I doveri del premier

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Quando Massimo D’Azeglio ebbe a dire che fatta l’Italia, bisognava fare gli italiani constatava, con amarezza, che l’unit non era stata raggiunta per volont di un popolo che si identificava nella nazione, ma per una sorta di conquista ad opera di una sua parte. Aveva, tuttavia, la speranza che lo spirito nazionale si sarebbe formato nel corso degli anni; e non per supina accettazione, ma per condivisione di valori, di interessi, di speranze. A distanza di oltre un secolo e mezzo dovrebbe constatare che gli italiani non si sono fatti e che si sta provvedendo a disfare l’Italia. Oggi, infatti, dobbiamo chiederci senza infingimenti se ci sentiamo prima campani, laziali, lombardi, veneti e cos via e, poi, italiani; oppure se ci sentiamo in primo luogo italiani e, poi, campani, laziali e cos via. A me sembra che pencoliamo su di un pericoloso crinale, in quanto l’orgoglio di essere italiani cedevole e continuiamo a dare la preferenza agli interessi di campanile. Quelli per i quali qualsiasi opera pubblica di interesse nazionale che comporti sacrificio per un territorio non si fa o stenta a farsi per le opposizioni locali. In questo difficile contesto piombata come una clava la riforma costituzionale del 2002, voluta anche o soprattutto dal Pd, partito a vocazione di governo, in sciocca concorrenza con la Lega, a cui non voleva cedere voti (particolare non irrilevante: la riforma fu approvata con una maggioranza di pochi voti). Una riforma anche tecnicamente discutibile, perch il solo immaginare poteri concorrenti significa aprire il campo a perniciose controversie tra Stato e Regioni o tra Regioni, scaricando sul giudice, qui la Corte costituzionale, le tensioni. Tuttavia, la riforma c’ e all’orizzonte non appare la possibilit di cancellarla. Quindi, ha ragione il ministro Calderoli quando afferma che chi l’ostacola si pone contro la Costituzione. inutile piangere sul latte versato. Le sue proposte, da convinto leghista, ripropongono un modello di Stato federativo, come nel logo del suo partito, rievocando le idee di Gioberti (che, per, era un prete e come tale credeva che l’autorit papale fosse sufficiente collante per garantire l’unit della nazione). Non mi intriga, lo confesso, il singolare (e machiavellico) modello procedimentale immaginato dal Ministro, per il quale un disegno di legge concordato tra le parti in causa diventa nella sostanza un decreto legislativo anticipato, posto che il Parlamento deve soltanto e supinamente approvarlo. Il Ministro, che non nuovo a trovate del genere, avr pure sentito i suoi esperti e ne avr reperito alcuni disposti ad assicurarlo che il procedimento compatibile con la Costituzione (e in particolare con il suo art. 116), che sempre pi appare come una fisarmonica che si espande o si restringe in funzione degli obiettivi che si perseguono. L’esperto, abituato a non essere a servizio, non potr non rilevare che il procedimento contro la Costituzione e viola i poteri essenziali del Parlamento. Mi rattrista, invece, che le discussioni si agitino su questioni di tipo patrimoniale. Il nostro governatore, che pensa alla Campania come ad un emirato, vorrebbe potere assoluto sul territorio e su quanto vi insiste (ambiente, impianti energetici, paesaggio, trasformazione urbana e edilizia, porti, insediamenti produttivi ecc.). Il Governatore della Toscana pensa a gestire in solitudine il suo patrimonio culturale. Le Regioni del nord si preoccupano di tenersi strette le risorse che hanno accumulate, anche se l’accumulo avvenuto utilizzando il poco patrimonio lasciato allo Stato. Mi rattrista ancora che il maggiore punto di tensione sia il Lep (l’acronimo indica i livelli essenziali di prestazione), declinato con occhio particolare alla spesa sanitaria, che in sostanza una questione di soldi e di (scarsa) solidariet, quale sarebbe necessaria quando si vive insieme. Il quadro desolante. Si parla, insomma, di soldi e del potere di gestirli in uno Stato che sempre pi un luogo geografico in cui si agglutinano piccole entit locali, quali finiscono con l’essere le Regioni (siamo tutto sommato nella, quanto a territorio, piccola Italia). Mi preoccupa, invece, il poco o scarso dibattito per l’autonomia estesa all’istruzione, alla cultura, alle professioni. Eppure questo il punto centrale e pi irto di insidie del cd. regionalismo differenziato. E’ da ciechi non vedere che un’autonomia differenziata estesa a questi campi suonerebbe come un de profundis per l’unit della nazione e farebbe sbarrare gli occhi allo speranzoso Massimo D’Azeglio. Come non convenire che istruzione, cultura, esercizio delle professioni sono gli elementi fondanti del nostro modo di essere e, quindi, del farci sentire italiani; di pi, del nostro essere italiani? inevitabile e necessario, a questo riguardo, tirare in ballo il nostro primo Ministro. Non so bene di che panni vesta. All’opposizione era una barricadera non raramente sopra le righe. Nel ruolo istituzionale ci tiene ad apparire come interprete di un conservatorismo illuminato. A quale Meloni credere? Alcune scelte delle persone alimentano i miei dubbi. Su di un punto , tuttavia, stata rocciosamente ferma. Si proclamata e continua a proclamarsi patriota e ha rivendicato l’orgoglio della Nazione, dicendo di essere fedele al logo del suo partito, nel quale figura la parola Italia. Bene. Se cos , il momento che faccia sentire la sua voce; che faccia presente che non potr essere solidale con qualsiasi riforma che comprometta l’unit della Nazione e che distrugga quel poco che si fatto per fare gli italiani. Rammenti alla Lega, che essa rappresenta meno del dieci percento di chi ha eletto l’attuale Parlamento. E quanti l’hanno votata, condividendo con Lei l’orgoglio di essere innanzitutto italiani, dovrebbero ricordarLe che compromessi al ribasso su questi temi suonerebbero come tradimenti. 24 dicembre 2022 | 08:47 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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