Il ritorno della cortina di ferroche costringe i partiti a schierarsi

Il ritorno della cortina di ferroche costringe i partiti a schierarsi

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di Francesco VerderamiLa guerra ha creato un nuovo discrimine per chi l’anno prossimo vorrà porsi alla guida del Paese

Non sarà più destra contro sinistra e nemmeno europeisti contro sovranisti: la guerra ha prodotto una nuova cortina di ferro politica, che l’anno prossimo sarà il discrimine per chi vorrà proporsi alla guida del Paese. L’invasione dell’Ucraina ha posto fine alle ambiguità che erano sopravvissute pure alla nascita del governo «europeista e atlantista» di Draghi. Ancora poche settimane fa, infatti, era visibile quella corrente di pensiero — trasversale nei partiti — che ammiccava alla Russia e alla Cina. L’azione militare di Putin ha provveduto a rimarcare la vecchia linea di demarcazione che era stata cancellata, rilanciando il bipolarismo internazionale tra democrazie occidentali e autocrazie orientali. Nel Palazzo c’è chi si è prontamente schierato e chi invece è stato colto alla sprovvista.

Certo, sulla guerra a Letta non è costato un particolare sforzo personale collocarsi nel solco politico del suo maestro Andreatta, ma da segretario del Pd ha dovuto rottamare riti, miti e lessico di quanti nel partito hanno sempre praticato il «né né» e davanti alle immagini di Kiev hanno provato ad attestarsi sul «sì ma». Niente da fare, «perché sono in gioco la democrazia e la libertà». Ritratto con l’elmetto dalla sinistra radicale, non si è curato di rompere con l’area pacifista del grillismo, secondo cui «se Letta continuerà a parlare, finiremo per entrare in guerra».

C’è un pezzo del Movimento che non ha ancora capito qual è la posta, mentre un altro pezzo ha afferrato il senso. Di Maio — con toni esagitati — ha equiparato Putin a un animale. Buffagni si è levato in Aula per gridare che «noi vogliamo essere quelli del mondo libero». Conte invece è ancora disperso sulla via della Seta, fermo ai tempi in cui da premier teorizzava l’equivicinanza con Washington e Pechino. È vero che l’altro ieri è andato all’ambasciata americana per ribadire il «costante sostegno all’Ucraina». Ma è altrettanto vero che la sera prima — su Rai2 — aveva detto no agli investimenti nel settore della Difesa: «Non è il momento».

D’altronde — ha scritto il Financial Times — «la fase è uno spartiacque per i populisti occidentali» che avevano subìto «il fascino dell’uomo forte efficace»: «L’idea che l’autocrazia abbia una sorta di orribile efficienza, rischia di sembrare ridicolo anche a loro». Putin con i suoi raid ha bombardato anche Salvini. E il tema della ricollocazione politica sta diventando drammatico per il leader del Carroccio, che ha imboccato una terza via prendendo a prestito le parole del Papa e l’impegno del volontariato per i profughi. Ma il suo passato l’ha inseguito in Polonia e a Strasburgo, dove l’Europarlamento ha additato le ingerenze straniere nell’Ue: compresi gli «accordi di cooperazione» tra Mosca e la Lega. Un macigno sulla via del governo.

Nel tempo delle scelte di campo, all’«atlantista ed europeista» Berlusconi fa velo l’amicizia con il presidente russo. Il suo silenzio pubblico è stato interrotto solo da telefonate riservate a ministri (non del suo partito) ai quali ha spiegato che «c’è spazio per una mediazione dell’Onu». Il Cavaliere, che per anni ha avvertito del «pericolo cinese», sulla Russia è stato scavalcato dalla Meloni: dal suo intervento alla convention repubblicana negli States, passando per il voto con la maggioranza in Parlamento, fino all’incontro con Mattarella, la leader di FdI ha rivendicato «l’appartenenza ai valori, alla cultura, alle radici comuni» del blocco Transatlantico. Per quanto non le piaccia — come ha detto al Corriere.it — la «tendenza italiana» di fare «la parte delle cheerleader» in politica estera, non molla l’Europa e l’Occidente (pur «con i loro limiti») perché non molla l’idea di entrare a palazzo Chigi.

È chiaro insomma che la cortina di ferro costringe i partiti a schierarsi. Ed è chiaro il motivo di questa posizione. Il rischio è che si riduca a una nuova forma di politicamente corretto, a un modello di conformismo dettato dal momento. Che poi è la domanda sollevata dal centrista Quagliariello: «Quanto durerà questa condizione? Quando ci faranno annusare la benzina, ci sarà la stessa comune consapevolezza?». Siccome Draghi ha avvisato che «questa crisi sarà lunga», solo più avanti si capirà chi e fino a che punto sarà disposto a sostenere i costi della democrazia.

11 marzo 2022 (modifica il 11 marzo 2022 | 20:08)
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, 2022-03-11 19:08:00, La guerra ha creato un nuovo discrimine per chi l’anno prossimo vorrà porsi alla guida del Paese, Photo Credit: , Francesco Verderami

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Pietro Guerra

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