Il campo largo si è palesato per la prima volta sabato scorso in piazza Santa Croce, a Firenze. Abbiamo adesso un indizio importante, un filo da seguire nel suo srotolarsi di qui alle elezioni che si terranno esattamente tra un anno, in un contesto imprevedibile ma di sicuro connesso con l’attuale tragedia in Ucraina, nel senso che sappiamo tutti che è iniziata una lunga fase di crisi internazionale.
A Firenze, nella grande manifestazione organizzata da Dario Nardella nell’ambito di “Cities stand with Ukraine” (grande risposta ai neutralisti-vittimisti della sinistra-sinistra), tra le bandiere giallocelesti e arcobaleno, collegata con il presidente Volodymyr Zelensky, si sono visti insieme Pd, Azione, Italia viva, +Europa, socialisti, Verdi, LeU (per la verità, quest’ultima era anche a Roma, come Maurizio Landini, il leader sindacale più ondivago che si ricordi) e anche un significativo gruppetto di Forza Italia.
Non c’erano i grillini di Giuseppe Conte che hanno inopinatamente scelto di andare a Napoli, non in tantissimi per la verità, per una iniziativa connessa con la giornata europea pro-Ucraina ma evidentemente insofferenti alla vicinanza anche fisica con i militanti di altri partiti e politicamente gelosi (in un frangente come questo!) della propria immagine. Non c’era la Lega, ancora fresca della figura planetaria rimediata da Matteo Salvini a Przemyśl, una Lega che malgrado l’istrionismo del capo non riesce a prendere posizione ad alta voce contro il re dei sovranisti Vladimir Putin. Non c’era FdI, malgrado la scelta anti-russa compiuta con nettezza da Giorgia Meloni, istintivamente refrattaria a scendere in una piazza considerata “di sinistra”, nella qual cosa si legge un persistente riflesso da anni Settanta.
Però la cosa criticabile non è questa quanto il fatto che la destra non abbia organizzato nulla “di suo” contro l’aggressione di Putin all’Ucraina, dando invece la sensazione di prepararsi a giocare la sua partita sulle conseguenze del conflitto, il caro-bollette, la benzina, i prezzi dei beni alimentari: sarà questo il prossimo terreno di scontro tra centrosinistra e destra, tra governo e opposizione. E vedremo chi sosterrà le inevitabili misure probabilmente impopolari che Mario Draghi dovrà assumere (non vogliamo chiamarla economia di guerra? Chiamiamola in un altro modo, ma insomma la situazione è destinata a cambiare profondamente) e chi invece vorrà lucrare sulle difficoltà. Ma intanto questo che descrivevamo è avvenuto, a Firenze.
Cosa se ne ricava? In primo luogo, come detto, che la scelta atlantica e europeista (le due cose, in questo tornante della Storia, non sono contrapposte come lo erano durante la Guerra fredda anche in ambienti progressisti) è ormai irreversibilmente “la” scelta della sinistra democratica – Francesco Merlo su Repubblica ha parlato di una «Bad Godesberg di Enrico Letta». Da questo punto di vista il Pd ha acquisito un vantaggio su tutti gli altri: perché non ha contraddizioni. La sua posizione è netta: sta di qua, con l’Ucraina, cioè l’Occidente. Invece Nicola Fratoianni, Maurizio Landini, Pier Luigi Bersani hanno – se vorranno percorrerla – altra strada da fare, ma è un problema loro.
La distanza fisica tra Firenze e Napoli segnala poi la “non mescolabilità” di dem e grillini, come scriviamo da anni. Intanto, il “punto di riferimento fortissimo dei progressisti” Giuseppe Conte sembra sempre meno “fortissimo”, quasi evanescente come una stella cadente d’agosto, incapace di mediare tra Luigi Di Maio e Vito Petrocelli. Anche questo serve a chiarire molte cose.
È di fronte alle cose davvero importanti, persino tragiche, che la politica in un certo senso è costretta a essere chiara. Servono molto di meno invece i pranzetti tra Letta e Conte per verificare in quali città sarà possibile andare insieme alla prossima tornata amministrativa: questa è politichetta, quella è politica.
E dunque tra un anno voteremo per le politiche avendo più chiari i profili ideali e politici dei vari soggetti. Nell’assurdità di un quadro internazionale che ci angoscia ogni giorno di più, un elemento di chiarezza fondato sulla nettezza delle posizioni – chi sta con Kiev e chi no – rappresenta un barlume di speranza, una piccola luce, per la politica italiana.
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