I talk, la contrapposizione  e la ricerca dell’ospite «scomodo»

I talk, la contrapposizione e la ricerca dell’ospite «scomodo»

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di Aldo Grasso

Se si invitano persone normali, anche preparate, c’è il rischio della prevedibilità, della monotonia. La rottura sta solo nella rissa

È finita #cartabianca e, in tutta sincerità, spero non torni più. Non mi riferisco alla trasmissione in sé, né alla conduttrice (per me Bianca Berlinguer potrebbe anche presentare Sanremo), ma al modello di talk show del servizio pubblico. Ogni volta che il reale appare nella sua drammaticità, dobbiamo registrare come i talk inquinino il dibattito pubblico, creino «mostri», diffondano menzogne e malafede, favoriscano l’indistinguibilità. Per questo, l’ospite più ricercato è quello considerato «scomodo», l’intellettuale dai toni wagneriani, costantemente in dissenso. La negazione, si sa, è lo «scomodo» di ogni cultura e avere a disposizione uno spazio di alterità cui delegare le nostre inquietudini torna sempre utile. Così il conduttore può affermare: «Il mio è un programma che fa parlare tutti». Se si invitano persone normali, anche preparate, c’è il rischio della prevedibilità, della monotonia (come il talk di Gianrico Carofiglio).

La rottura sta solo nella rissa: per questo, nella scelta degli ospiti, bisogna considerare la contrapposizione, il tafferuglio, il parapiglia. Anche in termini linguistici, il talk è un esercizio intrinsecamente populista (ragion per cui i più bravi non li frequentano, non è il loro ambiente). Normale che ciò succeda nelle tv commerciali perché i loro bilanci dipendono dagli ascolti, dalla pubblicità. Ma la Rai può fare qualcosa di diverso? O si limiterà ancora, stancamente, a sventolare le bandiere del pluralismo, dell’obiettività, della completezza dell’informazione (inganni atroci)? Lo spazio dell’opinione televisiva è quello di una negoziazione continua tra nobili aspirazioni a informare e logiche «volgari» del mezzo, compresi gli ascolti; questo vale anche per il servizio pubblico. A maggior ragione, i talk in Rai vanno guidati da persone che sappiano affrontare la complessità, sia pure senza rinunciare a una linea dichiarata, a una passione ironica e disincantata.

23 giugno 2022 (modifica il 23 giugno 2022 | 19:11)

© RIPRODUZIONE RISERVATA

, 2022-06-23 19:28:00,

di Aldo Grasso

Se si invitano persone normali, anche preparate, c’è il rischio della prevedibilità, della monotonia. La rottura sta solo nella rissa

È finita #cartabianca e, in tutta sincerità, spero non torni più. Non mi riferisco alla trasmissione in sé, né alla conduttrice (per me Bianca Berlinguer potrebbe anche presentare Sanremo), ma al modello di talk show del servizio pubblico. Ogni volta che il reale appare nella sua drammaticità, dobbiamo registrare come i talk inquinino il dibattito pubblico, creino «mostri», diffondano menzogne e malafede, favoriscano l’indistinguibilità. Per questo, l’ospite più ricercato è quello considerato «scomodo», l’intellettuale dai toni wagneriani, costantemente in dissenso. La negazione, si sa, è lo «scomodo» di ogni cultura e avere a disposizione uno spazio di alterità cui delegare le nostre inquietudini torna sempre utile. Così il conduttore può affermare: «Il mio è un programma che fa parlare tutti». Se si invitano persone normali, anche preparate, c’è il rischio della prevedibilità, della monotonia (come il talk di Gianrico Carofiglio).

La rottura sta solo nella rissa: per questo, nella scelta degli ospiti, bisogna considerare la contrapposizione, il tafferuglio, il parapiglia. Anche in termini linguistici, il talk è un esercizio intrinsecamente populista (ragion per cui i più bravi non li frequentano, non è il loro ambiente). Normale che ciò succeda nelle tv commerciali perché i loro bilanci dipendono dagli ascolti, dalla pubblicità. Ma la Rai può fare qualcosa di diverso? O si limiterà ancora, stancamente, a sventolare le bandiere del pluralismo, dell’obiettività, della completezza dell’informazione (inganni atroci)? Lo spazio dell’opinione televisiva è quello di una negoziazione continua tra nobili aspirazioni a informare e logiche «volgari» del mezzo, compresi gli ascolti; questo vale anche per il servizio pubblico. A maggior ragione, i talk in Rai vanno guidati da persone che sappiano affrontare la complessità, sia pure senza rinunciare a una linea dichiarata, a una passione ironica e disincantata.

23 giugno 2022 (modifica il 23 giugno 2022 | 19:11)

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Pietro Guerra

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