Il volto bifronte del merito

Il volto bifronte del merito

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Ha fatto bene il Corriere della Sera a ripubblicare, su licenza della Feltrinelli editore, l’importante saggio del filosofo americano Michael J. Sandel La tirannia del merito. Perché viviamo in una società di vincitori e di perdenti” (RCS 2023, Feltrinelli 2021, prima edizione americana 2020). La più larga diffusione di questo testo assicurata dalla sua distribuzione nelle edicole in abbinamento al quotidiano può efficacemente contribuire al pubblico dibattito sul significato di questo termine, che l’attuale inquilino di viale Trastevere ha voluto aggiungere alla denominazione del Ministero: Mim, Ministero dell’istruzione e del merito.

Sul significato e sulla portata di questa novità, evidentemente non solo lessicale, si è subito sviluppato un confronto su vari piani – politico, pedagogico, sociologico, filosofico – perché il termine è multidimensionale e multivaloriale, e si presta da sempre (basti pensare al concetto di giustizia distributiva in Aristotele) a diverse interpretazioni, che peraltro si possono ricondurre alle due principali, almeno in epoca moderna, diciamo dal Rinascimento in avanti: riconoscimento dell’impegno individuale, legato a una ricompensa, in un’ottica competitiva, oppure legittimazione sociale del diritto dei più capaci e competenti a vedersi assegnati ruoli di responsabilità nella ricerca del bene comune, garantendo a tutti l’opportunità di aspirare a ciò. Il merito, insomma, ha due volti.

Sandel nel suo libro (che nella edizione originale in inglese ha come sottotitolo What’s Become of Common Good?: che fine ha fatto il Bene Comune?) prende chiaramente posizione per il secondo, ravvisando nell’ideologia meritocratica, che ne esalta invece il primo, quello individualistico e competitivo, la causa della creazione di una società ingiusta e discriminatoria, nella quale coloro che godono di posizioni avvantaggiate sono convinti di meritarlo, e assumono dunque atteggiamenti di superiorità arrogante, da “vincitori”, nei confronti degli svantaggiati, i “perdenti”, che a loro (pre)giudizio sono tali per non essersi sufficientemente impegnati o per manifesta inferiorità. Secondo Sandel, invece, l’evoluzione della società americana, accelerata dalla globalizzazione, è andata in direzione dell’aumento della distanza tra una piccola minoranza di super-ricchi e masse di poveri e impoveriti per i quali il sistema di istruzione ha smesso da tempo di funzionare come ascensore sociale, essendo l’accesso alle migliori università riservato di fatto ai ricchi all’insegna di una meritocrazia strutturalmente falsificata dal suo carattere classista. Anche l’accelerazione della trasformazione digitale, determinata dalla pandemia, ha favorito questo processo di polarizzazione della ricchezza aumentando il tasso di iniquità della società e il risentimento popolare verso le élites, economiche e culturali, opportunisticamente sfruttato proprio da un super ricco come Donald Trump. Per cambiare servirebbe, secondo Sandel, una radicale riforma del sistema fiscale e della distribuzione del reddito a favore degli svantaggiati.

A quale dei due volti del merito assomiglia dunque quello che Giuseppe Valditara ha voluto aggiungere alla denominazione del Ministero dell’istruzione, facendone un connotato istituzionale?  Fresco di nomina le sue parole erano state queste:“Vogliamo far tornare la scuola ad essere un ascensore sociale, non lasciare indietro nessuno. Vogliamo garantire un’opportunità a tutti, stimolare i talenti dei ragazzi. Il talento è in ognuno di noi, non dobbiamo deprimere le potenzialità degli studenti”.

Ottimo proposito, va detto. Ma la sociologia dell’educazione ha dimostrato che non solo negli USA di Sandel ma anche in generale nei Paesi a ordinamento liberal-democratico, con qualche parziale eccezione per alcuni del Nord Europa, l’ascensore sociale è fermo perché i sistemi scolastici riproducono le disuguaglianze sociali e l’accesso alle scuole e università più prestigiose è di fatto riservato a ristrette élites economiche, sociali e professionali. In Italia, in particolare, ha sempre prevalso quella che Benadusi e Giancola in un loro saggio del 2021 su equità e merito nella scuola e in un recente articolo pubblicato sul sito di Tuttoscuola hanno definito “meritocrazia spuria”, cioè falsa, come quella di cui parla il filosofo americano, per distinguerla da quella “pura”, fondata su una reale (ma finora totalmente disattesa) uguaglianza dei punti di partenza.

Per realizzare il suo ambizioso obiettivo di rilanciare (anzi, far decollare) la funzione di ascensore sociale della scuola attraverso la valorizzazione dei talenti individuali Valditara dovrebbe ripensare tutto il sistema scolastico garantendo davvero una maggiore uguaglianza dei punti di partenza, come suggerito da Tuttoscuola nel progetto La scuola che sogniamo e in ripetuti interventi apparsi nelle nostre newsletter settimanali: investimenti negli asili nido, generalizzazione del tempo pieno nel primo ciclo a partire dai tre anni di età, personalizzazione dei curricula individuali nel secondo ciclo (con un core curriculum essenziale), superamento delle bocciature con l’intervento di docenti tutor, insegnanti rimotivati con prospettive di carriera.

Avrà la forza il ministro, e più in generale il governo Meloni, di imboccare questa strada? Si possono convogliare in questa direzione le risorse del PNRR, la cui partenza non è stata felice? Incontrerebbe certamente ostacoli da parte delle forze più conservatrici, ma anche consensi trasversali sul piano politico e culturale, e il sostegno di quelle più vitali della scuola. 

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