di Alfio Sciacca
Il 22enne è uno degli alpinisti travolti dalla valanga di domenica scorsa. Il padre Michele: «Io e mia moglie siamo grati di aver cresciuto un ragazzo come lui»
L’ultimo corpo che la Marmolada non vuole ancora restituire potrebbe essere anche quello del più giovane degli 11 escursionisti travolti dalla valanga di ghiaccio. Nicolò Zavatta, di Ponte di Mossano, nel Vicentino, aveva appena 22 anni e un grande sogno: la musica. «Era la colonna sonora della nostra famiglia», dice papà Michele. Un uomo devastato dal dolore, ma orgoglioso di quel figlio per il quale non vuole ricordi strappalacrime. «Io e mia moglie siamo grati di aver potuto crescere un ragazzo come lui».
La foto di Nicolò, con zaino, moschettoni e caschetto giallo, papà Michele l’ha inviata al gruppo Facebook «DoloMitici!» del quale il 22enne faceva parte. Ed ha scritto: «Ti dobbiamo un favore, quello di ricordarti così, risoluto nella tua vocazione tra queste rocce, ora felice per sempre».
Proviamo a raccontarlo…
«Era un ragazzo che aveva davanti a sé molti fronti aperti. In autunno doveva partecipare a uno stage Erasmus in Austria, si preparava per diventare alpinista esperto e poi c’era il suo grande amore,la musica. Aveva molti fronti aperti e sicuramente avrebbe avuto un gran futuro».
Come era nata la passione per la musica?
«Già a due anni e mezzo aveva chiesto a Babbo Natale una chitarra. Ha preso a suonare e non ha smesso più. Ma, soprattutto, è stato una vita a seguire concerti. Amava la musica dal vivo: David Gilmour, Deep Purple, Litfiba e, in particolare, Ligabue. Siamo stati tante volte a seguire i concerti live».
Quindi andavate insieme?
«Certo, con tutta la famiglia. Due mesi fa al concerto dei Litfiba a Padova abbiamo perso la voce da quanto abbiamo gridato di felicità. Un mese fa, invece, siamo stati a Campovolo, tutta la famiglia, per il concerto di Ligabue. Nicolò lo adorava. Dopo la prima volta nel 2008 all’Arena di Verona, non si perdeva un concerto. Già a cinque anni ci aveva detto che avrebbe voluto fare il chitarrista di Ligabue. Lui, tra l’altro, aveva il dono dell’orecchio assoluto, aveva pure creato una sua band e inciso un disco».
Tornando alla tragedia, è vero che l’aveva chiamata mezz’ora prima?
«Per la precisione ci ha telefonato alle 13,21. Era assieme agli altri a pian dei Fiacconi, sereno e in sicurezza. Non erano andati su, a Punta Penia, perché era una giornata di addestramento e formazione. Loro stavano facendo un esercizio di salvamento su un crepaccio. Nicolò voleva diventare alpinista e si stava formando per questo».
Con chi era?
«Con Paolo Dani, che era la guida, con Filippo Bari e Riccardo Franchin, che si è salvato. Anche se aveva 22 anni, lo scorso anno era già stato sul Monte Rosa, sempre con Paolo. Lui si stava preparando per l’alpinismo e Paolo Dani era una guida espertissima. Andavano spesso insieme, e più di una volta avevano anche cambiato il programma o rinunciato all’uscita perché, secondo Paolo, non c’erano le condizioni di sicurezza. Noi, quando andava su con Paolo, eravamo tranquillissimi, perché sapevamo quanto era attento e scrupoloso».
Quindi non si sono esposti a situazioni di pericolo?
«Assolutamente no. Che nessuno venga a dire “non si poteva salire”. C’erano tutte le condizioni di sicurezza ed è stato solo un tragico destino che ce l’ha portato via».
Siete stati su?
«Siamo andati a recuperare la sua auto, che era ancora nel parcheggio, e abbiamo fatto il prelievo per il Dna. Ora aspettiamo solo che venga recuperato. Comunque siamo sereni perché stava facendo una delle cose che più amava fare. Per noi la cosa più bella sono stati i 22 anni vissuti assieme e vogliamo ricordarlo felice e sorridente, mentre suona la sua chitarra e va in montagna».
8 luglio 2022 (modifica il 8 luglio 2022 | 23:22)
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, 2022-07-08 22:05:00, Il 22enne è uno degli alpinisti travolti dalla valanga di domenica scorsa. Il padre Michele: «Io e mia moglie siamo grati di aver cresciuto un ragazzo come lui», Alfio Sciacca