«Il mio Rigoletto, una lotta di classe»

«Il mio Rigoletto, una lotta di classe»

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di Giuseppina Manin

Martone regista dell’opera di Verdi: ambientazione moderna, mi ispiro al film «Parasite». Debutto il 20 giugno, sul podio Michele Gamba

Si sarebbe dovuto intitolare La Maledizione. Quella scagliata da un padre contro un altro padre, uno straziato dal disonore della figlia, l’altro che ride di lui. «Tutto il soggetto è in quella maledizione che diventa anche morale» scriveva Verdi a Francesco Maria Piave, autore del libretto di quella che, mutato il titolo in Rigoletto , sarebbe diventata una delle opere più amate e censurate della lirica. «Ma la censura a volte si ritorce contro chi la mette in atto» avverte Mario Martone, che alla Scala sta lavorando, 28 anni dopo quello di Gilbert Deflo, a un nuovo allestimento, scene di Margherita Palli, costumi di Ursula Patzak. Debutto il 20 giugno, sul podio Michele Gamba.

A scatenare le ire della polizia austriaca di Venezia una storia di inaudita impudenza, dove un buffone attentava alla vita di un re che gli aveva sedotto la figlia. Tagli dopo tagli, trattative dopo trattative, il re venne declassato a un non meglio identificato duca di Mantova. E l’opera andò in scena alla Fenice, 11 marzo 1851, con strepitoso successo. «Ma la vera maledizione, in questa storia di ricchi che tutto possono permettersi e miserabili che devono solo assecondarli, è solo una, quella di nascere poveri. E il signorotto imposto dalla censura risulta oggi ben più attuale di qualsiasi re. Artista politico per eccellenza, Verdi crede negli ideali del Risorgimento, poi ne è deluso, ma si schiera sempre contro il potere. L’aver scelto come soggetto Le roi s’amuse di Victor Hugo, che alla prima alla Comédie-Française creò quel putiferio che ho rievocato in una scena del mio film Noi credevamo, non è casuale. Rigoletto è un’opera politica e morale, un atto d’accusa contro un’ingiustizia sociale sempre più spaventosa. Non a caso si crede sempre meno nella democrazia. Restituire a Verdi la sua violenza è rendergli giustizia».

Così, da grande regista di cinema qual è (il suo Nostalgia è tra i titoli più apprezzati) Martone riporta lo scandalo di Rigoletto ai nostri giorni e, tenendo a mente la lezione crudele di Parasite di Bong Joon-ho, ambienta lo scontro di classe in uno spazio girevole, da un lato dimora elegante del riccone, dall’altro bassifondi distopici dove vivono i suoi servi. «Tra questi due mondi Rigoletto è il trait d’union. E’ l’addetto allo spasso del padrone, il pusher di cocaina e ragazze, il maestro di cerimonie nella stanza dei piaceri, i cui macchinari lasciano intendere pratiche sadiche. Complice e colluso, s’illude di essere intoccabile mentre è solo usato. Nel mio spettacolo non ha la gobba perché la sua è una deformità sociale e morale. La contiguità fisica con il potere è pericolosa, il film coreano lo mostrava bene. E anche qui la vendetta del reietto sarà tremenda» promette Martone.

Su questo sfondo oscuro brilla la luce di Gilda, la figlia del buffone, padre padrone che per proteggerla la tiene prigioniera. «Ma poi lei rompe la gabbia, s’invaghisce dell’abietto duca, non demorde nemmeno quando il padre le mette sotto gli occhi il suo tradimento. Lo ami ancora? Sempre, risponde lei che per salvare l’indegno si farà pugnalare. Una ribelle. Come per altro Desdemona. Di recente ho affrontato Otello, scoprendola risoluta, pronta a sfidare ogni convenzione. Verdi ha grande empatia con i personaggi femminili. Sta sempre dalla parte delle donne».

13 giugno 2022 (modifica il 14 giugno 2022 | 02:30)

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, 2022-06-14 00:30:00, Martone regista dell’opera di Verdi: ambientazione moderna, mi ispiro al film «Parasite», Giuseppina Manin

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