di Andrea Laffranchi, inviato a Madrid
In 53 mila all’Atletico per la prima tappa del tour europeo di «Sixty», in un viaggio lungo due ore
Più che l’ultimo questa volta è il primo. I Rolling Stones si trovano per la prima volta on the road con un tour pianificato soltanto per tre persone. Quando l’estate scorsa se n’è andato quel dandy di Charlie Watts mancava poco alla partenza della sezione americana del No filter, spettacolo che in Europa si era già visto prima che la pandemia fermasse tutto. Ora sono rimasti in tre: Mick Jagger, Keith Richards e Ronnie Wood, il più giovane con i suoi 75 anni compiuti ieri. Candeline spente allo stadio Wanda Metropolitano di Madrid, quello dell’Atletico, per la prima data del Sixty tour, 14 concerti, tappa italiana il 21 giugno a San Siro. A Charlie va un tributo in apertura con un videocollage sui megaschermi che attraversa epoche e rullate, mode e rughe.
L’ultimo tour non è un problema dei Rolling Stones. È un problema nostro che ci vediamo invecchiare più velocemente anche se lo specchio è lo stesso. Lo raccontava nel pomeriggio Patrick Woodroffe, lo show designer che da quarant’ anni dà corpo e forma ai palchi della più grande rock band della storia (e non solo): «Non faranno mai un tour d’addio. Lo si potrà dire solo dopo, una volta che si saranno fermati ci ricorderemo che quello visto era l’ultimo. È una domanda che tutti si fanno ogni volta, ma loro non se lo chiedono. Questo è il loro lavoro e qui parte un nuovo capitolo in un territorio inesplorato».
Le prime parole sono quelle di Street Fighting Man: Mick in bolero di raso rosso e camicia psichedelica parte con le sue mosse (si cambierà più volte), Keith con un cappellaccio di lana e giacca tigrata e Ronnie in paillettes incrociano le corde delle chitarre. Alla batteria c’è Steve Jordan, loro collaboratore da tempo. E con Mick siamo a tre Jagger al prezzo di uno: prima degli Stones sul palco c’era la madrilena Vargas Blues Band con Chris e John Byron, fratello e nipote. Si assomigliano, nei lineamenti e nelle espressioni ma l’originale è solo uno. Uno che gira il mondo come un turista in pensione e posta foto dei suoi viaggi e delle sue visite su Instagram, ma che quando sale sul palco, ciao a tutti. E a luglio sono 79… Ha inventato qualcosa quando non c’erano maestri e nessuno lo ha ancora superato.
I fiati di Tumbling Dice hanno un accento black. Sorpresa per i fan: prima assoluta, annuncia Mick, per Out of Time, brano del 1966. Passano sullo schermo i titoli delle canzoni richieste online. La vincitrice è Beast of Burden. You Can’t Always Get What You Want si prende il primo dei cori dei 53 mila presenti. Miss You e Midnight Rambler sono cavalcate infinite (anche Mick ha bisogno di riprendere fiato).Start Me Up, Paint It Black, Sympathy for the Devil e Jumpin’ Jack Flash (Keith mette l’amplificatore a 11) sono una sequenza che spacca e porta ai bis, Gimme Shelter ha le immagini della distruzione in Ucraina e l’urlo liberatorio di Satisfaction.
Eterni loro, eterne le canzoni. Un repertorio così solido che non ha bisogno di rinnovarsi. E che non ha bisogno di effetti speciali, video in 3d, passerelle mobili, giochi di prestigio digitali e trovate tecnologiche.Il 12 luglio saranno 60 anni, Sixty appunto si chiama questo tour, dalla data del primo concerto dei Rolling Stones al Marquee di Londra. Lo celebra un palco da 55 metri per 17 con 400 metri quadri di grafiche gialle, rosse e nere attorno a un boccascena che segue la sagoma del logo della band, la linguaccia, la più famosa del rock. «Non abbiamo mai usato prima colori vivi, ed è anche la prima volta che la scenografia va bene sia per la luce del giorno che al buio — raccontava sempre Woodroffe —: la gente quando entra deve dire wow, sono tornati, non è la tv». L’impatto è quello, ed è durato due ore.
2 giugno 2022 (modifica il 2 giugno 2022 | 00:46)
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, 2022-06-01 23:19:00, In 53 mila all’Atletico per la prima tappa del tour europeo di «Sixty», in un viaggio lungo due ore, Andrea Laffranchi, inviato a Madrid