Il controfestival veneziano di Pier Paolo Pasolini

Il controfestival veneziano di Pier Paolo Pasolini

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Nel 1968 a pochi giorni dall’apertura della 29ª edizione della Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia, Pier Paolo Pasolini è in concorso con Teorema, pellicola tentativo della pedagogia del regista di non sacrificare la libertà di ogni uomo. Libertà da proteggere ogni giorno soprattutto in relazione con la differenza. Il suo cinema è una forma artistica contro il Potere e si serve in Teorema delle scene erotiche per estremizzare metaforicamente il rapporto di potere con chi gli è asservito e subordinato. Potere capace di condizionare i corpi, profanando le coscienze imponendo valori ingannatori e alienanti come il valore del consumo capace di ridurre il corpo umano a cosa, merce, annullando la personalità e l’identità individuali sostituendole con l’uomo-massa: l’uomo consumatore e anche merce del consumismo.

Sulla scia del disordine generato dall’occupazione del Festival di Cannes da parte di studenti universitari con il sostegno di registi e critici cinematografici determinando la sospensione delle proiezioni e dalla prima obiezione dell’Associazione Nazionale Autori Cinematografici contraria ai criteri di giudizio e selezione delle pellicole, ai meccanismi di competizione, allo statuto della Biennale approvato in epoca fascista e non ancora riformato. Un’ulteriore critica mossa alla Mostra era come la cultura, l’arte e il sapere antico fossero stati nel tempo sorpassati e sostituiti da un mero appuntamento mondano. Pasolini condividendo e appoggiando le osservazioni avanzate dall’ANAC, guida un controfestival veneziano accogliendo tutti i registi contestatori nazionali e internazionali, scegliendo il rifiuto come gesto essenziale, grande, assoluto.

Successivamente l’intervento della polizia che sgombera la Sala Volpi dove erano riuniti in protesta le grandi firme della regia, la Mostra continua il suo corso ritrovando cineasti che avevano prima partecipato alla protesta come Bernardo Bertolucci, Giorgio Bontempi, Liliana Cavani e Dino Risi. Pasolini ancora una volta trova nella solitudine la sua forza e non arretrando di un passo resiste gettando idealmente il suo corpo nella lotta e nella contestazione appellandosi affinché la sua pellicola non venga proiettata.

Teorema viene regolarmente proiettato ma ritenuto osceno e scandaloso per Chiesa, verrà sequestrato per ordine del sostituto procuratore della Repubblica. L’ennesimo processo per Pasolini. Il 1968 segna l’ultimo anno in cui il regista si presenta alla Mostra.

Per Pasolini il cinema è lo sguardo poetico sulla realtà che non si fa servo e merce del Potere riconoscendo che “Niente come fare un film costringe a guardare le cose”.

Per il cineasta l’approdo al cinema è stata una scelta educativo-didattica in quanto gli consentiva di raggiungere un pubblico sempre più vasto così da non lasciare indietro nessuno, offrendo allo spettatore la possibilità di immedesimarsi e fare esperienza dell’alterità oltre che con se stessi, estendendo così la sua rivoluzione amorosa.

Oggi alla Mostra del Cinema abbiamo testimonianza di chi ha prima dichiarato riferendosi al cinema: “No, per niente. Purtroppo è un linguaggio che mi annoia e credo di esser davvero l’unica persona che abbia mai conosciuto a disperarsi quando qualcuno dice: guardiamo un film?” e coerentemente oggi ci partecipa, pensando di dimostrare il suo coraggio e di fare una rivoluzione utilizzando come materia di scandalo per essere ricordata come l’unica donna italiana ad aver sfilato mondanamente in passerella con i peli sulle gambe.

Guardando alla cosa da un punto di vista culturale ci si rende conto di come i social network siano riflesso della società contemporanea e spesso espressione tra i più giovani di una costruzione fantastica di una non realtà che soffoca e spegne le unicità presenti in ciascuna persona dove a essere elemento che fa cultura non è il sapere antico.

Sono queste le contestazioni e le rivoluzioni sociali oggi?

Maria Laura Chiaretti

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