Il clima che cambia le vette: perso il 30% del volume del ghiacciaio in 10 anni

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di Massimo Sideri

Gli esperti: «Stanno accadendo gli stessi identici fenomeni al Polo Sud e sulla costa della Groenlandia: si fonde la base e il fiume sottostante fa scivolare il ghiaccio sopra che, cadendo, si spezza. Siamo ormai arrivati al punto di collasso»

I ghiacciai non si piegano. Al limite fuggono. Ma sappiamo che si spezzano. E il loro soprannome ricorda la loro natura ostile: sono stati battezzati dagli scienziati del clima il «terzo Polo» del mondo. Ma a differenza dei due fratelli maggiori, l’Artide e l’Antartide, si tratta di un polo parcellizzato in milioni di montagne sparse fra tutte le terre emerse. Una rete neurale, quasi una specie aliena, capace di raccontarci il mondo di milioni di anni fa, a saperli ascoltare nel loro silenzio. Cosa ci stanno dicendo? È questa la domanda del giorno dopo. Da quando domenica a spezzarsi è stata la Marmolada, come per le trombe d’aria e i terremoti, è difficile non chiederselo: la scienza poteva prevederlo in qualche maniera? La tragedia è una figlia non voluta del cambiamento climatico?

Le domande poste dalla tragedia

«Sappiamo per certo che i ghiacciai sono sistemi molto delicati e che hanno già iniziato a risentire del cambiamento climatico», spiega Luisa Cristini, Climate scientist che ha lavorato alle Hawaii, in Portogallo e che ora co-dirige i progetti di ricerca dell’Alfred Wegener Institute in Germania, il più importante centro studi sulle scienze polari in Europa. «È sempre difficile cercare un nesso di causa-effetto tra il singolo episodio e il riscaldamento globale. Però abbiamo imparato che i ghiacciai montani e dei poli sono sistemi che cambiano rapidamente, in pochi anni».

I numeri del cambiamento

Vette, seracchi e valli scolpite da antichi ghiacciai sono oggi forse il campanello di allarme più importante che abbiamo, proprio perché come i diamanti possono essere durissimi e allo stesso tempo molto fragili. E non sono per sempre come pensiamo. «I ghiacciai sono essenzialmente delle variabili indirette del clima, perché sono molto sensibili all’ambiente» si legge nello studio pubblicato nel 2019 su «Remote Sensing of Environment» da Università di Trieste, Cnr-Ismar, Aberystwyth University, Università di Genova e Arpav proprio sulla «recente evoluzione del ghiacciaio della Marmolada». I numeri non lasciano debiti alla conoscenza: l’area del ghiacciaio era passata da 1.402.000 metri quadrati del 2004 a 1.097.000 metri quadrati del 2014: -22% in un solo decennio. Il volume del ghiaccio nello stesso periodo aveva perso il 30% (da 25,2 milioni di metri cubi a 17,5).

La storia per immagini

È vero: anche tante fotografie davano il senso di questa ritirata e fuga dei ghiacci. Nel documentario «Chasing Ice» del 2012 James Balog e il suo team avevano assemblato immagini di anni diversi su molti ghiacciai, creando una cronistoria di una morte annunciata. Ma l’importanza del massiccio studio del 2019 deriva dal fatto che la ricostruzione in 3D dei «due» ghiacciai della Marmolada, quello del 2004 e quello del 2014, era stata ottenuta con la tecnologia Gps. Numeri indiscutibili e che davano voce al lamento del gigante di ghiaccio.

Le analogie con l’Everest

Che i ghiacciai si spezzassero lo sapevamo già: chi conosce il versante nepalese dell’Everest sa che c’è un feroce concorrente della pericolosità della stessa zona della morte, sopra gli 8 mila metri. Ed è appena sopra il campo Base a 4.900 metri: il ghiacciaio e la seraccata del Khumbu. Con la loro instabilità e fragilità ogni anno mietono vittime. Il singolo episodio può essere causato da una maledetta giornata fuori dalla norma, dall’imprevedibilità del meteo. Da mille sfortunate concause decise dal fato. Ma la preoccupazione di Luisa Cristini è la ripetibilità della rottura dei ghiacci a causa del cambiamento del clima. «Stanno accadendo gli stessi identici fenomeni al Polo Sud e sulla costa della Groenlandia che studiamo con attenzione: si fonde la base e il fiume sottostante fa scivolare il ghiaccio sopra che, cadendo, si spezza. Quello che dovremmo domandarci è se siamo arrivati al punto di collasso dei ghiacciai».

Gli indizi da cogliere

Gli indizi ci sono: come le guglie di roccia che proprio nelle immagini dello studio pubblicato nel 2019 erano emerse all’interno del ghiacciaio trasformandosi in zone calde di rottura. La scienza può cercare di capirli. Siamo capaci di ascoltarli?

4 luglio 2022 (modifica il 4 luglio 2022 | 23:12)

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, 2022-07-04 22:12:00, Gli esperti: «Stanno accadendo gli stessi identici fenomeni al Polo Sud e sulla costa della Groenlandia: si fonde la base e il fiume sottostante fa scivolare il ghiaccio sopra che, cadendo, si spezza. Siamo ormai arrivati al punto di collasso», Massimo Sideri

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