I cattolici e la politica

I cattolici e la politica

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Perché non serve un partito Mezzogiorno, 4 settembre 2022 – 09:21 di Mario Rusciano Da tempo e tuttora, nell’agguerrita competizione del 25 settembre, si lamenta l’assenza politica dei cattolici: ultimo, con acute osservazioni, Ernesto Galli della Loggia (Corriere della Sera, 29 agosto). Condividendo l’auspicio di Andrea Riccardi (Corriere della Sera, 18 agosto) di una «voce pubblica» dei cattolici, Galli della Loggia sembra però forzarne un po’ il pensiero. Ritiene che Riccardi, auspicando la «voce pubblica», alluda implicitamente a una «voce politica», fino a intendere per «voce politica» un «partito politico». In sostanza l’auspicio d’un «partito cattolico», tipo Democrazia Cristiana, egemone nella politica italiana nella seconda metà del secolo scorso. In realtà «presenza pubblica» e «presenza politica» non coincidono. Né pare che la voce pubblica implichi l’esistenza d’un partito, magari longa manus della Chiesa. Qualche perplessità sorge inoltre circa l’indefinibilità dell’identità cattolica per l’assenza del partito cattolico. Perché l’identità cattolica è per sua natura plurale. Basti l’esempio dei differenti percorsi spirituali, attraverso i secoli, dei vari Ordini religiosi (francescani, domenicani, gesuiti ecc.). Né può dirsi che ora manchi la voce pubblica dei cattolici. Non solo quella di Papa Francesco. Si fanno sentire eccome, in tante occasioni d’indubbio rilievo politico-sociale, vescovi, parroci e movimenti, alcuni attivi nel terzo settore. Il fatto è che ora l’identità cristiana si ricava dalle opere più che dalle parole. Innegabile per esempio l’impegno della Caritas che dà da mangiare a persone bisognose, il cui aumento vertiginoso è una delle più gravi emergenze del nostro tempo. In pratica i cattolici agiscono nella maniera più appropriata al loro credo. Senza dimenticare che, al di là del «devozionismo», agiscono per il bene del prossimo, cioè cristianamente, anche movimenti non religiosi. Perciò un partito cattolico non servirebbe né alla Chiesa né alla società. Quando si tentò di fondarlo nel 2020, pensando di farne il «centro» dell’agone politico, non ebbe successo. Non tanto per la mancata introduzione dell’agognato sistema elettorale proporzionale quanto perché è per principio un’illusione che la «fede religiosa» – parte insondabile della coscienza individuale – faccia da collante d’un partito politico nelle società secolarizzate. Dove ciò avviene – esempio l’Islam – impera il «fondamentalismo religioso», contrario al messaggio cristiano basato sulla libertà. Infatti Cristo stesso ha distrutto la «religiosità» intesa come «sistema di precetti imposti» dando spazio alla laicità («date a Cesare quel che è di Cesare, a Dio quel che è di Dio»). Non fa testo l’eccezione della Dc nel secondo dopoguerra: all’epoca il collante dell’aggregazione cattolica non fu la fede bensì il rischio del comunismo, persecutore del cristianesimo e d’ogni religione («oppio dei popoli»). Non a caso, caduto il comunismo col muro di Berlino e grazie a Mikhail Gorbaciov (1989-90), cominciò il declino sia della Dc e dei partiti minori del «centro», sempre al governo, sia del Pci, sempre all’opposizione («democrazia bloccata»). La caduta del comunismo, si sa, è una svolta storica nella politica non solo italiana. Ricordandone per grandi linee i passaggi, coll’introduzione nei primi anni ’90 del sistema elettorale maggioritario, si pensava all’alternanza tra centrosinistra e centrodestra. Difatti, dopo la vittoria della destra capeggiata da Berlusconi (1994), il cattolico Romano Prodi fondò l’Ulivo (prodromo del Partito democratico) e vinse le elezioni (1996) mettendo assieme cattolicesimo democratico e sinistra progressista. Quella svolta si ripercosse quindi sul mondo cattolico, ma la Chiesa aveva cominciato a prendere le distanze dalla politica attiva fin dal Concilio Vaticano II. Giustamente: perché, fermi restando i dogmi, non c’è un unico modo di vivere la fede. Difatti in politica i credenti stanno sia nel centrodestra sia nel centrosinistra, secondo la libera diversa concezione della Chiesa-istituzione. C’è chi concepisce la Chiesa come «potere» (i tradizionalisti «costantiniani») e chi la concepisce come «servizio» (gl’innovatori: dal cardinale Martini a Papa Francesco). Tutti – cardinali, vescovi, presbiteri, laici – professano la stessa fede vivendola in modi differenti, comunque rispettabili. Sono inaccettabili soltanto le squallide, purtroppo ricorrenti, strumentalizzazioni (esibizione di crocifissi, rosari, immagini sacre) che della religione fanno politici ipocriti per prendere i voti (elettorali, non religiosi). La diaspora politica dei credenti, dunque, dipende dalla vita di fede che ciascuno sceglie e fa giudicare dalla propria coscienza. Perciò oggi, di fronte all’insopprimibile pluralismo delle idee e dei comportamenti, non pare ci sia lo spazio per un partito cattolico. Il che non significa assenza e silenzio dei credenti. I quali hanno il dovere di partecipare alla vita politica (e anzitutto di votare) ma in piena libertà, non intruppati in un partito che, dietro l’etichetta cattolica, pretende d’imporre le proprie decisioni a credenti e non credenti. Pure sui diritti civili il credente interpella la propria coscienza e testimonia la sua fede senza volerla imporre a chi la pensa diversamente. Se la spiritualità, religiosa o laica che sia – valore d’enorme portata – penetrasse nelle famiglie e nei corpi intermedi, sarebbe utile alla convivenza civile anche in una società secolarizzata, purché non imprigionata in una visione settaria dell’esistenza umana, avanzata dai partiti politici. La newsletter del Corriere del Mezzogiorno – PugliaSe vuoi restare aggiornato sulle notizie della Puglia iscriviti gratis alla newsletter del Corriere del Mezzogiorno. Arriva tutti i giorni direttamente nella tua casella di posta alle 12. Basta cliccare qui. 4 settembre 2022 | 09:21 © RIPRODUZIONE RISERVATA , 2022-09-04 07:21:00, Perché non serve un partito Mezzogiorno, 4 settembre 2022 – 09:21 di Mario Rusciano Da tempo e tuttora, nell’agguerrita competizione del 25 settembre, si lamenta l’assenza politica dei cattolici: ultimo, con acute osservazioni, Ernesto Galli della Loggia (Corriere della Sera, 29 agosto). Condividendo l’auspicio di Andrea Riccardi (Corriere della Sera, 18 agosto) di una «voce pubblica» dei cattolici, Galli della Loggia sembra però forzarne un po’ il pensiero. Ritiene che Riccardi, auspicando la «voce pubblica», alluda implicitamente a una «voce politica», fino a intendere per «voce politica» un «partito politico». In sostanza l’auspicio d’un «partito cattolico», tipo Democrazia Cristiana, egemone nella politica italiana nella seconda metà del secolo scorso. In realtà «presenza pubblica» e «presenza politica» non coincidono. Né pare che la voce pubblica implichi l’esistenza d’un partito, magari longa manus della Chiesa. Qualche perplessità sorge inoltre circa l’indefinibilità dell’identità cattolica per l’assenza del partito cattolico. Perché l’identità cattolica è per sua natura plurale. Basti l’esempio dei differenti percorsi spirituali, attraverso i secoli, dei vari Ordini religiosi (francescani, domenicani, gesuiti ecc.). Né può dirsi che ora manchi la voce pubblica dei cattolici. Non solo quella di Papa Francesco. Si fanno sentire eccome, in tante occasioni d’indubbio rilievo politico-sociale, vescovi, parroci e movimenti, alcuni attivi nel terzo settore. Il fatto è che ora l’identità cristiana si ricava dalle opere più che dalle parole. Innegabile per esempio l’impegno della Caritas che dà da mangiare a persone bisognose, il cui aumento vertiginoso è una delle più gravi emergenze del nostro tempo. In pratica i cattolici agiscono nella maniera più appropriata al loro credo. Senza dimenticare che, al di là del «devozionismo», agiscono per il bene del prossimo, cioè cristianamente, anche movimenti non religiosi. Perciò un partito cattolico non servirebbe né alla Chiesa né alla società. Quando si tentò di fondarlo nel 2020, pensando di farne il «centro» dell’agone politico, non ebbe successo. Non tanto per la mancata introduzione dell’agognato sistema elettorale proporzionale quanto perché è per principio un’illusione che la «fede religiosa» – parte insondabile della coscienza individuale – faccia da collante d’un partito politico nelle società secolarizzate. Dove ciò avviene – esempio l’Islam – impera il «fondamentalismo religioso», contrario al messaggio cristiano basato sulla libertà. Infatti Cristo stesso ha distrutto la «religiosità» intesa come «sistema di precetti imposti» dando spazio alla laicità («date a Cesare quel che è di Cesare, a Dio quel che è di Dio»). Non fa testo l’eccezione della Dc nel secondo dopoguerra: all’epoca il collante dell’aggregazione cattolica non fu la fede bensì il rischio del comunismo, persecutore del cristianesimo e d’ogni religione («oppio dei popoli»). Non a caso, caduto il comunismo col muro di Berlino e grazie a Mikhail Gorbaciov (1989-90), cominciò il declino sia della Dc e dei partiti minori del «centro», sempre al governo, sia del Pci, sempre all’opposizione («democrazia bloccata»). La caduta del comunismo, si sa, è una svolta storica nella politica non solo italiana. Ricordandone per grandi linee i passaggi, coll’introduzione nei primi anni ’90 del sistema elettorale maggioritario, si pensava all’alternanza tra centrosinistra e centrodestra. Difatti, dopo la vittoria della destra capeggiata da Berlusconi (1994), il cattolico Romano Prodi fondò l’Ulivo (prodromo del Partito democratico) e vinse le elezioni (1996) mettendo assieme cattolicesimo democratico e sinistra progressista. Quella svolta si ripercosse quindi sul mondo cattolico, ma la Chiesa aveva cominciato a prendere le distanze dalla politica attiva fin dal Concilio Vaticano II. Giustamente: perché, fermi restando i dogmi, non c’è un unico modo di vivere la fede. Difatti in politica i credenti stanno sia nel centrodestra sia nel centrosinistra, secondo la libera diversa concezione della Chiesa-istituzione. C’è chi concepisce la Chiesa come «potere» (i tradizionalisti «costantiniani») e chi la concepisce come «servizio» (gl’innovatori: dal cardinale Martini a Papa Francesco). Tutti – cardinali, vescovi, presbiteri, laici – professano la stessa fede vivendola in modi differenti, comunque rispettabili. Sono inaccettabili soltanto le squallide, purtroppo ricorrenti, strumentalizzazioni (esibizione di crocifissi, rosari, immagini sacre) che della religione fanno politici ipocriti per prendere i voti (elettorali, non religiosi). La diaspora politica dei credenti, dunque, dipende dalla vita di fede che ciascuno sceglie e fa giudicare dalla propria coscienza. Perciò oggi, di fronte all’insopprimibile pluralismo delle idee e dei comportamenti, non pare ci sia lo spazio per un partito cattolico. Il che non significa assenza e silenzio dei credenti. I quali hanno il dovere di partecipare alla vita politica (e anzitutto di votare) ma in piena libertà, non intruppati in un partito che, dietro l’etichetta cattolica, pretende d’imporre le proprie decisioni a credenti e non credenti. Pure sui diritti civili il credente interpella la propria coscienza e testimonia la sua fede senza volerla imporre a chi la pensa diversamente. Se la spiritualità, religiosa o laica che sia – valore d’enorme portata – penetrasse nelle famiglie e nei corpi intermedi, sarebbe utile alla convivenza civile anche in una società secolarizzata, purché non imprigionata in una visione settaria dell’esistenza umana, avanzata dai partiti politici. La newsletter del Corriere del Mezzogiorno – PugliaSe vuoi restare aggiornato sulle notizie della Puglia iscriviti gratis alla newsletter del Corriere del Mezzogiorno. Arriva tutti i giorni direttamente nella tua casella di posta alle 12. Basta cliccare qui. 4 settembre 2022 | 09:21 © RIPRODUZIONE RISERVATA ,

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