il commento
Mezzogiorno, 13 marzo 2022 – 09:23
Il presidente della giunta regionale della Campania è oramai un simbolo della gravità della situazione e del malgoverno delle istituzioni regionali
di Ernesto Galli della Loggia e Aldo Schiavone
La lettera con cui un gruppo di intellettuali ha sollevato il problema posto dai comportamenti del Presidente della Regione Vincenzo De Luca è una buona notizia. E lo è — sia pure in misura minore — la prudente ma tempestiva risposta del Segretario del Pd Enrico Letta. Una risposta che lascia aperta la porta alla speranza — anche se non ci facciamo troppe illusioni — che tutto non si riduca a qualche intervista e a qualche articolo. È infatti comunque incoraggiante che sia arrivato in questa occasione un segnale di vita dagli ambienti intellettuali: i grandi assenti dalla scena pubblica di questi anni, soprattutto meridionale. Senza risvegli come questo non si va lontano. Da troppi anni il Mezzogiorno è muto, Napoli non ha una voce che non sia quella di qualche personalità isolata o di questo giornale. E invece è ora che le classi colte, i ceti professionali e imprenditoriali, le organizzazioni del lavoro, si decidano a riprendere l’iniziativa e far sentire la loro opinione di fronte al disastro che sta per sommergere questa parte del Paese.
Il Presidente della giunta regionale campana è ormai un simbolo della gravità della situazione, e insieme rappresenta da tempo un caso nella vita politica italiana: per l’interpretazione del tutto sopra le righe che egli dà del suo ruolo, per la misura debordante — che ormai sfiora la parodia di sé stesso — del proprio narcisismo, per il blocco di potere a sfondo familiare (come scrivono gli autori della lettera) che egli ha costruito negli anni intorno a sé, soprattutto fra Napoli e Salerno. Tuttavia il punto non è solo questo. La questione non può ridursi a un referendum sulla persona del Presidente.
La vera questione cruciale è la degenerazione e il malgoverno delle istituzioni regionali nel Mezzogiorno. Guai a non rendersene conto. In questa parte d’Italia lo smisurato ampliamento dei poteri concessi alle Regioni travolgendo gli equilibri previsti dalla Costituzione del ’48 — considerata perfetta e intangibile dalla Sinistra unicamente quando fa comodo — ha prodotto di fatto solo uno smisurato ampliamento della loro cattiva amministrazione. La possibilità data a queste strutture di avere più soldi da spendere, più enti e uffici da istituire, più posti e incarichi da distribuire, ha significato per i gruppi politici locali l’occasione per costruire una rete d’interessi, di clientele, di circuiti trasversali, che ha creato un impasto micidiale di connivenze e di complicità che soffoca e uccide la buona politica. Con quali conseguenze per la qualità dei servizi è facile capire. La sanità meridionale nel suo insieme è una prova evidente di questa condizione intollerabile, di cui tutti i cittadini del Sud sono insieme i testimoni e le vittime.
Il potere dei capi delle oligarchie regionali ha poi voluto dire la scomparsa dei partiti. In Campania (ma non solo: la Puglia è un altro esempio da manuale) il Pd — almeno a livello regionale — non esiste più. Diventato ormai una semplice appendice dell’onnipresente apparato deluchiano, esso è un organismo privo di qualunque autonomia e di qualunque capacità di giudizio e di iniziativa. E così le Regioni che dovevano avere il benefico effetto di avvicinare i cittadini all’amministrazione e alla politica hanno viceversa prodotto la messa in mora proprio di quei fondamentali canali di comunicazione, rappresentati dai partiti, tra la base della società e le istituzioni. Al loro posto, non sono rimaste altro che le anticamere degli assessori. Non basta. L’avvento dello strapotere delle Regioni ha avuto un’ulteriore conseguenza quanto mai negativa: la massiccia ritirata dello Stato dai territori del Paese. Infatti, salvo — per fortuna! — che nell’ambito dell’ordine pubblico e della giustizia, per gran parte delle altre funzioni di governo, dalle Soprintendenze ai beni culturali, al Genio Civile, ai Provveditorati scolatici, il potere di controllo e d’intervento dell’autorità centrale è stato cancellato del tutto o ridotto all’obbligo di una condivisione con il potere delle satrapie locali, che sta diventando intoccabile e fuori controllo.
Per tutte queste ragioni, noi riteniamo che un bilancio severo dell’insieme dell’esperienza delle Regioni nell’arco dei cinquant’anni della loro vita non sia più rinviabile, così come non sono più rinviabili misure legislative d’emergenza per cercare di tamponare le situazioni più gravi. E una prima decisione è necessaria da parte dei partiti, a cominciare dal Pd: dire subito no — un no inequivocabile — all’ipotesi sciagurata di un intervento legislativo regionale (o di ogni altro espediente) per rendere possibile un terzo mandato al Presidente De Luca, aggirando in qualche modo sia l’art.122 della Costituzione, sia la legge 165 del 2004. E questo per motivi molto più importanti di quelli che riguardano la persona dello stesso De Luca: intanto perché una simile modifica — indipendentemente da chi se ne gioverebbe — finirebbe con il violare l’evidente volontà del nostro legislatore, sia costituzionale sia ordinario; e poi perchè seppellirebbe, sostanzialmente e per sempre, ogni possibile discorso critico su quell’autentica calamità che si sta rivelando ogni giorno di più — dalla Calabria alla Campania, alla Sicilia — l’attuale impianto regionalistico del Mezzogiorno.
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13 marzo 2022 | 09:23
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, 2022-03-13 08:24:00, Il presidente della giunta regionale della Campania è oramai un simbolo della gravità della situazione e del malgoverno delle istituzioni regionali, Photo Credit: ,
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