di Francesco VerderamiL’azione fu evitata durante la missione Covid, e aveva come obiettivo le basi dell’aeronautica militare in Lombardia e in Puglia Il caso della missione russa in Italia ai tempi del Covid non è chiuso, anzi deve ancora aprirsi. Fonti qualificate della Difesa e dell’Intelligence rivelano che nel marzo del 2020 è stata evitata un’azione di spionaggio da parte di Mosca, i cui obiettivi erano le basi dell’aeronautica militare di Ghedi in Lombardia e di Amendola in Puglia. Il Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica è pronto ad approfondire quanto accadde «prima durante e dopo» l’accordo tra l’allora presidente del Consiglio Giuseppe Conte e Vladimir Putin, che nei giorni più drammatici della pandemia offrì assistenza sanitaria a Roma tranne poi inviare solo 28 medici, 4 infermieri e ben 72 militari, molti dei quali appartenenti al servizio segreto delle Forze Armate russe. La scorsa settimana, nell’intervista a Fiorenza Sarzanini per il Corriere della Sera, Conte aveva respinto «dubbi e insinuazioni», spiegando che «i direttori delle Agenzie di intelligence Aise e Aisi hanno assicurato che non c’è mai stata attività impropria» da parte dei russi. Tesi ribadita davanti al Copasir. Ma proprio un esponente del Copasir, Enrico Borghi, membro della segreteria pd, in una dichiarazione all’Eco dell’Ossola ha commentato: «È per l’impegno della nostra sicurezza se quella missione ha avuto un esito non problematico. Dire che non ci sono stati problemi, infatti, non significa che non ce ne sarebbero potuti essere. E se non ce ne sono stati è perché c’è stato chi li ha evitati». Così si torna ai due mesi in cui la colonna militare con le insegne della Federazione iniziò a scorazzare per la Lombardia. Secondo il New Yorker, grazie a quella spedizione Mosca avrebbe elaborato il vaccino Sputnik, ricavandolo dal Dna di un cittadino russo ammalatosi di Covid in Italia. In ogni caso c’è (molto) altro. Al convoglio inviato da Putin venne assegnata una scorta di militari italiani. A deciderlo fu il generale Luciano Portolano, che all’epoca guidava il Comando Operativo Interforze e aveva avuto uno scontro con il generale Sergej Kikot, capo della missione «Dalla Russia con amore». Dinnanzi alle insistenze di Kikot, che sosteneva di potersi muovere «su tutto il territorio italiano» in base a un «accordo politico di altissimo livello», Portolano rispose altrettanto duramente: «Qui siamo in Italia e si fa come (bip) dico io». Il comandante del COI — raccontano più fonti della Difesa — stabilì le regole d’ingaggio, in base alle quali i russi si sarebbero dovuti mantenere «ad almeno cinquanta chilometri dai siti sensibili». Le stesse fonti rilevano come Portolano, in successivi colloqui operativi della Difesa, avesse paventato i rischi di un’operazione ibrida. Il primo indizio si ebbe quando i russi proposero di sanificare un’area del bresciano nelle vicinanze di Ghedi. Lì c’è una base dell’aeronautica militare italiana — nella quale opera il 61.mo Stormo — che nei piani dei sovietici ai tempi della Guerra Fredda era considerata un obiettivo da distruggere, perché in una parte riservata all’aviazione statunitense sarebbero state custodite una dozzina di bombe nucleari. La richiesta di Kikot venne ovviamente respinta, mentre alla Difesa saliva l’insofferenza verso «gli ospiti». Già il titolare del dicastero, Lorenzo Guerini, non aveva accettato di buon grado la missione di Mosca e aveva ridotto da 400 a 104 unità il suo contingente. A maggio decise di rimandare tutti a casa. Accadde dopo che i russi chiesero di spostarsi in Puglia, regione a loro assai cara perché — questa fu la tesi — è la terra di san Nicola, venerato anche dagli ortodossi, al punto che Putin donò una statua del santo e la fece porre davanti alla basilica di Bari. Le motivazioni religiose furono il secondo (e decisivo) indizio che l’obiettivo di Kikot non fosse quello di sanificare il territorio. A parte il fatto che l’epicentro della pandemia continuava a essere la Lombardia, e che in Puglia i casi di Covid erano limitati, proprio in quella zona c’era un altro «sito sensibile»: Amendola, il maggior aeroporto militare italiano, dov’è di stanza il 32.mo stormo con le macchine tecnologicamente più avanzate. Gli F-35. Era il momento di dire ai russi «dasvidania». Non è ancora il momento di dire che il caso è chiuso. 31 marzo 2022 (modifica il 31 marzo 2022 | 12:09) © RIPRODUZIONE RISERVATA , 2022-03-31 10:25:00, L’azione fu evitata durante la missione Covid, e aveva come obiettivo le basi dell’aeronautica militare in Lombardia e in Puglia, Francesco Verderami