A scuola ritorna il dialetto, e i ragazzi apprezzano. Succede a Teggiano, piccolo comune campano del Vallo di Diano, La chjàna ri Riànu, dove si sono unite la cultura e la tenacia del dialettologo Vincenzo Andriuolo con la sensibilità della Dirigente Scolastica Maria D’Alessio dell’Istituto Comprensivo Statale di Teggiano, la scuola media dove è nato il progetto “Alla riscoperta delle radici. La lingua di Diano, veicolo della cultura degli avi”, realizzato con la partecipazione di circa 80 studenti della scuola secondaria di primo grado.
Si tratta di un progetto pilota, che era stato approvato dal Comune di Teggiano già nel 2020 ma che la pandemia aveva bloccato, o per meglio dire rimandato. Partito lo scorso novembre, con lezioni a settimane alterne, insieme ai docenti di italiano, il progetto si è concluso lo scorso mese di maggio con il saggio “ Cchi ja bbéllu lu rrianesu”.
“Si è trattato di una didattica laboratoriale innovativa che ha visto i ragazzi, dapprima increduli, diventare via via entusiasti e collaborativi fino allo spettacolo conclusivo che li ha decretati protagonisti indiscussi sul palco. Il dialetto è la lingua – spiega Andriuolo in un’intervista a Orizzonte Scuola – che esprime e custodisce una cultura antica: solo se ne lasciamo piena eredità alle nuove generazioni ne conserveremo l’ inestimabile ricchezza”.
Professore che significato ha oggi, per ragazzi e studenti che viaggiano su internet e guardano TikTok, recuperare le antiche radici?
Recuperare le nostre radici, riscoprire i caratteri essenziali, non solo della lingua ma anche dell’economia, della storia e della cultura di un popolo e recuperarne il dialetto, che è emozione vera e legame con il territorio e la sua storia, e farlo attraverso uno studio serio – con l’utilizzo cioè di tecniche metodi e strumenti delle discipline scientifiche che se ne occupano (linguistica, glottologia, sociolinguistica, ecc.) – significa fornire, ai nostri ragazzi, strumenti e conoscenze spendibili da ognuno di loro in qualsiasi ambito. In una logica di questo tipo diventa cruciale il ruolo delle istituzioni pubbliche e della scuola, quella dell’obbligo in primis. Questa ultima, in particolare, ha autorevolezza e scienza per favorire un’operazione storica di documentazione e di riscoperta delle origini della comunità di riferimento, coinvolgendo gli studenti in attività di conoscenza e conservazione del patrimonio linguistico locale.
A chi erano rivolte le sue lezioni e come erano strutturate?
Sono state tutte lezioni frontali, con lavagna e gessetto, per gli studenti delle classi di I e II media, nel corso delle quali si è evidenziato anzitutto lo stretto legame del nostro dialetto con il latino, da cui deriva: con l’obiettivo primario di far acquisire agli studenti la padronanza piena del sistema ortografico del dialetto di Teggiano, che prevede anche l’uso di grafemi e di regole di aggregazione non presenti nel sistema dell’ Italiano, data la presenza di fonemi sconosciuti a quest’ultimo. Nel corso dell’anno i ragazzi hanno così avuto modo di prendere coscienza dei problemi legati alla presenza, ad esempio, di un’unica desinenza al plurale sia per il maschile sia per il femminile, ove quest’ultimo risulta marcato dal raddoppiamento fonosintattico: li fìgli vs li ffìgli per indicare rispettivamente i figli e le figlie. E ancora, alla presenza, al fianco del maschile e del femminile, del genere neutro. Inoltre hanno studiato la costruzione del periodo ipotetico congiuntivo e condizionale, rispettivamente in protasi ed apodosi, che non è come in italiano bensì’ con il doppio condizionale o doppio imperfetto indicativo. E, così, tra una nenia ed uno stornello della tradizione, che solo in pochi conoscevano già, abbiamo affrontato argomenti estremamente complessi – sempre ovviamente con un linguaggio coerente con la loro preparazione di base – dal concetto di vocalismo marginale (assenza nel dialetto teggianese in posizione atona finale delle vocali medie) a quello di metafonia, dallo studio di alcuni costrutti caratteristici (ad es. l’ausiliare deontico e l’accusativo preposizionale) per finire ai modelli di ricostruzione etimologica (vedi tàta: padre/papà) e alla dimostrazione della coerenza della cadenza teggianese con alcune strutture della poesia classica: endecasillabo e settenario. Concetti e strutture fondamentali per lo studio di qualsiasi lingua.
Il progetto, primo del suo genere sull’intero territorio regionale, nasce da una costola del suo libro “Il dialetto romanzo di Teggiano Fonetica, morfologia, sintassi e vocabolario di base” che è stato una guida per docenti e studenti.
A dire il vero più per docenti che per studenti. Il libro è un volume complesso, di circa 600 pagine dove sono ricostruite la grammatica del dialetto, le sue strutture fonetiche e morfologiche, sino ad arrivare alla sintassi del dialetto. In Italia esiste una ricchissima letteratura dialettale sulla quale in pochi, purtroppo, hanno il coraggio di soffermarsi, preferendo spesso sottolineare la presenza di forme dialettali nella letteratura italiana. Basti pensare ai deliziosi versi in friulano del giovane Pasolini, del periodo della fondazione dell’Academiuta di lenga furlana, o ai suoi successivi esperimenti nel romanesco di Ragazzi di vita, all’uso sapientissimo di vari dialetti italiani da parte di Carlo Emilio Gadda o agli splendidi endecasillabi di Gaetano D’Elia in vernacolo teggianese. Non dimentichiamo, poi, che il primo dialettologo d’eccezione è stato Dante Alighieri, padre della nostra lingua. Vede, i dialetti non sono sottosistemi linguistici, varianti dei poveri o degli ignoranti, bensì lingue sorelle a pieno titolo della lingua nazionale, e quindi una risorsa in materia di bilinguismo o di plurilinguismo.
Lei ha avuto un papà che si recava a raccogliere i prodotti dell’orto fino all’età di 95 anni, un esempio di amore per la terra e per la natura. Cosa è rimasto oggi della cultura contadina?
La cultura contadina – di cui il dialetto, mia lingua madre, è stato e rimane veicolo esclusivo – è stata una cultura dell’osservazione dei fenomeni naturali: una cultura che si sta completamente perdendo non solo perché i giovani vanno a studiare all’estero, e il più delle volte non tornano ma anche quando questo succede, quasi mai integrano le nuove conoscenze con quelle antiche dei loro avi. Mi è rimasta impressa nella mente una frase di un giovane contadino di Teggiano che, avvicinatosi al feretro di mio padre, lo baciò sulla fronte e, in dialetto teggianese, disse: “E adesso chi mi dirà quando è il momento della semina?”.
C’è un tempo per seminare e uno per raccogliere, i nostri avi lo sapevano bene, ma soprattutto ci deve essere il tempo per la riscoperta e la memoria di ciò che il dialetto, in quanto lingua antica, può, ancora, insegnarci.
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