Il percorso formativo ideale per i docenti? Ne parliamo con Daniela Lucangeli [VIDEO INTERVISTA]

Il percorso formativo ideale per i docenti? Ne parliamo con Daniela Lucangeli [VIDEO INTERVISTA]

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Per educare è importante conoscere i soggetti in via di sviluppo e come cambia il modo di approcciarsi in base alla loro età. Abbiamo avuto tanti grandi Maestri che ci hanno indicato la via da seguire, oggi dobbiamo riprendere quegli insegnamenti e strutturare un nuovo modo di fare didattica. Ne abbiamo parlato con la professoressa Daniela Lucangeli, Ordinario in Psicologia dell’educazione e dello sviluppo presso l’Università di Padova, Presidente della sezione sviluppo dell’Accademia Mondiale delle scienze Learning Disabilities (IARLD), Presidente dell’ Associazione per il coordinamento nazionale degli insegnanti specializzati e la ricerca sulle situazioni di handicap (CNIS), nonché socio di numerose associazioni scientifiche internazionali e nazionali nell’ambito delle scienze dello sviluppo.

Professoressa Lucangeli, da poco è uscito il suo nuovo libro “Il tempo del Noi” dove ci parla dei Giganti del Pensiero che ci hanno indicato la via da seguire nell’educazione. Lei è una brillante scienziata, perché passare dall’io al noi?

Per quello che è il tempo del mondo che stiamo attraversando nessuno basta a sé stesso e agli altri. È vero che io studio, ma non sarei stata in grado di comprendere nemmeno parzialmente quello che racconto se non ci fossero stati e non ci fossero tutti gli altri che mi nutrono costantemente, non soltanto nel sapere ma nel trasformarmi. Questo non è un processo a parole, ma è proprio come funzionano gli organismi viventi, da persona di scienza ad un certo punto ho dovuto testimoniarlo. Nessuna struttura vivente può stare al suo meglio se non all’interno di un contesto in cui viene nutrita, protetta, accompagnata a diventare il potenziale che è. Se questo vale per un fiore, che ha bisogno dell’acqua, della terra e della luce, se vale per ogni essere vivente di ogni ordine e grado, tanto più vale per la psiche, quindi per i nostri bimbi. Allora ecco la testimonianza, l’idea di non scrivere soltanto articoli scientifici che dimostrino come nella neuroplasticità cambiamo il presente ed il futuro dei nostri figli, ma anche testimonianza per la quale se riusciamo a capire delle cose che diamo per scontate è perché qualcun altro ci ha donato tutto quello che è riuscito a conquistare, ecco i Giganti.

Quei Noi che racconta nel libro sono un percorso che l’hanno portata ad essere quello che è ora. Ci racconta come l’hanno arricchita incontrare e conoscere questi grandi personaggi?

Ho raccontato la storia di alcuni di loro rispetto ai tantissimi che avrei dovuto scegliere, che sono state le orme della mia strada. Ho scelto coloro che erano conosciuti più per il sentito dire che non per il dono straordinario e profetico che ciascuno di loro ha donato e sono quegli sconosciuti che in realtà intessono la nostra vita nel quotidiano. Ad esempio Maria Montessori è in tutta la nostra vita del quotidiano, dall’idea di bambini che non sono vasi da riempire al riconoscimento del far fare da soli, accompagnando in aiuto e non in sostituzione. In pratica lei ha permeato tutti i saperi successivi, ma è come se le riconoscessimo soltanto il suo metodo invece che la sua forma mentis. Lo stesso vale per la scuola di Barbiana e Don Lorenzo Milani, di cui tutti parlano, ma ci siamo dimenticati del significato profondo dell’I care, il tu mi stai a cuore, che è entrato nel sistema che ha modificato i paradigmi del totale che hanno distrutto la concezione del dualismo corpo/mente. Quindi è come dire rileggiamoli, fanno parte di noi, ma li diamo per ovvi, un po’ come dare per ovvio il respiro o il battito cardiaco. Diamo per scontato il mistero che più ci arricchisce e che la nostra specie ha evoluto. Così un po’ è per questi grandi Giganti e quindi nel libro ne ho scelti alcuni. Ad esempio ho scelto Fröbel, che in pochi conoscono, ma se portiamo i nostri figli alla scuola dell’infanzia lo dobbiamo a lui. Fröbel a sua volta lo deve a molti altri, compreso, ad esempio, Pestalozzi e così via. L’intento non è quello di fare una storia del pensiero, ma per dire che siamo moltitudine, un insieme di ricchezza che però rischia di essere dispersa se non diventa consapevole.

L’inclusione come risorsa, oggi è sempre più difficile realizzare questo paradigma. Cito Alex per chiederle se i disturbi dell’apprendimento son un disturbo per l’alunno che ne soffre o per il docente?

Alex ha fatto la mia storia, come tutti i bambini che mi hanno costretta a cambiare traiettoria di studio. Partiamo dall’inclusione come risorsa, nel libro che ha citato porto due tipologie di risorse che rischiamo di perdere, da un lato chi come Alex disturba perché ha delle vulnerabilità e dell’altro chi come Sophie Germain o come Marie Curie, ad esempio, disturbavano, e disturbano, perché hanno delle eccezionalità che sono vulnerabili. Iperdotazione o disturbo specifico, ritardo e funzione cognitiva debole sono i due perimetri in cui la scuola, l’educazione e i sistemi adulti si scontrano perché non comprendono che fanno parte del processo dell’intelligere comune. Quindi io sono incluso nel tuo divenire, nel tuo apprendere, così come tu sei incluso nella mia possibilità di essere tuo differenziale di sviluppo. Parlare di loro mi ha consentito di mostrare come la vulnerabilità che dichiara Alex, che vorrebbe capire se il disturbo di apprendimento disturba lui o noi, è un richiamo alla coscienza. Per renderla collegata al mondo a cui più siamo collegati, che è il mondo della scuola, ho raccontato anche di Beethoven, non il Beethoven che ci ha regalato per sempre l’ “inno alla gioia”, ma la sua sordità. Pensare che chi non ha più la possibilità di sentire riesca ad aprire il sentire di tutti gli altri ci deve scuotere e far accorgere che non siamo sistemi isolati o isolabili quando siamo nella salute piena. Per essere in salute piena siamo necessariamente strutture in relazione.

Lei prima parlava del superamento del dualismo mente-corpo e che si deve pensare al soggetto nel suo complesso. Il soggetto in apprendimento è influenzato anche dalle emozioni di base che sono processi biochimici con un’intensità ed una durata limitate nel tempo. Tra le emozioni di base troviamo la gioia e l’assenza di questa emozione è un pericolo. Come possiamo educare i nostri ragazzi a ritrovare la gioia dentro di loro, a vivere uno stato di gioia, e quali risvolti positivi si possono riscontrare in ambito scolastico?

Nel tempo è stato tanto sottovalutato il ruolo che le emozioni hanno come struttura intelligente, cioè come struttura che intellige, comprende e risponde. Il modo in cui rispondono le emozioni è il modo del cervello antico, ovvero il modo in cui il cervello sente ciò che riconosce utile e ciò che riconosce pericoloso. Le emozioni come la Gioia sono emozioni che vengono a muoversi dentro di noi, sono processi da dentro a dentro, che parlano al nostro cervello più recente, alle cortecce associative indicandogli ad esempio una allerta, quindi scappa, oppure cerca ancora, la gioia è un “cerca ancora”. Tutti gli studi più recenti che riguardano sia l’ambito dell’età evolutiva, ma anche delle strutture adulte, ci spiegano che moltissime cadute dell’umore, che sentiamo tutte sulle nostre ali in questo tempo, sono dovute al fatto che sperimentiamo poco nella crescita, e manteniamo poco, emozioni quali la gioia, cioè emozioni di base, che è come dire di non avere mai paura, o avere poca paura, questo ci metterebbe in una condizione in cui non riconosciamo i rischi, ma non avere mai gioie, o talmente poche gioie, poco tempo della vita mentale circuitata dalla gioia, ci porta ad essere in languore costante, in languishing, cioè in toni dell’umore che spengono i desiderare. Il desiderare è la funzione prospettica fondamentale, la spinta del presente verso il futuro, o meglio ancora del futuro nel presente, che è la spinta proattiva della vita, sia la vita mentale ma anche la vita nella sua interezza. Quindi quando non sperimentiamo gioia, anzi gioie, questa complessa attività di “cerca ancora”, poi andiamo verso i toni che ci fanno desiderare poco i cambiamenti e restiamo in una sorta di stagnazione emotiva, che non è ancora la crisi di “crash” però indica che siamo in qualche modo senza il nutriente fondamentale. Ci sono una serie di ricerche nell’ambito delle neuroscienze molto interessanti sulla gioia le quali spiegano che proprio queste funzioni in cui noi possiamo aiutare tutto con il tutto delle nostre strutture. Una funzione che aiuta moltissimo i nostri piccoli è l’attenzione focalizzata. Da queste ricerche emerge che se noi facciamo fare attenzione a tutte le minuscole scintille di gioie che ci caratterizzano il presente, quindi esercizi di attenzione focalizzata in cui io non faccio attenzione, ad esempio, soltanto al fatto che sono stanca, che sto facendo questa intervista correndo tra una lezione e l’altra eccetera, per i quali il mio cervello prova un alert, ma se provo attenzione agli altri aspetti, quelli del “cerca ancora”, ovvero che mi fa gioia che stiamo qui, anno dopo anno a discutere di come crescere insieme, di come non si debba mollare mai, che poi questa nostra chiacchierata possa essere lo spunto per aiutare tanti bambini a fare attenzione alle loro gioie, e se poi faccio attenzione che sono molto felice, che sto bene, che sono amata da tante persone, che sono capace di dare altrettanto alle altre persone e così via, ecco che il nostro cervello invece che alert mette in memoria nutrimenti che cercano e desiderano la vita, la vita insieme, nel presente. Da questi ricercatori, del tipo di puro cognitivismo, che guidano l’attenzione selettiva, nasce un esempio fondamentale di come aiutare i nostri piccoli a crescere facendo attenzione alle gioie. Questo processo si chiama autoregolazione emozionale, implica l’utilizzo della metacognizione, cioè faccio una consapevole analisi della presenza della gioia, monitoro la gioia quando accade, sto attenta alla gioia quando mi si presenta, anche nelle sue intensità minuscole, per esempio che c’è un raggio di sole fuori da questa finestra. È un esempio banale ma serve per far capire quanto ci siamo disabituati a questa consapevolezza delle funzioni nutrienti del nostro sistema di salute mentale.

Facciamo una provocazione, spesso si punta il dito verso la formazione dei docenti, molti specialisti dicono che nella formazione in particolare dei docenti della scuola secondaria di primo e secondo grado, prevalentemente basata sulla conoscenza della materia, manchi un approfondimento formativo di carattere pedagogico e psicologico. Galimberti afferma che la scuola al massimo istruisce ma non educa, inoltre afferma che per fare il docente bisognerebbe aver letto almeno un manuale di psicologia dello sviluppo evolutivo. A questo punto le chiedo quanto è importante per un docente conoscere e saper gestire le emozioni ed essere in grado di aiutare i propri alunni dal punto di vista della crescita emotiva.

Per dire quanto sia importante basta una parola: tutto. È talmente totalizzante questa necessità che è come dire come possono guidare la consapevolezza dei processi intelligenti e sensienti della vita altrui se non ne conoscono le caratteristiche indispensabili a un contesto professionale. Non entro neanche nel fatto che è un contesto di etica che riterrei indispensabile. Concordo sul tema dell’importanza della competenza disciplinare, è indispensabile, ma non è possibile mettere le conoscenze disciplinari come se davanti avessimo un frigorifero che le tiene e te le ridà per le prestazioni delle tue verifiche, perché quel frigorifero non esiste. Il cervello non è un frigorifero, è un elaboratore attivo che produce memorie che sono fortemente caratterizzate da questi impulsi neuroelettrici e biochimici che da milioni di anni evolutivi fanno diventare memorie le reazioni alle informazioni che ci vengono proposte da coloro che sono le figure di attaccamento e di guida evolutiva. Non è che possiamo negare ciò che è, sarebbe come negare che il cuore pulsa e conoscere solamente di cosa sia fatto il cuore. È importante quest’ultimo aspetto, conoscere come è formato, ma è importante anche sapere come funziona il suo meccanismo per poterlo coadiuvare al meglio. Quindi se si vuole che apprendano una disciplina è importante che quella disciplina debba essere sentita, amata, desiderata, trasformata, elaborata, sbagliata e aggiustata insieme a te, perché i tuoi saperi diventino le sue intelligenze e le sue possibilità di risposta che porta più avanti il sapere di tutti. L’arroccarsi sui saperi disciplinari contro quelle che vengono chiamate le soft skills, la parte soffice che serve a nutrire la psiché con tutte le sue strutture, è fuori tempo, è fonte di una serie di ignoranze che hanno generato non solo delle conflittualità e delle tensioni, ma delle responsabilità su questa situazione odierna sulla soglia dell’esplosione. Questo è quello che sta accadendo nelle scuole e nei ragazzi, stiamo arrivando alla soglia dell’esplosione. L’ultimo passaggio lo voglio dedicare all’esperienza che sto facendo con gli insegnanti di scuola secondaria di secondo grado dove ho trovato tantissimo bisogno, disponibilità, desiderio e anche rivisitazione del proprio ruolo di professore come magister, cioè come chi traccia la vita dei propri allievi in una possibilità di cambiamento che davvero fa la differenza. Quindi la mia esperienza è che chi invece si mette in moto sta facendo salti enormi, molto di più di quello che reputavo desiderabile. Ora si tratta di moltiplicare questo desiderio.

Chiudiamo con un’ultima domanda prendo spunto da questo percorso che sta facendo con i docenti. C’è una forte attenzione sulle competenze non cognitive, oggetto anche di una legge, ma non è chiaro come procedere nell’educazione in questo campo. Ci aiuta a tracciare un percorso formativo che possa essere in grado di rendere i docenti padroni di questa materia ed essere in grado di educare questo ambito delicato.

Non è una domanda risolvibile in una risposta, ma proviamo a dare un’idea. Partiamo dalle finestre evolutive, i tempi di crescita. Questi tempi di crescita li racconto ai miei studenti come le stagioni, quindi non è che puoi metterti in estate il cappotto dell’inverno, ma neanche quand’è febbraio, com’è adesso, il costume di quando era agosto. I tempi evolutivi sono strutture che necessitano un atteggiamento educante e competenze educanti d’istruzione differenti, perché sono organizzazioni di neuroplasticità di specie. Insegnare tra 0-6 anni, 6-12 anni oppure 12-18 anni è completamente differente e questo va compreso. Nella formazione dobbiamo sapere i tempi, non è banale. Piuttosto averlo banalizzato ci ha reso tutti più deboli e incapaci di ottenere questo differenziale. Nel momento in cui me ne sono occupata, perché lei cita questo, l’ho fatto mettendo insieme le competenze dei saperi, che lei prima ha chiamato disciplinari, e le competenze che invece entrano tramite i processi maturazionali. Quello che stiamo tentando di fare è generare traiettorie di studio insieme agli insegnanti dei diversi ordini di scuola. Nella fascia 0-6, ad esempio, lo abbiamo chiamato “B612.infinito” cioè tutto il lavoro che serve per generare una maturazione delle traiettorie di intelligenze che i nostri piccoli hanno, intelligenze senzienti. Quindi come accompagnare le strutture che devono poi reggere i processi di alfabetizzazione che la scuola primaria dà. In questi processi di alfabetizzazione abbiamo generato tutto quello che si chiama “sorrido-imparo” cioè questa unione della “warm cognition”. Posso apprendere dai saperi delle varie materie nelle modalità in cui la struttura me li rende mia intelligenza senziente in un contesto allargato in cui sono incluso completamente. Per le scuole secondarie di primo e di secondo grado stiamo facendo delle sperimentazioni pilota, cito ad esempio il programma che abbiamo fatto con Elis, il grande consorzio in cui tutte le strutture, anche di tipo economico, stanno tentando di sostenere un cambio delle forme mentis di cui noi nutriamo l’intelligenza nella fase in cui le strutture di maturazione giungono all’autodeterminazione, cioè l’adolescenza. Lì va cambiato completamente il sistema ed è un sistema in cui soprattutto il processo giudicante e di verifica ha trovato il suo fattore di rischio più grande, ed i ragazzi ce lo stanno dimostrando. Quindi va cambiato tutto il modo in cui noi diventiamo in grado di fare da catalizzatore, come ad esempio la striscia della scatola dei fiammiferi che permette a questi ultimi di potersi accendere, quindi essere in grado di generare quella scintilli che accende tutto il meccanismo. Tutta la scuola secondaria, di primo e secondo grado, deve reimparare la sua funzione di catalizzatore dell’intelligenza come fattore di autodeterminazione. Spero di essere stata in grado di aver riassunto tutto in una risposta, ma non è facile, anche perché rappresenta tutta la mia vita.

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