Il Metodo Analogico: come nasce, come funziona, come non far soffrire i bambini. INTERVISTA al suo ideatore, il Maestro Camillo Bortolato

Il Metodo Analogico: come nasce, come funziona, come non far soffrire i bambini. INTERVISTA al suo ideatore, il Maestro Camillo Bortolato

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La scuola per molti bambini, soprattutto nei primi anni della scuola primaria, rappresenta un momento difficile e faticoso, ma si può apprendere anche in maniere semplice e divertente? Ne abbiamo parlato con il Maestro Camillo Bortolato, ideatore del Metodo Analogico.

Professor Bortolato, ci racconta come nasce il suo metodo?

Nasce negli anni ’70, quando sono stato catapultato a scuola e mi sono confrontato con delle mode estere, che erano in voga in quegli anni, su come studiare i numeri, le cifre, quelli che chiamano i gusci. A quel punto ho cominciato a fare le “palline”, perché utilizzando le palline i bambini comprendono meglio semplicemente osservando. Ho iniziato con cento palline, poi ne ho fatte mille e dopo diecimila e i bambini erano contenti e capivano tutto. Questo per dire che innanzitutto vengono le immagini e dopo le cifre, diventando così tutto automatico. Poi ho scoperto, guardando la didattica tedesca e finlandese, che anche loro adottavano questo metodo e questo mi ha confortato della scelta che avevo fatto, che poteva essere considerata una scelta velleitaria, ma invece era proprio vero che l’uso delle palline funzionava. Adesso tutti i libri hanno le palline.

Lei poi dal dominio matematico è passato a quello letterario. A tal proposito ha creato un abecedario che permette ai bambini di riconoscere le lettere e a costruire le parole attraverso le immagini. Come funziona?

È una cosa molto bella, perché la scuola ci applica una forma di gradualità che significa parzializzare le cose pensando che sia utile, ma invece ho capito che i bambini vogliono essere trattati da grandi, vogliono vedere subito e vogliono arrangiarsi a scegliere il metodo che gli piace di più. Per questo ho utilizzato una tastiera sulla quale ho messo tutte le lettere dell’alfabeto, compreso i suoni complessi come “sci” o “gli” sempre associandoli ad un tasto, ed ho visto che i bambini, chi prima e chi dopo, imparavano rapidamente risparmiando mesi di lavoro. Questo perché la comprensione è un fenomeno di istantaneità, altrimenti bisognerebbe fare la sintesi di tre mesi per avere questa istantaneità, questa subitaneità. I bambini sono abituati così dalla televisione e gli piace moltissimo, è una scelta che non li fa soffrire.

Soffermiamoci su questo ultimo aspetto, ovvero del non far soffrire i bambini durante l’apprendimento. A tal proposito lei parla ai bambini con il linguaggio dei bambini a differenza della maggior parte degli adulti che si rivolge ai più piccoli con un linguaggio adulto. Possiamo dire che è questa la chiave di volta del suo metodo.

Direi di sì. I bambini soffrono non perché l’insegnante non sia bravo, ma perché soffrono il linguaggio verbale adulto. I bambini guardano la bocca della maestra che parla e parla ma sono abituati alla televisione dove guardano direttamente. Soffrono i minuti come fossero delle ore, perché la comprensione è velocissima, così nei problemi e in tutto abbiamo applicato la velocità dei computer a scuola, anche senza computer, perché il nostro è un digitale senza digitale, è l’interfaccia che copre la sostanza digitale che piace ai bambini. Questa perentorietà, questa capacità di spostare le cose come se fossero delle icone cambia tutto, è l’insegnamento della veste grafica del computer, non proprio della sua veste digitale che è tutta a simboli.

Questo metodo viene poi sviluppato e introdotto nelle scuole diversificando tra biennio e triennio della scuola primaria e la scuola secondaria di primo grado. Come si evolve questo processo?

Questo processo è in continuo cambiamento, perché anch’io vedo che più si aderisce al modo di percepire dei bambini, alla loro velocità di computazione che è più accelerata della nostra, più i bambini accelerano e vogliono consumare. Vogliono avere novità, vogliono espandersi e allora è possibile che in futuro già nella scuola dell’infanzia possano fare il calcolo mentale, che è ingenuo, anche senza cifre, magari fatto con un’App, come vediamo già in maniera gratuita su tutti i telefoni cellulari. Il problema è quello di nutrire questa curiosità, altrimenti si trasforma in nausea. Per quanto riguarda le classi prima e seconda si possono fare dei problemi proporzionali con le bilance, si potranno svolgere tutti i compiti che in passato erano previsti per le classi successive e i bambini si aprono quando vedono che ci sono i contenuti giusti. Alla scuola secondaria di primo grado i bambini sono come noi, anzi direi più veloci di noi, e il problema prima di tutto è di noi insegnanti che abbiamo decenni di condizionamenti da levarci, mentre i bambini non ce l’hanno. Il nostro è un programma aperto a tutti.

Chiudiamo con due suggerimenti che vogliamo dare a chi ci sta leggendo e che vuole approcciarsi a questo metodo. Il primo riguarda il calcolo mentale e la differenza rispetto a come viene insegnato nella forma scritta.

Il calcolo mentale si svolge con le parole e con le immagini, in maniera meravigliosa, perché per rappresentare il numero 1200 possiamo rappresentarlo in 1 stanza e 2 armadi, i bambini capiscono subito anche perché siamo sempre dentro il 10. Il calcolo scritto, in cui le cifre diventano importantissime, perché hanno scaturito questa proceduralità di svolgere i calcoli con la penna, è complicato perché bisogna avere a che fare con il riporto, l’avanzo eccetera ed è un altro tipo di processo che credo che in futuro verrà sostituito perché vetusto. Sono le stesse parole che usiamo dal 1500, c’è una grande differenza tra calcolo scritto e mentale. Nella prima classe della primaria puoi viaggiare finché vuoi con il calcolo mentale, invece il calcolo scritto porta con sé lentezza, accortezza, pazienza, insomma è tutto un altro mondo e vanno trattati in una maniera difforme altrimenti si genera difficoltà di apprendimento, quelle solite che si nominano che sono un campo ancora da investigare.

Il secondo suggerimento riguarda una didattica attiva fatta con il bambino al centro dell’apprendimento, un po’ come diceva anche la Montessori.

Certamente, i bambini si impegnano e ciascuno ha il suo metodo. Come ho detto varie volte ciascuno ha un metodo diverso che noi non possiamo neanche andare a vedere e gli piace imparare in modo diverso. In particolare per i bambini in difficoltà a loro gioca contro quella tensione di imparare, a casa imparano tutto perché non hanno la preoccupazione per se stesso, non sdoppiano l’attenzione, lo fanno quasi con noncuranza perché così si impara l’inglese, l’uso del cellulare o del computer, si impara in una maniera molto rilassata strada facendo, al bisogno, all’occasione, dimenticandosi della scuola. Chissà che in futuro si possa procedere in questa maniera più umana di quanto abbiamo vissuto noi.

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