di Pierfrancesco Catucci
Ilaria ha gareggiato in serie A, quando aveva 16 anni ha smesso: «Ero 38 kg. Venivamo pesate tutti i giorni, speravo che le mestruazioni non arrivassero mai. Avevo male a un piede, dicevano che era colpa del peso: invece era una frattura da stress al metatarso»
«Quando si ha a che fare con i disturbi dell’alimentazione, si arriva a un punto di non ritorno. Da lì in poi, o si finisce mani e piedi in un tunnel da cui è complicatissimo uscire, oppure ci si salva appena in tempo. Io ci sono riuscita». Il prezzo da pagare, però, è stato abbandonare la ginnastica ritmica. Per sempre. Ilaria Barsacchi oggi ha 22 anni e studia Lingue all’università. Dai 9 ai 16 anni ha dedicato la vita allo sport che amava, ha gareggiato in serie A e, quando l’amore per la disciplina è diventato un tormento, ha mollato.
Quando ha maturato l’intenzione di lasciare?
«A 15 anni avevo già avuto una prima crisi e volevo mollare. Poi ho deciso di continuare per un altro anno e mi sono impegnata fino al termine della stagione successiva. L’ultimo periodo, però, è stato un conto alla rovescia. Segnavo i giorni che mancavano al momento in cui sarei uscita definitivamente da quel mondo».
Come è arrivata a quel punto?
«Nella mia vita da ginnasta ho vissuto tanti anni stupendi. L’ultimo anno e mezzo, però, è stato devastante. Non riuscivo più a convivere con il peso di chi mi giudicava grassa e mi chiedeva di dimagrire. Capivo che il mio rapporto con il cibo stava diventando malato. Fino a quando mi sono resa conto che l’unico modo per “salvarmi” era fare un passo indietro. E l’ho fatto».
Anche lei vittima del quadernino?
«Venivamo pesate quasi tutti i giorni in cui ci allenavamo e il quadernino era lo strumento su cui le insegnanti annotavano l’andamento del peso. Ma non era tanto il quaderno in sé il problema, era il sentirsi giudicata e inadeguata».
A maggior ragione in un momento così delicato come l’adolescenza.
«Ricordo che speravo che le prime mestruazioni non mi arrivassero mai. Vissi male il primo ciclo e la crescita del seno. Il mio corpo stava cambiando, come era normale, ma non accettavo queste forme nuove. E il giudizio mi faceva male».
Quanto pesava?
«In quel momento circa 38 kg per 158 centimetri d’altezza. Ero anche dentro le severissime tabelle russe — che ho scoperto di recente, all’epoca non le conoscevo e nessuno me ne aveva mai parlato —, ma sembrava non fosse mai abbastanza. Sapevo di non essere grassa, ma ormai ero entrata nell’ottica di dover dimagrire. E per questo, con mia madre, sono andata anche da un nutrizionista».
Cosa le ha detto?
«Che avevo il 10% di massa grassa e non dovevo perdere peso. Mi ha dato una dieta, ma mi sembrava di mangiare uno sproposito rispetto a quello a cui ero abituata».
Tipo?
«Per alcune allenatrici, il menu prevede solo pollo e insalata».
Anche lei ha fatto uso di lassativi?
«Sì, meno di Nina e Anna, ma li compravo anche io. Di tanto in tanto li usavo, quando mi vedevo gonfia o mi sentivo grassa. Compravo anche delle pillole dall’erboristeria per dimagrire, ma alla lunga mi sono resa conto che non servivano a nulla».
E il rapporto col cibo com’era?
«Odio e amore. Ho attraversato la fase del controllo spasmodico della quantità di calorie di ciascun alimento, a volte non mangiavo il pranzo che mi preparava mia madre o mangiavo furtivamente un biscotto. Poi c’era il periodo in cui mi abbuffavo e, subito dopo, ero travolta dai sensi di colpa. Qualche volta ho provato anche a vomitare. Per fortuna non ci sono riuscita».
Questo la condizionava anche nell’allenamento e in gara?
«Non stavo più bene. Una volta avvertivo un forte dolore al piede. Continuavano a ripetermi che il problema fosse il peso. Dopo una gara, la peggiore della mia vita, è arrivata la prova che non era così».
Cioè?
«Frattura da stress del metatarso. A occhio nudo non si vedeva nulla, ma dopo una risonanza, fatta a mie spese, la diagnosi è stata chiara. In quel momento ho provato una strana felicità: voleva dire che non era colpa mia e del mio peso, c’era un problema vero».
Come lo gestì?
«Mi fermai: avevo bisogno di terapie e riposo. Durante quello stop arrivò il primo ciclo mestruale. Quando ripresi ad allenarmi si fermò per poi tornare subito dopo aver smesso».
È allora che ha cominciato a maturare la decisione di smettere?
«Si, perché non ero più felice di fare qualcosa che avevo amato fino a quel momento. Ero consapevole dei miei limiti e lo sono tutt’ora, ma non avere più il piacere di competere in quello che continuo a ritenere uno sport bellissimo, è un’altra cosa. E, dal giorno in cui ho lasciato, non ho voluto saperne più nulla. Non ho allenato, non ho guardato più una gara, niente di niente. È un capitolo chiuso della mia vita».
Non ci ha mai ripensato?
«No, ma sono comunque grata alle tante persone che ho incontrato nel mio percorso perché la ginnastica mi ha regalato anche tanti momenti meravigliosi ed è stata un pezzo importante del mio percorso di crescita. Non voglio puntare il dito contro nessuno, spero solo che quella parentesi di sofferenze che ho vissuto io non siano costrette a viverla anche altre bambine e ragazze».
Cosa direbbe a un’allenatrice e a un genitore di una bambina che vuole fare ginnastica ritmica?
«Che serve più dialogo. Che certi metodi che derivano dal passato e da altre culture sono nocivi. E ai genitori che non devono abbandonare i figli per soddisfare la propria ambizione. Ho visto mamme e papà chiudere gli occhi dietro la promessa che le figlie sarebbero diventate campionesse. E fatto anche peggio di certe allenatrici. La salute, mentale e fisica, delle ragazzine è più importante di qualsiasi altra cosa».
3 novembre 2022 (modifica il 3 novembre 2022 | 16:31)
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, 2022-11-03 15:36:00, Ilaria ha gareggiato in serie A, quando aveva 16 anni ha smesso: «Ero 38 kg. Venivamo pesate tutti i giorni, speravo che le mestruazioni non arrivassero mai. Avevo male a un piede, dicevano che era colpa del peso: invece era una frattura da stress al metatarso», Pierfrancesco Catucci