito di Hitler scende verso sud avvolgendo gli obiettivi con le motorizzate, di rado investendo i centri di resistenza, più spesso scivolandogli sopra e prendendoli a tergo con manovra geometricamente precisa, facendoli crollare con abile azione di erosione, sconvolgendo, sfaldando ogni cosa; situazioni che pare maturino da sè dall’interno. La guerra di movimento qui è in pieno gioco. Il terreno aiuta.

È una landa monotona, con qualche bosco di pini qua e là, ma senza appiglio per la difensiva. Aggrapparvisi è impossibile.

Procedendo verso sud sulle orme delle armate vittoriose abbiamo incontrato il Führer. Era venuto come aveva promesso a condurre egli stesso i suoi soldati, primo soldato della Germania. Semplicemente vestito nella sua uniforme grigioferro con la decorazione della croce con un esiguo seguito, modestissimo.

Era venuto per essere con i suoi al momento del passaggio della Vistola, momento sacro nella storia della Germania. Il suo volto non esprimeva né gioia né commozione né compiacenza. Sapete come è il volto di Hitler: ermetico, diafano, lontano come il suo sguardo. Tale era anche oggi.

È passato in direzione di Kulm e a Kulm si è fermato. Non ha voluto onori né saluti né squilli di tromba. È apparso e scomparso. Un soldato fra i tanti che vedevamo. Ma subito dopo il suo arrivo, è giunta fuori del bollettino la notizia della presa di Graudenz e del passaggio della Vistola. La tenaglia si stringe sempre più sul cuore della Polonia, la cerniera non ha soluzione di continuità. Balzati da cinque differenti trampolini, i gruppi di armate germaniche avanzandosi e dilatandosi a ventaglio si ricongiungono a formare una catena infrangibile. Da est giunge notizia di Mlawa caduta, da sud della caduta di Censtocau.

E i Polacchi? I Polacchi si battono bene. Un po’ vecchio stile, ma con decisa bravura. E i Tedeschi soldati di razza che amano i soldati di razza li guardano e ne parlano con franco rispetto. Di fronte al guerreggiare un po’ romantico dell’esercito polacco, le forze armate tedesche sono quanto più di razionalmente moderno si possa immaginare, irresistibili.

Più che un esercito sono una macchina che ha un movimento da orologio : una guerra che invece che sul terreno sembra combattuta sulla carta: una guerra che stranamente somiglia ai bollettini aridi secchi geometrici nei quali seralmente si riassume: una guerra silenziosa che t’impaura per la sua meccanicità, per questa sua fatalità. Un passo dopo l’altro, un passo uguale all’altro: i Tedeschi scandiscono la loro avanzata.

La prima linea

A ridosso della prima linea stamane non si udiva non si vedeva nulla. Un immobile silenzio ristava fra il cielo e la terra. Un cane latrava. Nakel abbandonata pareva morta per sempre. Un molino a vento immobile, dirigeva la sua sagoma funerea nel cielo incerto. Un treno si era acquattato in una gola angusta e pareva un animale antidiluviano disseppellito da un archeologo. Poi cominciò l’azione e non si udiva altro che un duetto, un terzetto di mitraglia. E poi il cannone che pareva sempre lo stesso. Un cannone aggrondato. E pareva che nessuno si muovesse. Non si vedeva nulla, se non qualche fumata bianchiccia verso est.

La notizia giungeva tardi: Graudenz caduta. La Vistola attraversata.

E ora a giornata finita c’è il silenzio di prima; l’immobile silenzio di stamane che ristà tra il cielo e la terra.

L’autore

Toscano di Fucecchio (Firenze), dove nacque nel 1909, Indro Montanelli fu giornalista e scrittore. Per il Corriere della Sera fu un vero e proprio simbolo e vi lavorò dal 1938 al 1973 e di nuovo dal 1995 al 2001, al termine dell’esperinza della Voce, quotidiano fondato dopo aver lascato il Giornale in contrast con il proprietario Silvi Berlusconi appena entrato in politica. Dal 1974 al 1996 fu sposato con la scrittrice Colette Rosselli. Nel 1977 fu ferito alle gambe in un attentato dalle Brigare Rosse.

22 giugno 2022 (modifica il 29 giugno 2022 | 22:39)

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, 2022-06-29 20:41:00, Il racconto dal fronte tra Germania e Polonia, poco dopo lo strozzamento del Corridoio. Il Führer era venuto come promesso a condurre i suoi soldati. Semplicemente vestito nella sua uniforme grigioferro con la decorazione della croce, un esiguo seguito, modestissimo. Era venuto per essere con i suoi al momento del passaggio della Vistola, momento sacro nella storia tedesca. Non ha voluto onori né saluti né squilli di tromba. È apparso e scomparso, un soldato fra tanti, Indro Montanelli

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