Mezzogiorno, 31 luglio 2022 – 09:00 di Mario Rusciano L’esperienza ci dice che in Italia il partito più consistente è quello degli «astenuti». E forse all’elezione del 25 settembre aumenterà il numero di quanti non vanno a votare. L’astensionismo è un male della democrazia e conforta poco che affligga quasi tutti i sistemi occidentali. Alle ultime amministrative dell’anno scorso per eleggere il sindaco – l’istituzione più vicina al popolo – ha votato meno del 60% degli aventi diritto. Problema preoccupante, sottovalutato dai politici. Ne parlano eccome – di solito poco prima o subito dopo le elezioni – ma sorvolano su cause e rimedi. Mai individuano misure concrete per ridurre l’astensione. Eppure più sono i votanti più è forte l’investitura di chi, diventato «rappresentante» della sovranità popolare, vuol dotarsi d’effettiva «rappresentatività». Le cause dell’astensionismo sono varie. Più importanti quelle «sostanziali», riguardanti cioè la struttura del rapporto tra cittadini e politica. Ma pesano pure le cause – chiamiamole «formali» – attinenti ai metodi della consultazione elettorale. Ma quanto è stato fatto finora da Governi e istituzioni pubbliche per agevolare realmente l’esercizio del diritto di voto? Risposta semplice: nulla! Su cosa si potrebbe fare tenta ora di dare qualche risposta l’iniziativa del ministro D’Incà (Rapporti col Parlamento e Riforme) d’affidare, a un’apposita Commissione di esperti, analisi e proposte per «favorire la partecipazione dei cittadini al voto». La Commissione – coordinata da Bassanini, con costituzionalisti, politologi, statistici e funzionari parlamentari e ministeriali (competenti di tecnologie) – ha prodotto una Relazione, un vero e proprio «Libro bianco»: «Per la partecipazione dei cittadini. Come ridurre l’astensionismo e agevolare il voto», pubblicato dallo stesso ministero: sia on line sia in volume cartaceo. La relazione merita d’essere studiata e ponderata dai politici: specie dagli eletti nel prossimo Parlamento e da chi sarà chiamato al Governo. Dovrebbero adottare, per il futuro, almeno «misure organizzative» di riduzione dell’astensionismo. Stranamente né stampa né media parlano dell’esigenza d’intervenire su questi aspetti non marginali della consultazione elettorale. Ma la lettura del libro va suggerita a chiunque abbia a cuore le sorti della nostra democrazia. Mancando i partiti, sono i cittadini più avveduti i migliori comunicatori e mediatori della «cultura del voto». C’è bisogno di ricordare che il voto è un diritto-dovere civico di ogni cittadino (artt. 2 e 48 Cost)? Il Libro bianco, illustrata la cornice costituzionale – dove richiama i requisiti del voto: libero, personale, eguale e segreto (art. 48 Cost.) – analizza le cause dell’astensionismo ricostruendo empiricamente il fenomeno. Distingue anzitutto l’astensionismo «apparente» (di elettori iscritti all’Aire: Anagrafe italiani residenti all’estero) da quello «reale». Quest’ultimo poi è astensionismo «involontario» e «volontario». Logicamente il più grave, e politicamente rilevante, è l’astensionismo volontario, frutto della «protesta» o dell’«indifferenza». Difatti, se gli astensionisti «involontari» (anziani; disabili; cittadini fuori del luogo di residenza ecc.) sono intorno al 16/18%, gli astensionisti «indifferenti» si aggirano sul 9/11% mentre i «protestatari» vanno addirittura dal 16 al 20%. Meritano perciò attenzione le «proposte per promuovere la partecipazione e ridurre l’astensionismo». Proposte che emergono anche grazie all’analisi comparata – per far conoscere «cosa si fa nel mondo per promuovere la partecipazione elettorale» – dalla quale inevitabilmente risaltano i ritardi e le contraddizioni storiche del nostro Paese in tutta l’area della consultazione democratica: dalla cervellotica legge elettorale alla concreta organizzazione delle elezioni (tempi; luoghi; modi; tempestivo aggiornamento anagrafico degli elettori ecc.). Per esempio il «voto a distanza», normale in molti paesi avanzati, è in Italia del tutto sconosciuto. Come se non si sapesse che uno dei mezzi più ovvi per ridurre al minimo l’astensionismo involontario sarebbe una seria semplificazione delle modalità pratiche di esercizio del voto (fino alla «digitalizzazione»). Il libro comunque, essendo soltanto una fotografia del fenomeno, non affronta le ragioni sostanziali dell’astensionismo, che riguardano l’attuale complicato rapporto tra cittadini e politici. Un rapporto caratterizzato dallo spaesamento dei primi di fronte all’insipienza dei secondi: continua conflittualità tra interessi e valori; narrazione ipocrita di politici che non propongono seri programmi e ignorano i mezzi finanziari e organizzativi per attuarli; trasformismo di leader (o sedicenti tali) pronti a fondare «finti» partiti a proprio uso e consumo (basta un simbolo e un nome!). E si potrebbe continuare. Di qui la sfiducia di quanti non credono nella capacità e nella competenza dei politici d’interpretare le loro esigenze e aspirazioni. Insomma i cittadini (specialmente i giovani) non riescono a individuare chi realmente sia capace di rappresentarli. Il risultato è appunto l’astensione dal voto: per indifferenza o per protesta. Che sono i tratti d’una democrazia malata d’un Paese privo d’un minimo di coesione nazionale. Privo cioè d’un collante che non si trova in natura, perché è frutto di educazione, formazione e maturazione civile. Privo cioè dei compiti propri di partiti «strutturati», attualmente inesistenti, che sono l’unico solido legame tra cittadini e classe politica. La moltiplicazione di partiti improbabili e inaffidabili, cui è impossibile affezionarsi, è la madre (non tanto onesta) dell’astensionismo. Ma il figlio dell’astensionismo è il deperimento della democrazia! 31 luglio 2022 | 09:00 © RIPRODUZIONE RISERVATA , 2022-07-31 07:01:00, Mezzogiorno, 31 luglio 2022 – 09:00 di Mario Rusciano L’esperienza ci dice che in Italia il partito più consistente è quello degli «astenuti». E forse all’elezione del 25 settembre aumenterà il numero di quanti non vanno a votare. L’astensionismo è un male della democrazia e conforta poco che affligga quasi tutti i sistemi occidentali. Alle ultime amministrative dell’anno scorso per eleggere il sindaco – l’istituzione più vicina al popolo – ha votato meno del 60% degli aventi diritto. Problema preoccupante, sottovalutato dai politici. Ne parlano eccome – di solito poco prima o subito dopo le elezioni – ma sorvolano su cause e rimedi. Mai individuano misure concrete per ridurre l’astensione. Eppure più sono i votanti più è forte l’investitura di chi, diventato «rappresentante» della sovranità popolare, vuol dotarsi d’effettiva «rappresentatività». Le cause dell’astensionismo sono varie. Più importanti quelle «sostanziali», riguardanti cioè la struttura del rapporto tra cittadini e politica. Ma pesano pure le cause – chiamiamole «formali» – attinenti ai metodi della consultazione elettorale. Ma quanto è stato fatto finora da Governi e istituzioni pubbliche per agevolare realmente l’esercizio del diritto di voto? Risposta semplice: nulla! Su cosa si potrebbe fare tenta ora di dare qualche risposta l’iniziativa del ministro D’Incà (Rapporti col Parlamento e Riforme) d’affidare, a un’apposita Commissione di esperti, analisi e proposte per «favorire la partecipazione dei cittadini al voto». La Commissione – coordinata da Bassanini, con costituzionalisti, politologi, statistici e funzionari parlamentari e ministeriali (competenti di tecnologie) – ha prodotto una Relazione, un vero e proprio «Libro bianco»: «Per la partecipazione dei cittadini. Come ridurre l’astensionismo e agevolare il voto», pubblicato dallo stesso ministero: sia on line sia in volume cartaceo. La relazione merita d’essere studiata e ponderata dai politici: specie dagli eletti nel prossimo Parlamento e da chi sarà chiamato al Governo. Dovrebbero adottare, per il futuro, almeno «misure organizzative» di riduzione dell’astensionismo. Stranamente né stampa né media parlano dell’esigenza d’intervenire su questi aspetti non marginali della consultazione elettorale. Ma la lettura del libro va suggerita a chiunque abbia a cuore le sorti della nostra democrazia. Mancando i partiti, sono i cittadini più avveduti i migliori comunicatori e mediatori della «cultura del voto». C’è bisogno di ricordare che il voto è un diritto-dovere civico di ogni cittadino (artt. 2 e 48 Cost)? Il Libro bianco, illustrata la cornice costituzionale – dove richiama i requisiti del voto: libero, personale, eguale e segreto (art. 48 Cost.) – analizza le cause dell’astensionismo ricostruendo empiricamente il fenomeno. Distingue anzitutto l’astensionismo «apparente» (di elettori iscritti all’Aire: Anagrafe italiani residenti all’estero) da quello «reale». Quest’ultimo poi è astensionismo «involontario» e «volontario». Logicamente il più grave, e politicamente rilevante, è l’astensionismo volontario, frutto della «protesta» o dell’«indifferenza». Difatti, se gli astensionisti «involontari» (anziani; disabili; cittadini fuori del luogo di residenza ecc.) sono intorno al 16/18%, gli astensionisti «indifferenti» si aggirano sul 9/11% mentre i «protestatari» vanno addirittura dal 16 al 20%. Meritano perciò attenzione le «proposte per promuovere la partecipazione e ridurre l’astensionismo». Proposte che emergono anche grazie all’analisi comparata – per far conoscere «cosa si fa nel mondo per promuovere la partecipazione elettorale» – dalla quale inevitabilmente risaltano i ritardi e le contraddizioni storiche del nostro Paese in tutta l’area della consultazione democratica: dalla cervellotica legge elettorale alla concreta organizzazione delle elezioni (tempi; luoghi; modi; tempestivo aggiornamento anagrafico degli elettori ecc.). Per esempio il «voto a distanza», normale in molti paesi avanzati, è in Italia del tutto sconosciuto. Come se non si sapesse che uno dei mezzi più ovvi per ridurre al minimo l’astensionismo involontario sarebbe una seria semplificazione delle modalità pratiche di esercizio del voto (fino alla «digitalizzazione»). Il libro comunque, essendo soltanto una fotografia del fenomeno, non affronta le ragioni sostanziali dell’astensionismo, che riguardano l’attuale complicato rapporto tra cittadini e politici. Un rapporto caratterizzato dallo spaesamento dei primi di fronte all’insipienza dei secondi: continua conflittualità tra interessi e valori; narrazione ipocrita di politici che non propongono seri programmi e ignorano i mezzi finanziari e organizzativi per attuarli; trasformismo di leader (o sedicenti tali) pronti a fondare «finti» partiti a proprio uso e consumo (basta un simbolo e un nome!). E si potrebbe continuare. Di qui la sfiducia di quanti non credono nella capacità e nella competenza dei politici d’interpretare le loro esigenze e aspirazioni. Insomma i cittadini (specialmente i giovani) non riescono a individuare chi realmente sia capace di rappresentarli. Il risultato è appunto l’astensione dal voto: per indifferenza o per protesta. Che sono i tratti d’una democrazia malata d’un Paese privo d’un minimo di coesione nazionale. Privo cioè d’un collante che non si trova in natura, perché è frutto di educazione, formazione e maturazione civile. Privo cioè dei compiti propri di partiti «strutturati», attualmente inesistenti, che sono l’unico solido legame tra cittadini e classe politica. La moltiplicazione di partiti improbabili e inaffidabili, cui è impossibile affezionarsi, è la madre (non tanto onesta) dell’astensionismo. Ma il figlio dell’astensionismo è il deperimento della democrazia! 31 luglio 2022 | 09:00 © RIPRODUZIONE RISERVATA ,