ServizioLa nuova scuola/I programmi elettorali
L’analisi sull’attenzione al mondo dell’istruzione nei progetti politici degli schieramenti che si stanno confrontando verso il voto
di Eugenio Bruno
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Nel lontano 2002 il Consiglio Europeo di Barcellona fissava l’obiettivo minimo per il 2010 di un posto per almeno il 33% dei bambini residenti, per favorire l’occupazione femminile attraverso le politiche di conciliazione. Nel 2013 la Commissione Ue sottolineava anche l’importanza di investire nell’educazione della prima infanzia con l’obiettivo specifico di contrastare la povertà educativa e il circolo vizioso dello svantaggio sociale. Quasi dieci anno dopo l’Italia, quanto meno da Roma in giù, è ben lontana dal raggiungere quegli obiettivi che tra l’altro la legge di bilancio per il 2022 ha messo nero su bianco quel target come «obiettivo di servizio» per tutti. Basti pensare che – stando all’ultima rilevazione dell’Istat contenuta nel report “Nidi e servizi educativi per bambini tra 0 e 6 anni: un quadro d’insieme – mentre il Centro-nord si assesta mediamente al 33,5 % (con alcuni ambiti provinciali), al Mezzogiorno il problema della bassa copertura è piuttosto generalizzato. I posti disponibili nei nidi e nei servizi integrativi, sia pubblici che privati, sfiorano appena il 15% del potenziale bacino di utenza, raggiungendo il 17,5% come media dei capoluoghi di provincia.
Va un po’ meglio invece alla scuola dell’infanzia. Qui, sempre secondo l’Istituto di statistica la percentuale dei bambini di età compresa fra i 3 e i 5 anni che frequenta una struttura educativa (93,2%) è più alta della media europea (89,6%) e ha superato già da qualche anno l’obiettivo dichiarato nel 2002, sempre in sede di Consiglio europeo, di offrire assistenza all’infanzia per almeno il 90% dei bambini di età compresa fra i 3 anni e l’inizio dell’obbligo scolastico. Tuttavia per questo segmento educativo permane ancora un gap rispetto ad altri paesi europei che registrano valori prossimi alla copertura totale di questa fascia d’età, ad esempio la Spagna che arriva al 98,3 per cento. È in questo alveo che vanno calate le diverse proposte dei partiti in vista della competizione elettorale del 25 settembre.
Le proposte del centrosinistra
A occuparsene ampiamente è il Pd che propone di rendere «gratuita e obbligatoria la scuola dell’infanzia nell’ambito del sistema integrato esistente e incrementarne il fondo nazionale, per garantire la progressiva gratuità dei servizi educativi 0-3 anni per i nuclei familiari a basso Isee, con particolare attenzione all’offerta formativa nel Sud del Paese» nell’ottica di assicurare a «tutte e tutti pari opportunità di cura, relazione e gioco». In pratica, l’obiettivo dei dem è quello di estendere la durata dell’obbligo scolastico, facendolo partire a 3 anni (anziché 6) e facendolo terminare a 18 (e non più a 16). Sul modello di quanto disposto negli anni scorsi dalla Francia. Un’idea che ritroviamo in parte nelle proposte dei suoi alleati di Verdi-Sinistra italiana che vogliono «estendere l’obbligo scolastico a 18 anni». In un contesto più ampio di «gratuità dell’istruzione, dal nido all’università, per tutte e tutti».
Diversa è l’angolatura scelta da + Europa per approcciarsi al tema. Come testimonia la volontà di rendere deducibili le rette degli asili privati e parificati tenuto conto del reddito familiare. Anche se poi nel suo programma troviamo l’allungamento dell’obbligo scolastico a 18 anni proposto come abbiamo visto dal partito guidato da Enrico Letta.
, 2022-09-23 06:55:00, L’analisi sull’attenzione al mondo dell’istruzione nei progetti politici degli schieramenti che si stanno confrontando verso il voto, di Eugenio Bruno