di Monica GuerzoniGiovedì il voto di fiducia sul Dl Aiuti: i 5 Stelle non parteciperanno. Le telefonate e i faccia a faccia tra Conte e il premier non sono bastati Il verdetto arriva che è buio, alla fine di una giornata politica infernale scandita da incontri, telefonate, riunioni roventi e dirette streaming. I senatori del M5S a mezzogiorno usciranno dall’Aula per non votare la fiducia sul decreto Aiuti, che stanzia svariati miliardi per sostenere imprese e famiglie. Una scelta causata dal no al termovalorizzatore di Roma e che, salvo miracoli, porterà alla fine del governo Draghi. Il Quirinale continuerà a esercitare la sua moral suasion fino all’ultimo minuto, ma la decisione di Giuseppe Conte è presa. Per l’ex premier il Paese «sembra sull’orlo del baratro», «lo scenario è cambiato e serve una fase differente». Eppure è lo stesso Conte alle dieci della sera a dire ai suoi parlamentari che Draghi gli ha offerto il «segnale» che voleva con la sua lettera-ultimatum: «Ho registrato una disponibilità a venirci incontro su tutti i punti. Ma la fase che stiamo attraversando necessita più delle promesse». Le colombe del Movimento sperano ancora. Alle undici di sera c’è chi racconta di un incontro tra Conte e Draghi e chi pensa che il leader abbia parlato con il presidente Mattarella. Il Quirinale smentisce, ma un teorema prende forma: dopo lo strappo Draghi salirà dimissionario al Colle e, se accetterà di tornare alle Camere per verificare se c’è ancora una maggioranza, il M5S gli voterà la fiducia. Matteo Salvini però ha l’epitaffio pronto: «Se i 5 Stelle escono dall’Aula la maggioranza non c’è più». L’ala dura del M5SÈ attorno alla telefonata lunga, densa e tesa tra Draghi e Conte che ha ruotato la vigilia del governo di unità nazionale, che oggi potrebbe vivere le sue ultime ore. La crisi non è mai stata così vicina. Alle 9.30 cominciano i lavori nell’aula di palazzo Madama, all’ordine del giorno c’è il voto di fiducia sul decreto Aiuti e i senatori del M5S, ala dura delle truppe contiane, hanno tirato con forza la giacca al leader per convincerlo a strappare. «Conte non era convinto — è la lettura di un ministro — Quando ha capito che non votando la fiducia avrebbe fatto cadere il governo ha cominciato a frenare, ma era tardi». Dopo ore di tormenti in videoconferenza, quella che matura è la scelta più estrema: l’Aventino. Per Draghi non ci sono escamotage possibili. Senza fiducia, il governo non c’è più. Il premier non è disposto a guidare un governo che non può contare sul pieno sostegno dei partiti che lo hanno fatto nascere. Salvini porta a conclusione l’avvertimento del premier: «Se una forza di maggioranza non vota un decreto della maggioranza, fine. Si va a votare». Per una volta il capo della Lega e quello del Pd la pensano allo stesso modo. Enrico Letta drammatizza una situazione già drammatica, riunisce i gruppi di Camera e Senato e avverte Conte: «Non vorrei che con i distinguo si finisse come con il colpo di pistola di Sarajevo che diede il via alla prima Guerra mondiale». Nella sala della Regina il leader del Pd, dopo aver vanamente mediato con tutte le forze perché «Draghi deve andare avanti», intona l’ultimo appello per portare Conte sulla via di un ripensamento: «Paradossale mettere a rischio il governo proprio quando apre il capitolo della lotta alla precarietà». La telefonataAlle quattro del pomeriggio, dopo ore di confronto dentro il Consiglio nazionale del M5S, tramonta l’ipotesi di un incontro tra Draghi e il suo sfidante e, dal «fortino» contiano di via Campo Marzio, Conte chiama il premier. E sembra cercare una via d’uscita dal cul de sac. Ma il capo dell’esecutivo vede una strada sola: «Perché il governo vada avanti i partiti devono votare la fiducia, altrimenti c’è la crisi». Questo il senso del ragionamento di Draghi, che non ritiene possibile proseguire la corsa dopo lo strappo di un partito importante della maggioranza. I numeri ci sono anche senza il M5S, è vero. Ma il governo sarebbe paralizzato dai veti e per Draghi «non è di questo che il Paese ha bisogno». Appelli al buon senso Ora dopo ora la tensione aumenta e si moltiplicano gli appelli alla responsabilità. Dal Vaticano, il segretario di Stato Pietro Parolin chiede che «si lavori insieme» viste le sfide epocali che abbiamo davanti. Il sindaco di Milano Beppe Sala esce da Palazzo Chigi dopo aver visto il premier: «In questo momento serve Draghi, ma non gli auguro una resistenza né uno sfilacciamento». Per tutto il giorno, mentre in Parlamento rimbalzavano voci di possibili governi alternativi, il capo del governo ha lavorato sui dossier. L’incontro con il presidente di Confindustria Carlo Bonomi è durato un’ora e oggi nell’agenda del presidente c’è l’incontro con le altre organizzazioni datoriali. 13 luglio 2022 (modifica il 13 luglio 2022 | 23:36) © RIPRODUZIONE RISERVATA , 2022-07-13 21:39:00, Giovedì il voto di fiducia sul Dl Aiuti: i 5 Stelle non parteciperanno. Le telefonate e i faccia a faccia tra Conte e il premier non sono bastati, Monica Guerzoni