editoriale Mezzogiorno, 20 maggio 2022 – 07:36 di Enzo d’Errico Fossimo sull’Apollo 13, qualcuno direbbe: «Houston, abbiamo un problema». Ma siamo a Napoli, in Campania, e non abbiamo la Nasa sotto mano. Quindi dobbiamo sbrigarcela da soli. Perché il problema esiste, eccome, e rischia di mandare in frantumi la città una volta per tutte. Quanto tempo ancora, infatti, potremo andare avanti con le risse istituzionali, i rancori mal sopiti, le tensioni più o meno sotterranee che ogni giorno avvelenano i pozzi del discorso pubblico? Pensate soltanto a quanto è accaduto ieri: De Luca che prima fa una conferenza stampa sul San Carlo dai toni temperati e poi, rimasto solo con i cronisti, torna a sparare contro la dirigenza del Massimo e reclama per sé la carica di presidente del consiglio d’indirizzo oggi, per legge nazionale, detenuta dal sindaco; la dirigenza dell’Aeroporto che si scaglia contro Manfredi per le improvvide e mai confutate dichiarazioni di alcuni consiglieri della maggioranza, e dell’assessore Paolo Mancuso, sull’inquinamento acustico e ambientale provocato dall’eccessivo (secondo costoro) numero di voli e passeggeri; l’Abc, l’azienda municipalizzata chiamata a gestire il nostro acquedotto, che perde l’accesso ai fondi del Pnrr e si ritrova sull’orlo di un collasso finanziario destinato a trascinare nel baratro il servizio primario della città e i suoi circa 400 dipendenti. Ma non basta. Ieri siamo diventati anche il teatro di guerra della politica nazionale, sempre grazie a una sortita del governatore campano che ha insultato Mara Carfagna e ricevuto in cambio una risposta caustica: «Si prenda un Maalox». Da qui è scaturita una polemica che ha visto scendere in campo Francesco Boccia (responsabile enti locali del Pd) contro la ministra del Mezzogiorno, sollevando un fuoco incrociato di tweet che è andato avanti per ore. Con il risultato di incrinare ulteriormente la maggioranza che sorregge Draghi. Lo so, vedere Boccia che difende De Luca è già una notizia, considerati gli antichi screzi fra i due. Ma non è che l’inizio. La campagna elettorale ormai è alle porte e, come sempre, la leadership nazionale dei Democratici s’inchina al potere del governatore in nome del suo pacchetto di voti. È avvenuto con tutti i segretari, avverrà anche con Enrico Letta. Non importa se quei consensi abbiano radicalmente modificato la base sociale del Pd in Campania, trasformandolo in un apparato clientelare degno della peggiore prima Repubblica. Ragionare su questo tema implicherebbe un’analisi politica seria, profonda, innovativa che il partito della (presunta) sinistra riformista nemmeno sa dove sia di casa. Boccia e compagni hanno deciso che i voti, come i soldi, non hanno odore. E se ce l’hanno, meglio turarsi il naso e far finta di nulla. Dunque, rassegniamoci: se questa è la cronaca delle ultime ventiquattr’ore, immaginate cosa potrà accadere nei prossimi giorni. De Luca continuerà così e peggio di così, sapendo di tenere sotto scacco la dirigenza di un Pd che tra l’altro, paradossalmente, non è mai stata la sua casa politica se non per motivi di convenienza privata. Ma sapendo anche di avere gioco facile qui, dove Gaetano Manfredi tace. Almeno per il momento. Da un bel po’ il governatore – che da perfetto autocrate qual è detesta dividere la scena con altri (compresa Mara Carfagna) – lo punzecchia, lancia strali trasversali, invoca addirittura la lapidazione per chi si è aumentato lo stipendio in tempo di Covid (parlando del San Carlo, è vero, ma in tralice pure del sindaco e dei suoi assessori e dirigenti). Eppure l’ex rettore non raccoglie mai il guanto di sfida. Segno di responsabilità istituzionale? Certamente e gliene va dato merito. Tuttavia è lecito chiedersi quanto potrà durare il suo silenzio, anche perché esiste un confine oltre il quale si precipita poi nell’ambiguità e nell’insussistenza. Napoli ha bisogno come l’aria di una voce che ne difenda la dignità calpestata, un giorno sì e l’altro pure, dalle meschine insinuazioni e dalle becere accuse che piovono da Palazzo Santa Lucia. Non è necessario accettare il terreno della rissa, Manfredi possiede tutti gli strumenti culturali per scansare questa trappola. Deve reagire usando il suo metro di misura. Ma deve farlo ora, non domani. È il sindaco, la figura che rappresenta tutti i napoletani, non più il rettore di un ateneo dove poteva destreggiarsi con passo felpato tra gli opposti interessi. È stato eletto da una larga maggioranza e ne deve incarnare le passioni, i desideri, le ambizioni. Gli piaccia o meno, è il leader politico del suo schieramento, non un tecnico in servizio temporaneo a Palazzo San Giacomo: deve compiere scelte nette, imparare a dire qualche no al posto dei troppi sì, evitare di accontentare i trombati con posti di prima e seconda fila, dotarsi di uno staff – a parte capo di Gabinetto e direttore generale – all’altezza della terza metropoli d’Italia, realizzare qualcosa di significativo. Presto. Insomma, deve fare politica. E in politica il silenzio, per quanto operoso, genera mostri. Come dimostrano lo scontro con la dirigenza dell’aeroporto e il brutto inciampo dell’Abc. L’understatement è senza dubbio apprezzabile, purché non sia l’unico ingrediente della ricetta. Dopo sette mesi, il tempo del rodaggio è finito: Napoli vuole sentire sulla faccia il vento del cambiamento, sapere che il suo voto non è stato vano. Gaetano Manfredi era e rimane la carta migliore per scommettere sul futuro. Tocca a lui, adesso, risollevare l’orgoglio e il senso civico con le uniche leve che ha a disposizione: buona politica, trasparenza amministrativa e concretezza. Risponda alle ingiurie quando e come deve, spieghi meglio e nelle sedi giuste ciò che sta realizzando, non si pieghi ai ricatti di De Luca e al mercato delle poltrone allestito da partiti, liste e listarelle, coniughi i verbi al presente e non esclusivamente al futuro. Questa città non ne può più di volgari tribuni di provincia che, per colmare il proprio senso d’inferiorità, ne insudiciano la storia. E chi altro, se non un sindaco di rango come quello scelto nell’ottobre scorso, può riscattarne il destino? La newsletter del Corriere del MezzogiornoSe vuoi restare aggiornato sulle notizie della Campania iscriviti gratis alla newsletter del Corriere del Mezzogiorno. Arriva tutti i giorni direttamente nella tua casella di posta alle 12. Basta cliccare qui. 20 maggio 2022 | 07:36 © RIPRODUZIONE RISERVATA , 2022-05-20 11:58:00, editoriale Mezzogiorno, 20 maggio 2022 – 07:36 di Enzo d’Errico Fossimo sull’Apollo 13, qualcuno direbbe: «Houston, abbiamo un problema». Ma siamo a Napoli, in Campania, e non abbiamo la Nasa sotto mano. Quindi dobbiamo sbrigarcela da soli. Perché il problema esiste, eccome, e rischia di mandare in frantumi la città una volta per tutte. Quanto tempo ancora, infatti, potremo andare avanti con le risse istituzionali, i rancori mal sopiti, le tensioni più o meno sotterranee che ogni giorno avvelenano i pozzi del discorso pubblico? Pensate soltanto a quanto è accaduto ieri: De Luca che prima fa una conferenza stampa sul San Carlo dai toni temperati e poi, rimasto solo con i cronisti, torna a sparare contro la dirigenza del Massimo e reclama per sé la carica di presidente del consiglio d’indirizzo oggi, per legge nazionale, detenuta dal sindaco; la dirigenza dell’Aeroporto che si scaglia contro Manfredi per le improvvide e mai confutate dichiarazioni di alcuni consiglieri della maggioranza, e dell’assessore Paolo Mancuso, sull’inquinamento acustico e ambientale provocato dall’eccessivo (secondo costoro) numero di voli e passeggeri; l’Abc, l’azienda municipalizzata chiamata a gestire il nostro acquedotto, che perde l’accesso ai fondi del Pnrr e si ritrova sull’orlo di un collasso finanziario destinato a trascinare nel baratro il servizio primario della città e i suoi circa 400 dipendenti. Ma non basta. Ieri siamo diventati anche il teatro di guerra della politica nazionale, sempre grazie a una sortita del governatore campano che ha insultato Mara Carfagna e ricevuto in cambio una risposta caustica: «Si prenda un Maalox». Da qui è scaturita una polemica che ha visto scendere in campo Francesco Boccia (responsabile enti locali del Pd) contro la ministra del Mezzogiorno, sollevando un fuoco incrociato di tweet che è andato avanti per ore. Con il risultato di incrinare ulteriormente la maggioranza che sorregge Draghi. Lo so, vedere Boccia che difende De Luca è già una notizia, considerati gli antichi screzi fra i due. Ma non è che l’inizio. La campagna elettorale ormai è alle porte e, come sempre, la leadership nazionale dei Democratici s’inchina al potere del governatore in nome del suo pacchetto di voti. È avvenuto con tutti i segretari, avverrà anche con Enrico Letta. Non importa se quei consensi abbiano radicalmente modificato la base sociale del Pd in Campania, trasformandolo in un apparato clientelare degno della peggiore prima Repubblica. Ragionare su questo tema implicherebbe un’analisi politica seria, profonda, innovativa che il partito della (presunta) sinistra riformista nemmeno sa dove sia di casa. Boccia e compagni hanno deciso che i voti, come i soldi, non hanno odore. E se ce l’hanno, meglio turarsi il naso e far finta di nulla. Dunque, rassegniamoci: se questa è la cronaca delle ultime ventiquattr’ore, immaginate cosa potrà accadere nei prossimi giorni. De Luca continuerà così e peggio di così, sapendo di tenere sotto scacco la dirigenza di un Pd che tra l’altro, paradossalmente, non è mai stata la sua casa politica se non per motivi di convenienza privata. Ma sapendo anche di avere gioco facile qui, dove Gaetano Manfredi tace. Almeno per il momento. Da un bel po’ il governatore – che da perfetto autocrate qual è detesta dividere la scena con altri (compresa Mara Carfagna) – lo punzecchia, lancia strali trasversali, invoca addirittura la lapidazione per chi si è aumentato lo stipendio in tempo di Covid (parlando del San Carlo, è vero, ma in tralice pure del sindaco e dei suoi assessori e dirigenti). Eppure l’ex rettore non raccoglie mai il guanto di sfida. Segno di responsabilità istituzionale? Certamente e gliene va dato merito. Tuttavia è lecito chiedersi quanto potrà durare il suo silenzio, anche perché esiste un confine oltre il quale si precipita poi nell’ambiguità e nell’insussistenza. Napoli ha bisogno come l’aria di una voce che ne difenda la dignità calpestata, un giorno sì e l’altro pure, dalle meschine insinuazioni e dalle becere accuse che piovono da Palazzo Santa Lucia. Non è necessario accettare il terreno della rissa, Manfredi possiede tutti gli strumenti culturali per scansare questa trappola. Deve reagire usando il suo metro di misura. Ma deve farlo ora, non domani. È il sindaco, la figura che rappresenta tutti i napoletani, non più il rettore di un ateneo dove poteva destreggiarsi con passo felpato tra gli opposti interessi. È stato eletto da una larga maggioranza e ne deve incarnare le passioni, i desideri, le ambizioni. Gli piaccia o meno, è il leader politico del suo schieramento, non un tecnico in servizio temporaneo a Palazzo San Giacomo: deve compiere scelte nette, imparare a dire qualche no al posto dei troppi sì, evitare di accontentare i trombati con posti di prima e seconda fila, dotarsi di uno staff – a parte capo di Gabinetto e direttore generale – all’altezza della terza metropoli d’Italia, realizzare qualcosa di significativo. Presto. Insomma, deve fare politica. E in politica il silenzio, per quanto operoso, genera mostri. Come dimostrano lo scontro con la dirigenza dell’aeroporto e il brutto inciampo dell’Abc. L’understatement è senza dubbio apprezzabile, purché non sia l’unico ingrediente della ricetta. Dopo sette mesi, il tempo del rodaggio è finito: Napoli vuole sentire sulla faccia il vento del cambiamento, sapere che il suo voto non è stato vano. Gaetano Manfredi era e rimane la carta migliore per scommettere sul futuro. Tocca a lui, adesso, risollevare l’orgoglio e il senso civico con le uniche leve che ha a disposizione: buona politica, trasparenza amministrativa e concretezza. Risponda alle ingiurie quando e come deve, spieghi meglio e nelle sedi giuste ciò che sta realizzando, non si pieghi ai ricatti di De Luca e al mercato delle poltrone allestito da partiti, liste e listarelle, coniughi i verbi al presente e non esclusivamente al futuro. Questa città non ne può più di volgari tribuni di provincia che, per colmare il proprio senso d’inferiorità, ne insudiciano la storia. E chi altro, se non un sindaco di rango come quello scelto nell’ottobre scorso, può riscattarne il destino? La newsletter del Corriere del MezzogiornoSe vuoi restare aggiornato sulle notizie della Campania iscriviti gratis alla newsletter del Corriere del Mezzogiorno. Arriva tutti i giorni direttamente nella tua casella di posta alle 12. Basta cliccare qui. 20 maggio 2022 | 07:36 © RIPRODUZIONE RISERVATA ,