di Giuseppina Manin
Un prodigio d’animazione del Seicento, una creatura infernale di legno dipinto di cui non si conosce l’autore. Capace di spaventare anche i più coraggiosi con la testa roteante e la lingua che sbuca dalle labbra emettendo un suono terrificante
Il corridoio rosso che dà il titolo alla mostra in corso alla Triennale è degno di un racconto di Poe. E difatti, come in uno degli incubi dello scrittore americano, la casa borghese (primo Novecento) ricostruita con puntigliosità dai curatori Giovanni Agosti e Jacopo Stoppa e allestita dalla scenografa Margherita Palli, cela un mistero dietro ogni sua porta. In sintonia con il titolo della 23ma esposizione internazionale, Unknown unknowns. An introduction to mysteries, l’ignoto qui offre la sua vertigine domestica al visitatore. Ma la porta proibita è quella che conduce nella stanza rossa. Dove ad attenderlo c’è Belzebù in persona. Occhi basedoviani iniettati di sangue, orecchie a punta, ghigno ovviamente satanico, pronto a tirar fuori una linguaccia da serpentello beffardo. Una creatura infernale di legno dipinto, torso di stile classico da Cristo alla colonna o da San Sebastiano, che vanta un antico lignaggio. Perché l’Automa Settala, così è nominato, è il pezzo forte di una raccolta messa insieme dal milanese Manfredo Settala, scienziato, orientalista, canonico della basilica di San Nazaro, figlio di Ludovico, il medico celebrato nei «Promessi Sposi».
La sua casa, che ospitava il Musaeum Septalianum, circa 3 mila pezzi tra opere d’arte, reperti archeologici e stravaganze esotiche sorgeva in via Pantano. Lì milanesi e curiosi da tutta Europa, facevano la fila per poter ammirare i tesori. Specie quel diavolaccio costruito da chissà quale negromante, o magari dallo stesso don Settala, che in fatto di meccanica pare ne sapesse una più del diavolo. Compreso quello di casa sua, capace di spaventare anche il più intrepido con le smorfie, la testa roteante, le pupille capaci di saettare chi osava sfidarle, la lingua che sbucava dalle labbra emettendo un suono terrificante. Un prodigio d’animazione di cui il canonico andava fiero, visto che bastava un colpo di manovella e il demone si scatenava, impressionando credenti e increduli. Un colpo di teatro che valeva più di tante prediche, gli ospiti ne uscivano tutti convertiti.
La Creatura, lasciata dagli eredi Settala con il resto della collezione all’Ambrosiana, fu in seguito venduta e quindi comprata dal Comune. E dal 1982 fa parte delle Civiche Raccolte del Castello. «Il nostro Diavolaccio è tornato a essere un bene pubblico, anche se l’attuale sistemazione, in un angolino dove non lo nota nessuno, non gli rende giustizia — aggiunge Stefano Boeri, presidente della Triennale —. Purtroppo, con il tempo i delicati ingranaggi si sono usurati e ormai si evita di fargli compiere le sue prodezze per timore di deteriorarli ulteriormente».
I misteri della scultura animata non finiscono qui. A distanza di secoli è ancora in cerca di un autore e di una precisa collocazione cronologica, che oscilla dal tardo Cinquecento a metà Seicento. Di certo esiste già nel 1664, quando compare il primo catalogo a stampa del Museo Settala.
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23 luglio 2022 (modifica il 23 luglio 2022 | 15:31)
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, 2022-07-23 13:31:00, Un prodigio d’animazione del Seicento, una creatura infernale di legno dipinto di cui non si conosce l’autore. Capace di spaventare anche i più coraggiosi con la testa roteante e la lingua che sbuca dalle labbra emettendo un suono terrificante, Giuseppina Manin