I barbari assediano il tempio

I barbari assediano il tempio

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Mezzogiorno, 21 gennaio 2023 – 08:23 di Enzo d’Errico Ormai manca soltanto la calata degli Unni per sancire la definitiva scomparsa di quello che, un tempo, veniva chiamato stile istituzionale. Gioved scorso, infatti, la Regione Campania ha incenerito anche l’ultimo fortilizio, ossia la distinzione tra un ente che dovrebbe rappresentare l’interesse generale e la sua compartecipazione all’interno di una Fondazione culturale. Teatro – mai parola fu pi appropriata – di quest’ennesimo scempio stato il San Carlo, simbolo della cultura europea e napoletana, ridotto a campo di battaglia per una contesa personale foraggiata dal rancore che Vincenzo De Luca nutre verso chiunque possa fargli ombra o coltivi un’idea diversa dalla sua, alimentata dall’incapacit a digerire che non tutto gli pu appartenere perch grazie al cielo, ma chiss per quanto, non tutto si pu comprare. Tra l’altro con i soldi pubblici invece che a proprie spese. D’accordo, che i barbari si siano accampati a Palazzo Santa Lucia e abbiano fatto strame del rispetto per gli altri, non sicuramente una notizia. Tuttavia la guerra scatenata contro il San Carlo – appena pochi anni fa palcoscenico in affanno e oggi di nuovo ai vertici continentali – assume un’importanza che oltrepassa la contingenza, visto che certifica alla luce del sole il logoramento del rapporto tra il governatore e il sindaco di Napoli. Se ne parlava da settimane, le voci dal sen fuggite raccontavano di un De Luca infuriato per le indiscrezioni su un presunto accordo tra Gaetano Manfredi e Roberto Fico destinato a spingere l’ex presidente della Camera verso la candidatura a numero uno della Campania, o addirittura su un bislacco desiderio del sindaco stesso che vorrebbe abbandonare palazzo San Giacomo per guidare il centrosinistra (attualmente un’entit esoterica) alle regionali del 2025. Ma non basta. Qualcuno addirittura sussurra che De Luca abbia considerato un affronto personale l’eventuale candidatura di Massimiliano Manfredi (consigliere regionale e fratello del primo cittadino) alla segreteria campana del Pd. Lo so, stiamo discutendo di pettegolezzi politici, mica di faccende reali. Eppure al governatore formato Riccardo III (che il Bardo mi perdoni) sono state sufficienti queste chiacchiere per armare le truppe contro il nuovo nemico. Perch lui vuole, anzi pretende, una sola cosa: il terzo mandato. E chiunque si frapponga a tale disegno va eliminato. Come d’uopo ha gi stretto accordi con Bonaccini e il Pd gattopardesco che, molto probabilmente, verr fuori dal congresso e i legami con la destra di governo (a cominciare dalla Lega) sono di antica data. Dunque, non pu permettersi ostacoli nella capitale del suo possedimento. Capitale che, del resto, lui non ama, essendo essa mal disposta a farsi trasformare in una periferia della pur bellissima Salerno. Se la politica campana – e questo discorso riguarda, per certi versi, anche il primo cittadino – non fosse ferma all’era premoderna, basterebbe uno staff degno di tale nome a modellare strategie pi consone al ruolo. Invece a dominare sono i fedelissimi, talvolta riducibili a lacch, che osannando il capo si ritagliano pure uno spazio per le loro faccende. Perfino l’ultimo degli stagisti avrebbe suggerito a De Luca di non avventurarsi in critiche al bilancio di qualsiasi ente dopo i disastri combinati alla Scabec (un buco milionario oggetto da mesi dell’attenzione della magistratura) oppure di disquisire sugli stipendi dei dirigenti del San Carlo che sono simili, se non inferiori, a quelli corrisposti ai dirigenti della sua burocrazia. Tuttavia un merito al governatore va riconosciuto: l’unico uomo sulla faccia della terra ad aver litigato con Gaetano Manfredi, uno che su inclusivit, tenacia e pazienza ha costruito il suo modo di stare al mondo. Questo record pareggia la straordinaria inefficacia amministrativa del presidente. Le deleghe che ha tenuto per s, infatti, sono l’emblema di una Campania tutta chiacchere e distintivi ma con zero fatti: i trasporti (l’Eav), la cultura (Scabec, le prebende elargite a destra e manca), la sanit (chi, suo malgrado, frequenta gli ospedali sa di cosa parliamo). L’unico vero risultato stata l’affermazione di un format amministrativo: io metto i soldi e io devo comandare. Peccato per lui che in uno Stato di diritto esista il noi e non l’io, che quel denaro appartenga all’intera comunit e, come tale, vada investito nell’interesse generale, unico punto cardinale e unico ponte di comando dell’azione di governo. Cos torniamo al caso San Carlo. Non scendiamo nel merito delle accuse scagliate ripetutamente contro l’attuale gestione, anche se va detto che Stphane Lissner appartiene al gotha europeo del settore e se uno vuole un top player deve pagarlo adeguatamente, a maggior ragione se costui cumula due cariche – quella di sovrintendente e direttore artistico – come avviene ormai in molti enti lirici. N tantomeno ci addentriamo nei meandri del bilancio che sono stati a pi riprese illuminati dalle risposte degli enti competenti. Ci che interessa qui, ripeto, lo stile di una Regione che, alla fine del consiglio d’indirizzo, diffonde un comunicato durissimo nel quale si riepilogano le eccezioni sollevate dal suo rappresentante, l’economista Riccardo Realfonzo. Pu un’istituzione, che dovrebbe essere la casa comune di tutti i cittadini campani, distribuire all’intera penisola un comunicato che non riguarda le sue attivit, un atto d’imputazione destinato, per statuto, a restare nel verbale riservato della riunione? Si pu mischiare il contributo critico portato al dibattito interno di una Fondazione con la polemica relativa ai propri interessi politici? Si pu screditare senza sosta la governance (e, dunque, anche il consiglio d’indirizzo) del nostro emblema culturale, finendo per gettare fango sull’immagine stessa del teatro? Le obiezioni avanzate hanno ricevuto risposte immediate per l’ennesima volta. Qualora la replica non abbia convinto il consigliere Realfonzo, se ne discuta nella sede opportuna. Che non certo Palazzo Santa Lucia. E De Luca si rassegni: al San Carlo una parte (anche minima) del tutto, non il tutto. Ritiene che manchino le condizioni per rimanere? Bene, abbia il coraggio di abbandonare la scena. Sarebbe una responsabilit gravissima ma almeno farebbe chiarezza. E sapremmo finalmente in quale altro modo intende utilizzare i due milioni di fondi europei (i Poc) che vorrebbe sottrarre al nostro Massimo. Qualsiasi cosa purch si smetta di considerare la cultura napoletana, e in particolare il suo tempio, un pozzo nero in cui riversare i liquami della politica. Trecento anni di storia sono un respiro, otto soltanto un fastidioso singhiozzo. Che prima o poi passer. 21 gennaio 2023 | 08:23 © RIPRODUZIONE RISERVATA

Pietro Guerra

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